I sindacati Cgil e Uil hanno indetto lo sciopero generale per il 16 dicembre, contro la manovra finanziaria considerata insufficiente per i redditi più bassi e poco ambiziosa sulle politiche per il lavoro. Il governo definisce l’iniziativa “incomprensibile,” la Cisl per il momento rimane in disparte
Cgil e Uil hanno proclamato lo sciopero generale per il 16 dicembre. I due sindacati hanno deciso di manifestare così la propria contrarietà alla manovra finanziaria in via di approvazione dal governo. Si terrà una manifestazione nazionale a Roma e altre iniziative in quattro città. La manovra è stata considerata dai sindacati “insoddisfacente” in particolare sul fisco — con la riforma Irpef che avrà effetti positivi solo sui redditi più alti racchiuso nella riforma dell’Irpef — oltre che sulle pensioni, sulla scuola, sulle politiche industriali, sul contrasto alla delocalizzazioni e alla precarietà del lavoro. Invece, il segretario Sbarra ha dichiarato che “la Cisl considera sbagliato ricorrere allo sciopero generale e radicalizzare il conflitto in un momento tanto delicato per il paese.” Oggi però anche il sindacato biancoverde terrà una riunione di segreteria per definire meglio la propria posizione.
Nel comunicato stampa i sindacati concedono di “apprezzare lo sforzo e l’impegno del Premier Draghi e del suo Esecutivo,”ma sottolineano appunto che la manovra sia insoddisfacente: “ in particolare sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni, del contrasto alla precarietà del lavoro soprattutto dei giovani e delle donne, della non autosufficienza.” I sindacati rivendicano che, in questa fase in cui sono disponibili più risorse in modo eccezionale, si sarebbe potuto “ridurre le diseguaglianze,” e “generare uno sviluppo equilibrato e strutturale e un’occupazione stabile.” I segretari di Cgil e Uil, Landini e Bombardieri, terranno una conferenza stampa per approfondire le ragioni che hanno portato allo sciopero nel corso della giornata di oggi. La scelta di una mobilitazione generale di 8 ore non era scontata: l’ultima è stata nel 2014 per protestare contro il Jobs Act. A far perdere definitivamente la pazienza dei sindacati è stato il no della destra — da Lega a Italia Viva — al tentativo di compromesso di Draghi, che intendeva rimandare di un anno il taglio delle tasse per i redditi superiori ai 75 mila euro e finanziare sgravi sulle bollette per le famiglie meno abbienti. Draghi aveva proposto questo contentino “una tantum” per cercare di venire incontro ai sindacati. Ma “non è il momento per immaginare alcun intervento che possa somigliare a una patrimoniale”, aveva dichiarato Mariastella Gelmini.
Già lo scorso giovedì la situazione aveva cominciato a deteriorarsi: mentre la Cisl si era detta abbastanza soddisfatta del contentino proposto da Draghi, Cgil e Uil erano rimaste su posizioni molto più critiche, soprattutto per il carattere di contentino dell’intervento. “Sul fisco non abbiamo avuto le risposte che ci aspettavamo,” aveva commentato il segretario della Cgil Landini, che aveva sottolineato sulla necessità di destinare interamente e in modo costante nel tempo gli 8 miliardi del taglio delle tasse a dipendenti e pensionati. Da questi ultimi arriva infatti ben il 90% del gettito Irpef.
È bene ricordare quale sia la situazione fiscale italiana, con un sistema già sbilanciato a favore dei ceti più abbienti e gravemente viziato da tassi di evasione altissimi. Negli ultimi 40 anni, nonostante la retorica della destra e di Berlusconi, le tasse per i ricchi in Italia si sono ridotte. Nel 1974, l’Irpef prevedeva 32 scaglioni di reddito, con l’aliquota più bassa al 10% e quella più alta al 72%. Nel 1983 la svolta: da 32 aliquote si passa a 9, con un aumento della prima (per i redditi fino agli 11 milioni di lire) e un abbassamento dell’ultima (per chi guadagnava più di 300 milioni di lire). Questo andamento è continuato negli anni, accompagnato dall’introduzione di deduzioni e detrazioni: se nel 1973 l’aliquota sui più ricchi prevedeva una tassazione del 72%, oggi corrisponde al 43%. Il contrario per la fascia più bassa, che negli anni è passata dal 10% al 27%.
Il governo vorrebbe ridurre ancora le aliquote Irpef da 5 a 4, eliminando quella al 41%, riducendo al 25% quella che attualmente è al 27% e al 35% quella che attualmente è al 38%. Oltre a vari tagli negli scaglioni nel corso dei decenni si è anche assistito a una diminuzione nella tassazione delle imprese: il prelievo dell’Ires, la tassa sui profitti delle imprese, è passato dal 37% nel 2000 al 24% nel 2017.
L’Irpef da lavoro autonomo ha inoltre un tasso di evasione sconvolgente: secondo dati del 2017, l’evasione fiscale è al 69,9% — vuol dire che per ogni tre euro che spetterebbero alla collettività lo stato ne riesce a incassare meno di uno. Questi numeri hanno causato un danno all’erario di 36 miliardi di euro nel 2017.
grafico di YouTrend
Oggi le prime pagine della maggior parte dei giornali italiani sono pieni di costernazione per la scelta di rottura dei sindacati, che contrasta con la narrazione idilliaca di un governo Draghi gradito a tutto il mondo. Del resto, spiega l’HuffPost, in mattinata il Fondo monetario internazionale aveva lodato la politica del governo Draghi, con la presidente Kristalina Georgieva che si era spinta a dichiarare “go, Italy, Go.” Secondo Repubblica Draghi è rimasto sorpreso dalla scelta di rottura dei sindacati. Alcunee fonti del governo sostengono che la manovra sia “fortemente espansiva” e la decisione di Cgil e Uil sia “incomprensibile.” Nei prossimi giorni sono comunque previsti incontri tra governo e forze sindacali.’è dunque ancora un margine di trattativa, ed è possibile che la chiamata allo sciopero generale venga ritirata o smorzata.
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in copertina, Landini risponde alle domande della stampa dopo un incontro a Palazzo Chigi. Foto via Facebook