Dalla nuova uscita di Maggie Nelson, “Sulla Libertà”, fino al dibattito sul marxismo nei romanzi di Sally Rooney. Un percorso per capire il rapporto tra letteratura e politica
Letteratura e politica sono intrecciate da sempre in un rapporto complesso: quanto la letteratura deve professare piena libertà e indipendenza dalla politica e quanto la politica deve avere potere decisionale sulla sfera letteraria e culturale?
In Italia il dibattito più celebre sul tema è quello che vede protagoniste due figure centrali del Novecento: Palmiro Togliatti ed Elio Vittorini. Vittorini, nel pieno degli anni ‘40, strillava dalle pagine del Politecnico rivendicando la totale libertà della sua missione culturale, che doveva essere necessariamente slegata dalla politica. Togliatti, di contro, si diceva in pieno diritto di esprimere giudizi sulla produzione artistica dei suoi esponenti. Oggi, una diatriba del genere sarebbe impensabile: le condizioni del panorama culturale e politico sono complessivamente del tutto mutate, e le due aree di competenza si sono allontanate notevolmente.
Il ‘personale è politico’ e l’attivismo social
Esistono comunque delle eccezioni, costituite da quelle produzioni letterarie che mettono in dialogo all’interno delle loro narrazioni tematiche ascrivibili all’ambito politico, prendendo posizione in merito ad alcuni dibattiti. Maggie Nelson è un’autrice che, nel contesto contemporaneo, tenta spesso di sviluppare intrecci con l’attualità, come nel suo ultimo libro, Sulla libertà, pubblicato in Italia dalla casa editrice il Saggiatore. “Non c’è dubbio che stiamo vivendo un momento fortemente politicizzato,” afferma Nelson, “sarebbe importante però prendersi del tempo per riflettere su cosa significhi oggi questa parola. Parliamo di governo, potere e spazio pubblico? Oppure usiamo la parola politica come sinonimo di pensiero critico? Molta di questa confusione ha a che fare con gli ultimi cinquant’anni trascorsi ad assorbire le istanze del ‘personale è politico’ portate avanti dai movimenti femministi.”
Riguardo a questo tema è interessante riflettere su come questa dinamica abbia impattato su una certa parte di industria culturale. L’attuale momento storico potrebbe essere indubbiamente definito come altamente politicizzato, come afferma anche Nelson, ma probabilmente lo è più in maniera superficiale che concreta. Basti pensare all’improprio utilizzo del concetto di politically correct che Netflix è stata in grado di mettere in piedi, sfiorando spesso le vette del ridicolo. Possiamo considerare per questo i suoi contenuti politicizzati? In un certo senso verrebbe da dire di sì: l’influenza di una certa retorica caratteristica di questo momento storico è evidente nelle loro produzioni, allo stesso tempo però l’applicazione di queste istanze ai contenuti risulta poi essere nella maggior parte dei casi particolarmente superficiale, e spesso addirittura impropria. Lo stesso si potrebbe affermare anche rispetto ai vari cortocircuiti generati dall’attivismo social: si sollevano certe tematiche da un lato, lo si fa in maniera del tutto contraddittoria e sconnessa dall’altro.
Sally Rooney e Karl Marx
Un’altra polemica interessante — attinente a queste riflessioni — è quella che vede protagonista l’acclamatissima scrittrice Sally Rooney. L’autrice, già resa celebre dai due precedenti romanzi Parlarne tra amici e Persone normali, è in tornata in libreria con il suo nuovo libro da un paio di mesi, Beautiful world, where are you, la cui traduzione italiana è attesa per l’inizio del prossimo anno. Dopo l’uscita di Persone normali, e in seguito ad alcune dichiarazioni dell’autrice in cui si definiva convintamente marxista, si era già aperto il dibattito se il suo secondo romanzo potesse o meno considerarsi un libro d’ispirazione marxista.
L’uscita del nuovo libro non lascia più spazio a molti dubbi, e viene definito più o meno ovunque un “romanzo marxista per Millennials,” in cui le modalità di posizionamento ideologico dell’autrice risultano molto più evidenti che nei precedenti lavori. L’espediente in questo caso riguarda una fitta corrispondenza di mail tra le due protagoniste, grazie alle quali Rooney inserisce molti suoi pensieri riguardo a fama, socialismo e crisi climatica; tanto da rendere questi inserti quasi un po’ forzati.
Sulla libertà e il dibattito sui generi letterari
In Sulla libertà, Maggie Nelson costruisce una fitta struttura di rimandi attraverso arte, cultura, politica ed esperienze personali. L’autrice è stata resa celebre dal suo romanzo del 2016 Gli Argonauti, vincitore del National Book Critics Circle Awards: un memoir in cui Nelson racconta della sua storia d’amore con l’artista Harry Dodge, di corpi e transizioni. All’interno di quest’opera il peso che viene conferito a elementi teorici che forniscono importanti spunti di riflessione è notevole. In particolare, l’autrice dedica molto spazio ai concetti di cura e maternità, e si rifà a varie riflessioni dello psicoanalista e pediatra Donald Winnicott rispetto a questi temi.
Nelson, proprio in merito a queste tendenze che potrebbero essere definite “all’ibridazione” è stata spesso definita un’autrice che sfida le classificazioni per generi. La maggior parte dei suoi lavori sono infatti contraddistinti da componenti che rendono le sue opere impossibili da riferire a un genere predefinito. “Non penso che il genere letterario abbia mai contato qualcosa,” afferma in proposito Nelson, “penso che la recente ossessione per il genere sia una specie di anomalia storica.”
Indubbiamente molte delle correnti e dei generi letterari in cui, oggi, vengono fatti rientrare gli autori cardine della letteratura non esistevano al momento in cui loro operavano. Magari a molti di loro non avrebbe nemmeno fatto piacere sapere di essere intrappolati in una determinata classificazione. Nelson sembra condividere questa insofferenza: “Gli autori, nel corso del tempo, hanno lavorato sviluppando moltissime diverse forme e generi. Mi domando quindi spesso come mai ora stiamo cadendo in questa sorta di revisionismo storico, che porta avanti l’idea che in passato gli autori fossero vincolati dal genere e oggi ci stiamo liberando da questo, o lo stiamo oltrepassando. Trovo piuttosto dubbia questa maniera di procedere con la riflessione sulla letteratura, ma immagino questo stia soddisfacendo qualche particolare esigenza del presente.”
Il cruccio di voler rientrare in una corrente letteraria, o far fede a uno specifico genere, indubbiamente non riguarda l’autrice. Quest’elemento emerge ancora più chiaramente nel suo ultimo libro nel quale Nelson parte da una profonda disamina filosofico-politica sul valore e significato del termine libertà, per poi procedere con l’elaborazione di commistioni tra esperienze personali, riflessioni riguardo a fatti d’attualità, stralci di critica e cultura pop. Questa struttura prosegue per tutte le diverse sezioni del libro, che si muovono attraverso quattro macro-tematiche costituite da arte, droghe, sesso e clima, che nella versione originale l’autrice definisce “canti,” utilizzate per riflettere in vari modi sul tema della libertà.
C’è una considerazione del primo canto dedicato all’arte in Sulla libertà, dove Maggie Nelson rielabora alcuni frammenti tratti da Contro l’interpretazione di Susan Sontag, che risulta essere particolarmente pertinente alla luce di queste riflessioni: “Il mondo non esiste per amplificare o esemplificare i nostri gusti, valori o predilezioni preesistenti. (…) Rivolgersi all’arte sperando che reifichi una convinzione o un valore già nostro, per poi infuriarci o vendicarsi se non lo fa, è ben diverso dal rivolgersi all’arte per vedere cosa sta facendo, che cosa succede, per attingere alle notizie incostanti su quello che gli altri intorno a noi pensano e sentono.”
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