Il caso dei campi di rieducazione per bambini “difficili”
Con il consenso dei genitori e delle scuole, ogni anno circa 50 mila giovani negli Stati Uniti vengono inviati nei cosiddetti “campi di rieducazione.” Si chiamano “love camp” o “wilderness camp,” gestiti da vere e proprie sette. È un’industria che vale 1,2 miliardi di dollari, al centro di un movime
in copertina, i volti di ragazze e ragazzi che hanno raccontato la propria storia nei campi di rieducazione sulla pagina Facebook Breaking Code Silence
Con il consenso dei genitori e delle scuole, ogni anno circa 50 mila giovani negli Stati Uniti vengono inviati nei cosiddetti “campi di rieducazione.” Si chiamano “love camp” o “wilderness camp,” gestiti da vere e proprie sette. È un’industria che vale 1,2 miliardi di dollari, al centro di un movimento che ne denuncia gli abusi su TikTok
“Sono stata rapita nel gennaio del 2011 a Dobbs Ferry, New York. Avevo appena cenato a un ristorante indiano e mentre ero al parcheggio del ristorante un SUV nero con i vetri oscurati mi si è avvicinato”. A raccontarlo, guardando nella telecamera del suo cellulare, è Eva Evans, TikToker e scrittrice che oggi vive a New York. “Sono finita in un deserto innevato per 99 giorni”, scrive Evans nella descrizione del video, che ha raggiunto oltre 2 milioni di visualizzazione su TikTok.
L’industria dei ragazzi “difficili”
Evans non è la sola ad avere un’esperienza simile da raccontare. Quella dei “troubled teens” – gli “adolescenti problematici”, categoria in cui si può rientrare per una miriade di ragioni, dai problemi con la dipendenza da varie sostanze a questioni di salute mentale non trattate passando per un orientamento sessuale non accettato dai genitori – è un’industria che fattura oltre 1,2 miliardi di dollari all’anno sulla pelle degli adolescenti. “Non era un rapimento qualsiasi, però: era quello che nel mondo dei trattamenti per adolescenti problematici chiamano getting gooned. I tuoi genitori delegano temporaneamente la loro autorità, e il tutto è legale, quindi teoricamente non è un vero rapimento. E ti portano in un posto che non conosci minimamente”.
Raccogliere dati precisi su quanti adolescenti vengono rinchiusi in questi programmi ogni anno contro la loro volontà è quasi impossibile, dato che il settore è estremamente opaco, ma si crede che esistano migliaia di strutture diverse, da quelli a stampo religioso ai “wilderness camps”, accampamenti nel mezzo del nulla che pensano di curare i ragazzini esponendoli a situazioni climatiche estreme. Ad accomunarli è il metodo terapeutico estremamente controverso su cui si basano, sviluppato da una setta degli anni Cinquanta: il “metodo Synanon”, che crede di poter “ricostruire” le persone dopo averle distrutte a forza di isolamento, umiliazione, lavori forzati e privazione del sonno.
La maggior parte degli stati non richiede che questi programmi siano registrati. Secondo Breaking Code Silence, un movimento sociale organizzato da persone che sono sopravvissute alla troubled teens industry, sono circa 50mila i giovani che ogni anno vengono mandati in queste strutture – dai servizi sociali, dai loro genitori o persino dal dipartimento dell’Istruzione del loro stato. L’intenzione è spesso quella di distruggere la personalità degli adolescenti, creando dalle macerie una persona diversa, più compiacente, che risponda alle aspettative dei genitori.
Il percorso segue un copione rodato da decenni: i ragazzi vengono rapiti la notte, solitamente mentre dormono. Non viene detto loro dove stanno andando o cosa sta succedendo e vengono trasportati, legati o ammanettati, fino a scuole o accampamenti lontani dalla loro vita quotidiana. Una volta arrivati vengono spesso perquisiti e sottoposti ad altri trattamenti umilianti: è soltanto l’inizio di un’esperienza che ha traumatizzato migliaia di persone.
A seconda del tipo di programma, esistono moltissime testimonianze di pesanti punizioni corporali e psicologiche, inclusi tentativi di lavaggio del cervello e periodi di isolamento per chi non si comporta come richiesto. Il sistema esiste dagli anni Settanta, e soltanto dal 2000 ad oggi sono almeno 115 le persone, giovanissime, che hanno perso la vita per via di questi programmi. In molti casi i ragazzi si suicidano, muoiono nel tentativo di scappare dalle strutture o perché non ricevono sufficienti attenzioni mediche.
Non è raro che i ragazzini vengano uccisi per motivi futili: soltanto l’anno scorso, il sedicenne afroamericano Cornelius Frederick è morto dopo che sei membri dello staff l’hanno tenuto fermo fino a fargli perdere conoscenza – per aver lanciato un sandwich a un compagno nella mensa comune. A fine 2019, il diciottenne Alexander Sanchez è morto per trauma cranico dopo essere stato preso a calci in testa ripetutamente da un membro dello staff.
Gli abusi denunciati su TikTok
Di casi di ragazzini traumatizzati da questo sistema, insomma, sono piene le cronache statunitensi degli ultimi cinquant’anni. E, ora, TikTok.
Sulla piattaforma, l’hashtag #BreakingCodeSilence raccoglie oltre 315 milioni di visualizzazioni. Uno dei volti più noti di questa ribellione contro il sistema che vuole “riformare” gli adolescenti con problemi comportamentali o di salute mentale è Bhad Bhabie, rapper diciottenne che sulla piattaforma ha 5 milioni di follower. Nel marzo 2021, Bhad Bhabie ha caricato un video su YouTube in cui racconta gli abusi che ha subito e a cui ha assistito al Turn-About Ranch, una struttura per “adolescenti difficili” nello Utah: la cantante ha accusato il personale di averla costretta a stare ferma per tre giorni di fila senza poter dormire, di aver usato restrizioni fisiche su altri adolescenti e di aver ignorato seri casi di bullismo.
Un’altra tiktoker, @yungkendee, ha pubblicato le lettere che scriveva a sua madre da un wilderness camp nello Utah: in una, racconta di come lei e altre ragazze venissero “mangiate vive” dagli insetti nell’accampamento nella notte, ma che, pur consapevoli del problema, gli organizzatori vietassero gli spray anti-parassiti. “Ho ancora le cicatrici, e ho 22 anni”, aggiunge.
Un’altra ragazza, @onemancult su TikTok, ha raccontato di essere scappata da un wilderness camp nel deserto dell’Arizona dove l’avevano spedita i suoi genitori quando era un’adolescente. Oggi la chiama “una setta,” e nei vari video che dedica all’argomento ricorda, tra le altre cose, quella volta che ha rubato una mela perché aveva fame e la direttrice della scuola le ha vietato di mangiare frutta per settimane.
Estremamente inquietante, poi, è la storia di @exposterchild, che è stata spedita in una di queste strutture dai genitori dopo essere stata stuprata a 16 anni e aver tentato il suicidio. Tra le varie punizioni che elenca nei suoi video, parla di essere stata obbligata a portare un sacco di sabbia da 2kg e mezzo ovunque andasse ed aver subito un massaggio forzato da bendata “per risolvere il suo trauma sessuale”.
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Se hai bisogno di parlare con qualcuno, o conosci qualcuno che ha pensieri suicidi, puoi contattare gratuitamente il Telefono Amico al 02 2327 2327 (anche via internet) o la Onlus Samaritans allo 06 77208977.
Più diritti per bambini e minori
Lo scopo di tutte queste testimonianze è uno solo: combattere la pubblicità ingannevole di questo settore, nella speranza di evitare questi traumi a un’altra generazione di ragazzini. “Nello Utah un’intera industria che circonda adolescenti in difficoltà ha consegnato denaro e bambini a controverse strutture residenziali per più di 30 anni”, raccontava il Des Moines Register nel 2016. “Queste aziende tendono ad essere nello Utah. O in Georgia. In qualsiasi stato in cui la legge rende più facile per i genitori la firma dell’affidamento temporaneo, dove le piccole città non possono tradirli per paura di rovinare il più grande business della città”, ha aggiunto in un articolo per Vox Emmett Rensin, un ragazzo sopravvissuto all’esperienza.
L’ultima volta che il governo federale ha provato ad affrontare il tema è stato nel 2008, con la pubblicazione del rapporto “Programmi residenziali: casi selezionati di morte, abuso e marketing ingannevole” del Government Accountability Office. Già all’epoca, il governo era consapevole del fatto che, attraverso “gestione e pratiche operative inefficaci, oltre a personale non addestrato,” il sistema avesse “contribuito alla morte e all’abuso di molti giovani.” Nonostante questo, però, non esiste ancora alcun requisito federale che obblighi le strutture a essere quantomeno registrate.
“Il Congresso e il presidente Biden devono promulgare una carta dei diritti federale di base per i giovani assistiti dalle congregazioni. Ogni bambino collocato in queste strutture dovrebbe avere diritto a un ambiente sicuro e umano, libero da minacce e pratiche di isolamento e contenzione fisica o chimica per capriccio del personale. Se tali diritti fossero esistiti e fossero stati applicati, io e innumerevoli altri sopravvissuti avremmo potuto risparmiare gli abusi e i traumi che ci hanno perseguitato fino all’età adulta,” scrive oggi Paris Hilton – sì, quella Paris Hilton — che è stata gettata in pasto a questo sistema quando aveva sedici anni ed è impegnata in prima linea per smantellarlo. In un documentario pubblicato su Youtube nel settembre 2020, Hilton ha raccontato la sua esperienza di troubled teen, inviata dai genitori in diversi campi di “rieducazione emotiva.”
L’ereditiera denuncia un sistema che non prevede garanzie federali per i minori, lasciati consapevolmente senza garanzie ed esposti al trauma. Questo sistema mette in luce anche l’inadeguatezza del trattamento dei problemi di salute mentale, spesso esacerbati da situazioni familiari in cui l’abuso è la regola. “Il Congresso deve inoltre fornire agli Stati finanziamenti per creare sistemi di segnalazione completi per gli incidenti di abuso istituzionale e per stabilire standard per le migliori pratiche e la formazione del personale. Dovrebbe anche richiedere agli Stati di dimostrare che i diritti fondamentali dei bambini sono protetti,” aggiunge Hilton. “Garantire che i bambini, compresi i bambini a rischio, siano al sicuro da abusi istituzionali, negligenza e coercizione non è una questione repubblicana o democratica: è una questione fondamentale dei diritti umani che richiede un’azione immediata. Chi è al potere ha l’obbligo di proteggere chi non ha potere.”
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