Testo: Emanuela Colaci
Elena D’Acunto ha contribuito a questo articolo
In copertina e all’interno: foto via Facebook / Letizia Moratti
La nuova legge sulla sanità lombarda lascerà intatta la possibilità delle aziende private di fare profitti a scapito dei cittadini. Un approccio che non cambierà e che non rispetta il dovere di programmazione sanitaria. Ne abbiamo parlato con Angelo Barbato, ricercatore presso l’Istituto Mario Negri
La riforma della sanità prosegue il suo cammino verso l’approvazione in Consiglio regionale con qualche difficoltà. Le opposizioni stanno mettendo in atto la tattica dell’ostruzionismo: hanno tenuto interventi lunghi ore durante la discussione della riforma della sanità lombarda. Il primo intervento, di Pietro Bussolati del Pd, è stato venerdì scorso ed è durato sette ore. Ciononostante, la giunta dovrebbe riuscire ad approvare il controverso pacchetto voluto dall’assessora Moratti — la fine della discussione è prevista per il 26 novembre. Qualche giorno fa — e diverse volte negli ultimi anni — abbiamo approfondito le responsabilità della Regione nella privatizzazione sregolata del Sistema sanitario e delle sue conseguenze, come la desertificazione dei servizi di medicina locale e il dilatarsi delle liste d’attesa.
In Consiglio regionale, la ragione principale del dissenso della coalizione Pd, M5s, +Europa-Radicali, Lombardi civici europeisti e Azione riguarda il ruolo del settore privato all’interno del Sistema sanitario regionale, che resterebbe tale e quale al 2015. Le aziende private che partecipano al mercato della sanità sono infatti equiparate alle aziende pubbliche. La riforma rischia di dimostrarsi fondamentalmente inadeguata ad affrontare i problemi emersi durante la pandemia e le varie richieste avanzate da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), l’organismo di controllo centrale che ha bocciato la riforma Maroni del 2015 costringendo la regione a proporne una revisione.
“Il servizio sanitario non è stato concepito in Lombardia come un servizio che gestisce, governa e programma delle verifiche sullo stato di salute dei cittadini e decide quali obiettivi devono avere i servizi per migliorare la loro. Semplicemente ci sono degli erogatori di prestazioni, pubblici e privati, messi sullo stesso piano. Sono loro a decidere quali prestazioni erogare sulla base di alcune generiche indicazioni della regione, che il cittadino sceglie senza che ci sia una programmazione che stabilisca quali sono le cose più importanti.” Il problema, osserva Barbato, non è tanto la presenza dei privati nell’erogazione dei servizi, quanto la mancanza di regolamentazione: “Il privato offre prestazioni, chi ne ha bisogno le chiede e la regione le compra — e le paga. È un sistema di mercato, in cui ci sono due supermercati che vendono dei prodotti: io faccio delle scelte — senza che venga deciso quali sono le cose importanti che servono davvero.”
Oggi, dopo la riforma del titolo V della Costituzione — che ha aumentato i poteri regionali — sono le Regioni ad assicurare i livelli di assistenza sanitaria e ospedaliera. Uno dei principi fondamentali del SSN è il “dovere della programmazione sanitaria di anteporre la tutela della salute dei cittadini a tutte le scelte, compatibilmente con le risorse economiche disponibili”. In Lombardia, invece, la gestione della sanità è stata l’occasione per creare un mercato aperto ai privati non regolamentato: “Dal 1997 sono stati cancellati 22.239 posti letto nelle strutture pubbliche, mentre in quelle private sono aumentati di 2.553 o sono stati trasformati in altre forme di assistenza. Il privato copre il 54,3 % degli acquisti di servizi sanitari e si è “mangiato” il 62 % degli investimenti strutturali della Regione. Gli operatori sanitari pubblici sono diminuiti di 11.768 unità dal 1997 al 2017, registrando un -11,9 %, mentre la media italiana è stata del -7,3 %. C’è inoltre una grave carenza di medici di base, e nei prossimi 5 anni ne mancheranno 4.167 per pensionamento” ha fatto sapere con un comunicato stampa nel 2017 il Coordinamento lombardo per il diritto alla salute che riunisce 57 associazioni contro la riforma Moratti-Fontana.
La mancanza di controllo sulla programmazione — per stabilire quali siano le priorità basate sulle necessità dei cittadini e un’equa partecipazione del privato alla salute di tutti i cittadini — è una delle caratteristiche della Sanità lombarda. Come spiega Barbato, “la parità pubblico-privato si è tradotta in un vantaggio enorme per gli erogatori privati, che possono scegliere quello che fanno e le prestazioni che offrono, non hanno i vincoli del servizio pubblico e quindi possono individuare le prestazioni più remunerative, senza considerare quali sono quelle che hanno un rapporto costi-benefici maggiore e che magari non sono remunerative, come per esempio la prevenzione.”Un problema che ci ha fatto notare anche il consigliere Michele Usuelli, la scorsa settimana.
— Leggi anche: Cosa non va nella riforma della sanità lombarda, secondo Michele Usuelli
Prevenzione fa rima con liste d’attesa, ulteriormente gonfiate durante la pandemia. Anche per accorciare i tempi di attesa, la Regione ha coinvolto il settore privato, condividendo alcune “agende” degli ospedali privati con il Sistema sanitario regionale, in modo da permettere ai pazienti di prenotare in una struttura privata alle stesse condizioni del pubblico. Questo provvedimento non considera diverso obiettivo di chi gestisce la sanità pubblica e quella privata. “La prevenzione non è un’attività remunerativa, quindi i privati non se ne occupano. La Lombardia ha sicuramente delle eccellenze ospedaliere importanti e significative, che però si sono concentrate su prestazioni di nicchia, molto tecnologiche, avanzate e costose. Tanto è vero che all’inizio della pandemia era impossibile contattare i servizi medici sanitari di medicina generale, che erano isolati, senza dati epidemiologici, senza programmazione adeguata” aggiunge Barbato.
La medicina generale e locale è tra le vittime dell’accentramento ospedaliero, testimoniato dalle continue crisi di personale sul territorio. A Milano, la concentrazione dei medici in centro si trasforma in carenze di presidi in periferia, come è evidente dalla situazione nel quartiere Giambellino, dove una popolazione prevalentemente anziana è rimasta senza medico di famiglia. Emergenza ora risolta parzialmente solo grazie all’ostinazione di una farmacista del posto. Anche a Muggiano, alla periferia Ovest di Milano, il Comitato di quartiere ha denunciato una situazione di carenze strutturali. Queste criticità erano state segnalate da Agenas, spiega Barbato: “l’Agenzia del governo ha segnalato che per effetto della legge 15 non c’è più in Lombardia un’articolazione territoriale della sanità centrata sui distretti, cioè un contesto contenitore che gestisse e coordinasse la medicina territoriale. La pandemia ha messo in evidenza che in Lombardia una debolezza — la frammentazione di assistenza territoriale — ha generato un’incapacità di avere questo primo livello di offerta di intervento ai cittadini. Tutta la domanda di assistenza si era riversata sugli ospedali, determinando una situazione gravissima, come abbiamo visto.”
Per rimediare agli effetti della centralizzazione, saranno fondamentali i soldi del Pnrr, una fonte di finanziamento stimata in 4 miliardi di euro. Questi soldi avranno effetti positivi solo a condizione che la sanità territoriale sia ricostruita in dialogo con il territorio spiega Barbato: “È prevista la realizzazione più di 200 case della comunità, però l’identificazione di dove costruirle e in quale modo modo non può essere fatta a tavolino dalla Regione, ci deve essere una consultazione a livello locale. C’è bisogno di comunicazione con i Comuni. I soldi devono essere spesi bene, adeguatamente. Bene significa spenderli in modo trasparente, sulla base di valutazioni precise e di indicazioni che siano oggetto di un dibattito pubblico, piuttosto che a fronte di una delibera della Regione già predisposta.”
Lo stesso appello è stato condiviso dai sindaci lombardi, riuniti in una conferenza stampa a Palazzo Marino il 9 novembre scorso: “Non va bene che la Regione parli solo con Anci (Associazione nazionale comuni italiani), serve un rapporto con ognuno di noi. E al momento non abbiamo avuto contatti diretti con l’assessore Moratti” ha detto Beppe Sala, sindaco di Milano.
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