in copertina, la prima manifestazione studentesca dopo il lockdown. 25 ottobre 2020, Milano. Foto: Marta Clinco
Le politiche abitative inadeguate, aggravate dalla pandemia, continuano ad avere un impatto negativo enorme sul diritto allo studio, con la mancanza di residenze universitarie a prezzi accessibili e di spazi condivisi
“Credevamo che il Covid avrebbe cambiato le regole di come viviamo le nostre città. Invece non è cambiato sostanzialmente niente”. Alessandro Bozzetti, responsabile del progetto HousIngBo, descrive così la situazione abitativa della città durante la pandemia.
Attraverso un questionario inviato a tutti gli studenti dell’Ateneo di Bologna, HousIngBo ha provato a capire il prezzo di una casa in ciascun quartiere, quanto tempo serve per trovare una sistemazione — e se questa sistemazione sia un ripiego o una scelta. “In media uno studente impiega circa 7 settimane per trovare un alloggio, ma circa il 30% impiega ben oltre i due mesi”. La prima indagine, realizzata nel 2019, segnalava un costo medio per una sistemazione di 380 euro, che nel centro storico sale a 450 euro: questa prima ricerca ha fotografato la situazione appena prima del Covid, mentre la seconda si è svolta durante la pandemia. A breve uscirà il terzo report di HousIngBo, che fotografa per il terzo anno consecutivo le stesse difficoltà degli studenti.
La casa non è un diritto per tutti
Gli studenti che si affacciano oggi alla città forse sono ancora animati dall’immaginario di Bologna la rossa, la città di Andrea Pazienza adatta a sperimentare la prima prova di autonomia fuori dal guscio genitoriale, dove anche gli zingari sono felici in Piazza Maggiore ed è possibile trovare una stanza ormai piena di fumo / di sonno, di peccati e di virtù.
Chi arriva a Bologna sente invece l’invasione del mercato del turismo, una sonorità che non fa presagire niente di buono. È un flusso che attraversa le strade e si dirige nei ristoranti, nel tentativo di gentrificare il tortellino bolognese. Proprio a causa del turismo sregolato rimangono senza casa: i prezzi salgono e gli studenti, attratti dalla più antica università d’Europa, si trovano a dormire per mesi sul divano di casa di un amico in attesa di un alloggio
È questa, infatti, l’unica soluzione possibile che tantissimi hanno dovuto adottare dopo mesi di ricerca, di allenamenti ai colloqui con gli affittuari, di disagio di fissare un appuntamento e trovarsi con altri 15 pretendenti per ottenere una camera. Molti di loro si riuniscono sui social e provano a bloccare in gruppo un appartamento, ma spesso le agenzie fanno lo stesso gioco dei privati: organizzano visite con 10 gruppi e chiedono 250 euro per il servizio, che non vengono restituiti in caso di fallimento della trattativa.
“Anche chi l’appartamento riesce a visitarlo grazie a un allenamento muscolare delle dita per digitare ‘ti ho scritto’ sotto ad un annuncio con straordinaria celerità (si contano decine di commenti dopo appena 4-5 minuti dalla pubblicazione) trova case con vetri rotti, prese aggiustate con lo scotch, buchi nelle porte. I prezzi per queste sistemazioni possono arrivare fino a 400 euro e le garanzie richieste sono un contratto di lavoro a tempo indeterminato intestato a chi andrà ad abitare o ad un genitore, fidelussione bancaria per pochi metri quadri di camera” racconta Chiara, una giovane lavoratrice. “L’esperienzapiù tremenda”, dice, “è stata quando mi hanno chiamata per fissare un appuntamento per vedere una stanza, e sentendo il mio accento mi hanno chiesto di dove fossi, per poi dirmiche non volevano meridionali”. La disperazione in questa ricerca riguarda principalmente le matricole e gli stranieri, di cui i proprietari non si fidano, e preferiscono stipulare i contratti con locatari che corrispondono alle loro aspettative.
Diritto allo studio inadeguato e disagio psicologico
Le politiche abitative incidono inevitabilmente sul problema del diritto allo studio. Ogni regione organizza il servizio di borsa di studio autonomamente: l’Emilia Romagna ha scelto di privilegiare un sistema assistenzialista a scapito di uno mutualistico, sicuramente più oneroso e impegnativo, ma più adatto a costituire una risposta a molti problemi del primo modello. Infatti il numero di residenze universitarie, per chi ha un Isee entro i 23 mila euro, riesce a ospitare grossomodo solo le fasce con un Isee sotto i 15 mila euro a causa dell’insufficienza di posti. Questo per esempio porta tutti gli studenti con reddito tra i 15 e i 23 mila euro, definiti idonei non beneficiari, a godere di una maggiorazione della borsa di studio per poter pagare l’affitto. Senza dimenticare che chi ha un Isee superiore ai 23.000 euro non può certo definirsi ricco, oltre alle varie storture proprie del calcolo dell’Isee. A queste dinamiche si sommano i tempi strettissimi in cui deve avvenire la presentazione di un contratto di locazione rispetto all’uscita delle graduatorie definitive e alla presentazione del contratto presso l’Ente, che si aggirano attorno a “una ventina di giorni”, dice Riccardo del Sindacato studentesco Link Bologna.
A questa penuria di servizi si aggiungono altri gravi problemi che interessano gli studenti borsisti: l’ente regionale infatti pretende la restituzione dell’intera somma di borsa di studio se lo studente non riesce a conseguire un numero sufficiente di esami nei tempi prestabiliti. La sospensione della carriera inoltre può essere intrapresa dietro una motivata giustificazione, ma questa fattispecie non comprende le difficoltà psicologiche che hanno interessato gran parte di questa fascia di età durante la pandemia.
Il benessere degli studenti universitari durante la Pandemia da Covid-19 è il titolo dell’articolo di Alessandro Bozzetti di HousIngBo e Nicola De Luigi, professore di Sociologia all’università di Bologn, in cui gli autori indagano il caso specifico dei fuorisede a Bologna nella cornice pandemica. L’elemento relazionale è stato fondamentale per tutti durante il lockdown, e lo è stato a maggior ragione per i fuorisede che, privi di reti sociali e in un contesto urbano non familiare, hanno risentito ancora di più di noia frustrazione e tristezza. Bozzetti e De Luigi fanno notare come dimensione abitativa e benessere psicologico sono strettamente interconnessi. I prezzi degli affitti e il costo della vita aumentano, ma non vale lo stesso per i salari: questo ha , evidenti ripercussioni sul benessere psicofisico. Molti studenti fuorisede durante la pandemia hanno dovuto disporre la propria stanza come luogo adibito a camera da letto, ufficio , zona living e zona relax, rendendo per cui era impossibile la separazione tra momento lavorativo e momento di svago.
La città che cura
La privatizzazione dello spazio è un problema molto serio. Come sottolinea Luca Molinari nel libro Le case che siamo, l’architettura deve essere la risposta alle esigenze sociali delle persone e incidere sul loro benessere. Il rischio è di arrivare piuttosto a qualcosa di simile al distopico progetto di Franco Purini, che teorizzava una città di un milione di abitanti con un milione di case — così che quella stessa città sarebbe poi diventata una necropoli.
Quasi mai le strutture architettoniche delle residenze universitarie rispondono a un’esigenza sociale: le aule studio e gli spazi di interazione e socializzazione spesso sono del tutto assenti o insufficienti. Molte residenze universitarie si strutturano privilegiando gli accessi singoli a camere separate, per cui se uno degli abitanti vive in una condizione di solitudine emotiva o di malessere nessuno ha modo di accorgersene. Fattori che rendono difficile instaurare una rete di mutuo soccorso per casi di depressione e altri disagi psichici acuiti dalla pandemia.
Ripartire da politiche semplici come la riorganizzazione di un canone concordato e una differente elaborazione degli spazi dell’abitare e dello studio sarebbero una risposta a queste difficoltà. È fondamentale capire le conseguenze che la studentification ha portato con sé, cui non si può rispondere con la costruzione di nuovi Student Hotel privati che offrono stanze singole a 900 euro. Si è tanto parlato di cura in questi due anni, ma la città è il primo sistema a dover farsene carico: “Se è evidente che abbiamo bisogno delle comunità per poter condividere, forse è meno ovvio che condividere a sua volta ci aiuta a creare comunità e a rafforzare il sistema democratico” dice Care Collective, il gruppo britannico ideatore de Il manifesto della Cura.