Il Covid e l’instabilità politica stanno contribuendo a un nuovo aumento degli arrivi in Europa — comunque molto lontani a quelli del periodo tra il 2014 e il 2017. L’estrema destra cerca di capitalizzare di nuovo sul flusso dei migranti, che nessuno nell’arco politico sembra interessato a difendere
Centinaia di persone si sono messe in mare nei giorni scorsi per fuggire dall’inferno libico, tenendo impegnate a pieno regime le navi umanitarie delle Ong. La situazione più critica è a bordo della Sea-Eye 4, che in una serie di soccorsi condotti insieme alla Rise Above di Mission Lifeline ha salvato circa 800 persone. 400 sono stati soccorsi soltanto nella notte tra mercoledì e giovedì: si trovavano a bordo di un’imbarcazione di legno a due piani che stava imbarcando acqua, segnalata da Alarm Phone due giorni fa nell’indifferenza delle autorità maltesi. La nave ora sta facendo rotta verso Lampedusa, in attesa dell’assegnazione di un porto sicuro. Il sindaco di Palermo Orlando si è detto disponibile ad accoglierla — incassando gli attacchi della Lega locale.
In mare c’è anche la Ocean Viking di SOS Mediterranee, con 314 naufraghi a bordo dopo l’ultimo salvataggio condotto nella serata di ieri. Ma continuano anche gli sbarchi autonomi — o meglio, i salvataggi a pochi metri dalle coste italiane: il più drammatico è avvenuto a Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, dove 75 migranti, tra cui diversi bambini, si erano incagliati su una barca a vela nel mare in tempesta.
Il Covid e l’instabilità politica nei paesi di provenienza sono alla radice di questo nuovo aumento delle partenze, con numeri però ancora molto lontani dall’emergenza degli anni 2014-2017. Se dall’inizio dell’anno sono sbarcate circa 50mila, il picco di quasi 200mila del 2018 è ancora lontano (ISPI). La retorica dell’allarme immigrazione, però, è dietro l’angolo, fomentata come al solito dalla Lega. Ieri la ministra Lamorgese ha detto che “è giusto che i migranti siano salvati,” ma “è ingiusto che sia solo l’Italia ad occuparsene.” In realtà non è l’Italia a salvare nessuno, ma le navi delle Ong: per il governo italiano le persone in partenza da Libia e Tunisia potrebbero tranquillamente annegare o essere deportate nei lager, dato che nel Mediterraneo centrale non ci sono mezzi italiani a svolgere operazioni di ricerca e soccorso.
Ci sono migranti di serie B, e migranti di serie A: al Viminale è stato appena firmato un nuovo protocollo per aprire un corridoio umanitario rivolto a 1.200 cittadini afgani, selezionati in particolare tra chi ha collaborato con le Ong internazionali. “I corridoi umanitari sono importanti, ma l’iniziativa resta limitata nei numeri rispetto alle necessità,” ha ricordato Filippo Miraglia di Arci, che partecipa al progetto. “Ci sono 2 milioni di afgani fuori dall’Afghanistan. In Europa l’unico paese che ne accoglie un numero significativo è la Germania con 148mila presenze. L’Unhcr ha chiesto il reinsediamento per 42mila persone in 5 anni. Servono interventi più cospicui.”
La situazione dei rifugiati afgani portati in Europa in fretta e furia nei giorni immediatamente successivi alla presa di Kabul da parte dei Talebani, in realtà, è molto complessa. In Germania, il paese europeo che da questo punto di vista è stato più attento in quei momenti complessi, i richiedenti asilo si trovano di fronte a un labirinto burocratico al termine del quale non c’è nessuna garanzia che potranno rimanere in Europa. Le difficoltà e i ritardi nascono dalla natura emergenziale del corridoio umanitario: in quelle ore diversi uffici governativi, organizzazioni umanitarie e agenzie stampa hanno chiesto di aggiungere i propri collaboratori alle persone che potevano subire ritorsioni da parte dei talebani. Tuttavia, questo lavoro accelerato ha fatto sì che fino al mese scorso ancora non esistesse una singola lista unica di tutte le persone che dall’Afghanistan erano arrivate in Germania. Questo calvario, tra l’altro, non garantisce alla fine un permesso di soggiorno: ai rifugiati è concesso un visto per “ragioni umanitarie urgenti” che intitola alla residenza per soli tre anni.
A proposito di Europa: nonostante il vittimismo di Lamorgese, l’arrivo dei migranti interessa anche altri paesi alle frontiere dell’unione. La situazione è particolarmente grave in Polonia, dove negli ultimi mesi si è assistito a una stretta sui diritti umani verso chi prova a entrare nel paese dalla Bielorussia: molti migranti, per la maggior parte provenienti dall’Asia sudoccidentale e dall’Africa sub-sahariana, sono bloccati nelle foreste al confine tra i due paesi, in condizioni climatiche sempre più dure: almeno dieci migranti sono stati trovati morti per ipotermia — l’ultimo, due giorni fa, era un uomo di origine irachena — ma il totale potrebbe essere molto più alto. Dal 2 settembre il governo polacco ha dichiarato lo stato di emergenza sul confine, rendendo ancora più grave la sospensione dei diritti umani nell’area.
E la Polonia, insieme a molti altri stati centrorientali dell’Ue, vorrebbe costruire un muro lungo i propri confini: una misura su cui l’Ue è sostanzialmente d’accordo — a patto di non dover tirar fuori soldi. Secondo il presidente della Lituania, sarebbe un’efficace “misura sul breve termine. Perchè nessuno sa cosa succederà domani.” Ma, come molte organizzazioni umanitarie hanno evidenziato, chi prova a superare il confine tra Bielorussia e Polonia rischia di essere schiacciato da tutte e due le parti. Con l’emendamento del 14 ottobre del Parlamento polacco, chi viene trovato a entrare “illegalmente” nel paese è obbligato a lasciare il territorio — e non può ripresentarsi per un periodo che arriva fino ai 3 anni. Allo stesso tempo, però, il governo bielorusso non permette a coloro che hanno tentato di abbandonare il territorio di retrocedere.
Anche in Grecia la tensione è aumentata. In risposta alla richiesta della Commissione europea di creare un sistema di monitoraggio efficiente dei respingimenti illegali di richiedenti asilo, il ministro greco per la Migrazione Notis Mitarachi ha affermato che eventuali controlli risulterebbero in una “violazione dello Stato di diritto”. Nella realtà, la Grecia è stata accusata di rimandare indietro persone proprio in mare — spesso con l’uso della violenza fisica — affidandole poi alle autorità turche.
La Commissione europea, sulla questione dei respingimenti, rimane ambivalente. Se da un lato richiede agli Stati una maggiore attenzione al rispetto dei rifugiati, dall’altro silenziosamente acconsente alla costruzione di un muro per respingerli. Lo scorso agosto, prima che scoppiasse lo scandalo dei muri a livello internazionale, la commissaria Johansson, in visita in Lituania, aveva definito la costruzione di barriere come “necessaria” e “una buona idea.” Già al tempo, però, era chiaro che la Commissione non fosse dell’opinione di poter finanziare progetti di protezione dei confini nazionali con il budget comunitario.
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in copertina, foto via Twitter @SOSMedItalia