Marco Malvestio e la narrazione come antidoto alla fine del mondo
Esce oggi per Nottetempo “Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene,” un saggio di Marco Malvestio, dottore in letteratura comparata all’Università di Padova. Il saggio si occupa del modo allucinato in cui gli esseri umani raccontano l’imminente fine del mondo con la fantascienza e la
Esce oggi per Nottetempo Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene, un saggio di Marco Malvestio, dottore in letteratura comparata all’Università di Padova. Il saggio si occupa del modo allucinato in cui gli esseri umani raccontano l’imminente fine del mondo con la fantascienza e la distopia
Qualche tempo fa, un pezzo uscito per questa testata titolava “L’Antropocene è diventato di moda?”: la questione è doppiamente attuale. Il passaggio umano sul pianeta Terra, così evidente da lasciarvi un’impronta tale da cambiarne vistosamente l’aspetto, è un’ossessione della contemporaneità. I libri sull’Antropocene sono, anche, per certi versi, una moda letteraria, declinata in tutte le sfumature dalle più accademiche a quelle più pop.
Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene di Marco Malvestio — fuori oggi per edizioni Nottetempo — si inscrive nel solco di questo interesse accademico, letterario ed editoriale, ma fa un buon uso del tema dell’antropizzazione del pianeta terra per parlare di molti altri prodotti, soprattutto di film e di romanzi. L’Antropocene, sul quale il saggio si allarga tornandoci sempre con cerchi concentrici progressivamente più ampi, è il nucleo centrale: il conio del neologismo è del chimico premio Nobel Paul Crutzen, che lo usò pubblicamente per la prima volta nel 2000. La tesi di Crutzen era che fosse necessario trovare un termine con cui descrivere l’epoca, che ebbe un inizio e avrà certamente una fine, della devastazione del pianeta da parte dell’uomo: sulla base di studi che misuravano i cambiamenti ambientali, si disse che l’Antropocene ebbe inizio nel XVIII secolo, come effetto della rivoluzione industriale.
Il trailer di Anthropocene — The Human Epoch di Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky e Nicholas de Pencier
Il saggio di Malvestio si occupa del modo allucinato e angoscioso con cui gli esseri umani hanno raccontato questa epoca, attraverso i macro generi della fantascienza e della distopia. Generi non soltanto letterari e cinematografici, che hanno per oggetto di interesse morboso l’area liminale dove la presenza umana e la sua costante possibilità di dissoluzione vivono l’una accanto all’altra, dandosi spazio e giocandosi attorno. Compaiono così, in quest’ordine, il terrore del nucleare — a partire dalla prima esplosione di una bomba atomica durante un esperimento militare dell’esercito USA: c’è chi propose quella data, il 16 luglio 1945, per tracciare l’inizio dell’Antropocene — e della bomba atomica, quello per i virus, l’ampia angoscia per il cambiamento climatico e l’ansia verso il non-umano, il mondo vegetale e quello degli animali non umani, pensata come angoscia di sopraffazione e terrore della loro scomparsa, alla quale sarà inevitabilmente legata anche quella della nostra specie. Lontana dall’horror, con cui condivide la volontà di mettere in scena il mostruoso, la fantascienza con le sue distopie lavora in modo minuzioso non tanto sull’interiorità grottesca e i mostri della psiche, ma piuttosto sul terrificante e mostruoso di quanto gli esseri umani, nelle loro civiltà avanzate, hanno costruito: e allora la bomba atomica e il dottor Stranamore, contagiosissimi virus zoonotici avanzati nelle metropoli, incendi e alluvioni e città che affondano e così via. Come osserva Malvestio, l’epoca delle catastrofi è già arrivata, e l’Apocalisse in atto è un fatto che non è “umano, troppo umano” quanto invece incredibilmente e drammaticamente umano, nella sua freudiana pulsione di morte. Il saggio non propone una salvezza dalla fine del mondo, se non una tenue speranza di poterlo cambiare indagando la fine con la letteratura. Buona fortuna.
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in copertina, illustrazione: Alexander Antropov / Pixabay