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L’economia del Regno Unito si prepara a una tempesta perfetta, mentre sempre più aziende non trovano dipendenti disposti a lavorare per i bassi salari che offrono

Il discorso di Boris Johnson alla convention del Partito conservatore britannico è stato tutto quello che ci si potrebbe aspettare un discorso di Boris Johnson, tra riferimenti a Thatcher e racconti di quando sarebbe “quasi morto” di Covid–19 il Primo ministro ha presentato un disegno per il futuro del paese che è riuscito a scontentare tutti, ricevendo critiche da laburisti, SNP, e persino dagli ambienti del conservatorismo più convinto. Il premier ha deciso di fare anche in questa occasione ciò che sa fare meglio — divertire e parlare alla pancia del suo elettorato — ma non è sembrato granché padrone della situazione nel proprio paese.

Il Regno Unito infatti è in una crisi economica, lavorativa e sociale molto più profonda rispetto ai paesi dell’Ue che ha abbandonato con la Brexit: in particolare stanno aumentando vertiginosamente i prezzi dei beni di consumo fondamentali e delle risorse come la benzina e il gas. E il paese è attanagliato da una grave mancanza di manodopera — ben esemplificata dal tentativo disperato di trovare camionisti, la cui scarsità è complice della crisi della benzina di pochi giorni fa, per cercare di salvare i consumi natalizi.

La mancanza di manodopera è dovuta a una combinazione degli effetti della Brexit, che ha reso il Regno Unito meno attrattivo per i lavoratori stranieri, e della pandemia, che ha spinto tutto l’Occidente a rivedere il proprio rapporto con il lavoro. Una crisi che dimostra quanto il modello di sviluppo adottato finora si regga sullo sfruttamento dei lavoratori autoctoni e migranti, ugualmente necessari all’arricchimento di chi detiene il potere, sia nel Regno Unito che in Italia.

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in copertina, foto via Twitter