Scalandrê: comunità, riti e tradizioni contro il Covid-19
Scalandrê in romagnolo vuol dire “fuori stagione,” “sfasato”. Il fotografo emiliano racconta come la piccola comunità di una cittadina di tradizione agricola del Nord Italia si stia scontrando con una società in costante cambiamento e con la pandemia
tutte le foto © Marco Zanella/CESURA
Atlas è il nostro spazio dedicato all’immagine e alla fotografia contemporanee. Raccontiamo nuovi progetti – in corso, in via di pubblicazione o appena usciti – attraverso una selezione di immagini e contributi degli autori, con un occhio di riguardo a editoria indipendente e autoproduzioni
Scalandrê in romagnolo vuol dire “fuori stagione,” “sfasato.” Marco Zanella racconta come la piccola comunità di una cittadina di tradizione agricola del Nord Italia si stia scontrando con una società in costante cambiamento e con la pandemia
A fame, peste et bello libera nos Domine.
Liberaci, o Signore, dalla fame, dalla peste e dalla guerra.
Preghiera medioevale
«Non si può sapere quale sia il vero lavoro del contadino: se è arare, seminare, falciare o se è nello stesso tempo mangiare e bere alimenti freschi, fare figli e respirare liberamente, poiché tutte queste cose sono intimamente unite e quando egli fa una cosa completa l’altra»
da Lettera ai contadini sulla povertà e la pace, Jean Giono, 1938
Abbiamo sentito parlare spesso, negli ultimi cinquant’anni, della cosiddetta fine della civiltà contadina. Ne parlò Ermanno Olmi nel celebre L’albero degli zoccoli, che guarda con nostalgia al passato del mondo contadino, una realtà che vede in via d’estinzione inesorabile e che restituisce in tutta la sua carica drammatica. Ne discussero gli antropologi di quel periodo, concentrandosi principalmente sul destino incerto di un Sud Italia considerato la prima e anche l’ultima culla-matrice primigenia di questo legame insolubile con la terra.
Il primo libro di Marco Zanella, Scalandrê – parola del dialetto romagnolo che significa “fuori stagione,” “sfasato” quando riferito a persone, animali o piante – si inserisce in questa tradizione narrativa, ma coglie il senso di un altro momento storico contemporaneo. L’indagine del fotografo emiliano – protrattasi per gli ultimi tre anni in una piccola cittadina di tradizione agricola della provincia di Ravenna – si colloca infatti precisamente a cavallo tra il mondo prima e dopo la pandemia, registrando l’incontro del mondo contadino con il Covid-19. Sullo sfondo, una realtà messa a dura prova dall’incedere della nuova società digitale e dal confronto con un sentimento del tempo alienante, dove il ritmo naturale delle stagioni, delle feste e dei riti — ritmo che ha sempre scandito la vita di una comunità in contatto osmotico con la terra — rischia di essere stravolto e perduto. In questo piccolo cosmo la vita non appare in corsa contro il tempo, ma in processione parallela, affiancandosi al suo scorrere senza innescare un conflitto. Le immagini di Marco Zanella testimoniano l’impegno di una comunità nel preservare dal cambiamento accelerato antiche tradizioni e memorie collettive.
Il volto della città di Cotignola – una delle realtà più particolari ed energiche della nuova civiltà contadina, dove industrializzazione e ruralità trovano un compromesso – diventa paradigmatico di un processo in corso da più di mezzo secolo, ma viene ritratto con soluzioni narrative inedite: la civiltà contadina nelle immagini di Marco Zanella si mostra in realtà solida e inscindibile. Non declina: si afferma.
È un mondo contadino che si adatta, si trasforma e sopravvive, e che trova posto nella nuova realtà della grande industria e delle coltivazioni che sfruttano qualsiasi fazzoletto di terra vacante. È una realtà che rischia di lasciare poco spazio al tempo della vita, dell’amore, delle relazioni, delle stagioni.
Decade l’interpretazione della dialettica tra città e campagna secondo la classica chiave di lettura del conflitto. Ne emerge una più stringente, che delinea lo scontro quotidiano di una comunità in lotta per proteggere quello spazio dalla modernità, e con esso i suoi tempi, i suoi ritmi naturali e biologici.
Una civiltà in movimento tra due dimensioni – pre e post Covid-19 – che guarda dritto attraverso lo schermo, e lì trova il suo superamento. Torna alla terra in modo più consapevole: per non morire, per evolvere.
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La mela cotogna è un frutto noto fin dall’antica Grecia originario di Cotonium, in Asia Minore. Leggenda narra che i pomi d’oro che Ercole dovette rubare alle Esperidi per portare a termine una delle dodici fatiche mitologiche fossero proprio mele cotogne. Scritti risalenti al III sec. a.C. testimoniano che a Sparta la mela cotogna venisse offerta in dono agli dèi, mentre ad Atene già nel VI sec. a.C. un decreto di Solone suggeriva alle future spose di mangiarne una prima di coricarsi nel letto nuziale per la prima notte di nozze: la mela cotogna era simbolo di fertilità, un pegno d’amore.
Del fatto che la città di Cotignola debba il suo nome a questo antico frutto sono pieni i libri di storia locale. Nonostante la mela cotogna figuri anche sorretta dal leone d’oro incastonato nello stemma cittadino, la sua coltivazione è pressoché scomparsa dagli ettari di terreno che circondano la città romagnola. Resiste tuttavia un sottile filo rosso – che chiamiamo qui semplicemente dello spirito della mela cotogna, del suo significato e dell’amore – che giunge dirompente nel libro di Marco Zanella, un personale racconto della civiltà contadina del Nord Italia che ha il sapore del mito. Una narrazione in cui il fotografo vaga per una terra e una comunità dilaniate e poi rimesse insieme, pezzo a pezzo, e che mostrano ancora fieramente i propri punti di rottura.
Lungo tutto il percorso, amore e immagini si accompagnano, per mano, poi collidono, fanno a pugni, e tornano a esistere insieme, nella materia prima da cui tutto nasce, si allontana, e poi torna: la terra. Tornano, sintetizzate, a scorrere lungo quel solco tracciato a più riprese dalla storia a Cotignola, luogo tra i due fronti del secondo conflitto mondiale completamente distrutto dai bombardamenti e poi ricostruito. Scorrono, insieme, nelle acque reflue industriali che ammalano il fiume che attraversa la città, il Senio.
È uno spazio sottile, questo, in cui la storia è sì presente, ma non protagonista: il significato del viaggio di Marco Zanella sta piuttosto nella ricerca dell’innesto del futuro nella memoria, del domani di un mondo rurale colpito non solo da un’industrializzazione e da un’urbanizzazione violente, accelerate, compulsive, ma dalla pandemia: un evento inaspettato e drammatico che ancora una volta nella storia recente ha stravolto non solo la quotidianità, ma le stagioni della vita.
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Scalandrê, il primo libro di Marco Zanella, edito da Cesura Publish, da oggi è acquistabile qui.