Perché è un errore politicizzare il green pass

L’introduzione maldestra del green pass e la comunicazione conflittuale di questi mesi hanno creato una crisi che si poteva evitare e che minaccia la riuscita della campagna vaccinale

Perché è un errore politicizzare il green pass

in copertina, la manifestazione con il green pass di Milano, il 28 agosto. Foto @_bubec, via Twitter

L’introduzione maldestra del green pass e la comunicazione conflittuale di questi mesi hanno creato una crisi che si poteva evitare e che minaccia la riuscita della campagna vaccinale

Oggi comincia la “fase 2” del green pass. Il certificato adesso è obbligatorio anche per accedere ai trasporti a lunga percorrenza, per il personale scolastico, e, solo all’università, anche per gli studenti per frequentare le lezioni in presenza. Per il personale che sarà sorpreso senza green pass scatterà la sospensione del rapporto di lavoro e dello stipendio dopo cinque giorni di assenza ingiustificata.

A un mese dalla sua introduzione, si discute molto poco dell’efficacia del green pass come misura di salute pubblica e come incentivo per spingere le persone a vaccinarsi. In compenso il dibattito si è progressivamente sempre più politicizzato e radicalizzato, con la costruzione di un conflitto che in realtà dovrebbe focalizzarsi su come convincere a vaccinarsi una piccola parte della popolazione — circa il 5% — arroccata su posizioni sostanzialmente antiscientifiche e potenzialmente dannose per la collettività, ma con cui le autorità dovrebbero provare a costruire un dialogo costruttivo. Invece, tra titoli sensazionalistici e proposte incostituzionali, la politica e la maggior parte dei giornali hanno deciso di alzare sempre di più i toni, cavalcando un clima di conflitto sociale tutto giocato sulla contrapposizione tra “noi” e “loro.”

Il campo appare infatti ferocemente polarizzato: da un lato c’è chi vorrebbe estendere l’obbligo di green pass ad altri ambiti lavorativi senza troppe discussioni — il ministro Speranza ha detto ad esempio che il governo sta pensando di estenderlo a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione a partire da ottobre. Dall’altro c’è un movimento vagamente definito come “no vax” o “no green pass,” che sta ottenendo in questi giorni una grande attenzione mediatica dopo i casi di aggressioni e intimidazioni a danno di giornalisti, medici e politici. Un’attenzione forse spropositata rispetto alla reale pericolosità pubblica di questi gruppi. Tra i titoli dei quotidiani di oggi, tanto per dare un’idea, leggiamo “Assalti no vax,” “Tolleranza zero contro i No Vax,” “Follia No vax” e “Pandemia di no vax.” Per le 14:30 davanti a 54 stazioni di altrettante città sono attese le manifestazioni con cui il movimento vorrebbe “bloccare” i treni.

L’opinione sui green pass dell’OMS

Com’è la situazione nel resto del mondo? Pochi giorni fa, l’OMS ha pubblicato un documento di linee guida per le nazioni che hanno deciso di adottare il certificato verde. Da sempre, del resto, l’OMS è contraria all’utilizzo di questo specifico strumento all’interno dei singoli stati, per una serie di problemi etici e pratici legati: invasione della privacy, rischio di frodi, discriminazione verso chi non può fare il vaccino indipendentemente dalla propria volontà.

L’OMS in particolare sostiene anche che l’obbligo di green pass potrebbe ottenere l’effetto opposto, aumentando l’esitazione vaccinale, per la preoccupazione che il certificato sia collegato ad altri dati medici e personali, e utilizzato in futuro per scopi diversi da quelli originari. Per questo raccomanda agli stati di precisare chiaramente quali saranno i confini dello strumento, valutando attentamente rischi e benefici prima di adottarlo, basandosi sempre sulle evidenze scientifiche e non imponendolo “in maniera arbitraria, irragionevole e discriminatoria.”

DDCC:VS sta per Digital documentation of COVID-19 certificates: vaccination status

L’opposizione dell’OMS al green pass non deve sorprendere. L’autorità sanitaria delle Nazioni Unite aveva emesso una nota fermamente contraria alla loro introduzione già lo scorso febbraio, quando si parlava dell’uso solo per rendere possibile i viaggi internazionali. Queste riflessioni erano state aggiornate ancora lo scorso luglio, anche alla luce della circolazione delle varianti. Il documento, pubblicato venerdì,  contiene anche una sezione sulla questione etica dell’uso dei certificati vaccinali. Gli autori tornano a sottolineare, tra le altre cose, che l’efficacia dei vaccini nel prevenire il contagio varia di individuo in individuo, e non sono ancora presenti studi sufficienti per esprimersi a riguardo. L’OMS sottolinea che, in caso in cui il pass sia utilizzato per accedere a locali o ad occasioni in cui sia difficile rispettare le norme anti–contagio di provata efficacia — facendole magari passare in secondo piano — la misura rischia di causare ulteriore contagio.

Non deve sorprendere che l’organizzazione abbia preso una posizione così diversa da quella messa in atto da diverse amministrazioni locali e stati nazionali. Negli ultimi mesi le indicazioni dell’OMS si sono sempre più allontanate dall’azione effettiva degli stati: dalle perplessità sulla partenza dei richiami già questo autunno fino alla distribuzione di vaccini verso i paesi più sfruttati, l’OMS si occupa della pandemia su scala globale, mentre l’obiettivo principale dei singoli stati è contrastare lo scetticismo vaccinale di una percentuale variabile dei propri cittadini — e soprattutto tutelare le attività economiche sul territorio, che con i green pass sono state sostanzialmente rilanciate.

I green pass non fanno vaccinare più persone

A parte le questioni etiche, però, ci sono delle osservazioni pratiche da fare. Come è ormai evidente da settimane — in particolare in Francia, dove il movimento contrario al pass sanitario ha trovato un consenso particolarmente diffuso — l’introduzione dei green pass per accedere alla vita sociale non si è accompagnata alla riduzione dello scetticismo vaccinale. Già il 16 agosto Lorenzo Ruffino, che ha fatto un lavoro di dati e statistica tra i più rigorosi durante la pandemia, faceva ad esempio notare che i primi dati non sembravano suggerire un “effetto green pass” sulla campagna vaccinale italiana.

In questi giorni, le somministrazioni stanno lentamente riprendendo il ritmo dopo il crollo di agosto, ma desta preoccupazione, in vista dell’autunno, il numero di over 50 non ancora vaccinati: sono quasi quattro milioni di persone, come ha ricordato il sottosegretario alla Salute Sileri, secondo cui “l’imminente ondata autunnale potrebbe causare nei prossimi mesi la morte di altre migliaia di persone.” Lo stesso Sileri, una settimana fa, ha detto che se entro metà settembre non sarà raggiunto il traguardo dell’80% di immunizzati il governo valuterà l’obbligo vaccinale per gli over 40.

L’introduzione del green pass per accedere alla vita sociale era stato pensato come uno strumento più “morbido” rispetto all’obbligo vaccinale — e più comodo, per degli stati che ancora faticavano a garantire l’accesso universale ai vaccini. Ma in realtà ha funzionato esattamente al contrario, radicalizzando ulteriormente chi non voleva essere vaccinato.

La questione dell’obbligo vaccinale è infatti altrettanto complessa: in tutto il mondo le politiche a riguardo variano, ma non radicalmente, e finora sono rimaste legate a specifiche categorie di lavoratori o per persone particolarmente a rischio in caso di contagio. L’esempio più diffuso di obbligo vaccinale è avvenuto probabilmente in alcune città delle province dello Zhenjiang, del Fujian e dello Jiangxi, ma i vertici delle autorità sanitarie nazionali sono intervenute rapidamente per impedire che l’obbligatorietà rimanesse vigente troppo a lungo. Anche su questo fronte l’OMS ha pubblicato documenti molto approfonditi che esaminano i meriti e i difetti della vaccinazione obbligatoria. Probabilmente, imporre un obbligo vaccinale sarebbe stata una scelta più matura e coerente rispetto al green pass — che è una scelta pensata, appunto, soprattutto in chiave economica. Il filosofo Peter Singer, su Project Syndicate, solleva a questo proposito uno spunto molto interessante,: siamo sicuri che fosse più “umano” concedere la libertà di non vaccinarsi, se ora dobbiamo discutere sull’accesso a servizi fondamentali come quelli sanitari per chi ha deciso di non vaccinarsi?

Foto @etventadv via Twitter

La strategia della tensione

Come dicevamo, il numero di persone effettivamente scettiche o contrarie alla vaccinazione in Italia in realtà è molto ristretto, e prima dell’introduzione del green pass non si era organizzato con l’efficacia, ad esempio, del movimento Querdenken in Germania. Come aveva anticipato anche l’Osservatorio sul complottismo, una comunicazione sanitaria condotta con toni di confronto e controproducenti sta progressivamente trasformando le persone scettiche ai vaccini, e contrarie ai pass sanitari, in una minaccia per la sicurezza.

Del resto, la comunicazione sanitaria dei governi che si sono succeduti dall’inizio della pandemia è sempre stata paternalistica e distorta, tesa a gettare il peso dell’andamento del contagio sulle spalle dei singoli più che sulle azioni dell’esecutivo, con grande compiacimento della stampa. Un esempio su tutti è l’ormai storica stigmatizzazione dei rider — ma anche la retorica sul green pass si inserisce in questa linea. È stata spesa un’estate, ad esempio, a spargere allarme sul fatto che il personale scolastico non vaccinato avrebbe potuto mettere a rischio la didattica in presenza — quando la percentuale media nazionale di vaccinati tra gli operatori della scuola si aggira sul 90%, raggiungendo in molte aree il massimo della copertura fisiologica possibile.

Il dibattito sul green pass è reso ancora più duro dal fatto che una parte molto ampia della popolazione, ormai vaccinata, spera giustamente di essersi lasciata il peggio della pandemia alle spalle e di riuscire a tornare a una vita per quanto possibile normale. In questa situazione, chi si ostina a non fare il vaccino viene percepito come un attentatore alla propria libertà, faticosamente riconquistata. E il governo, anziché pensare a una soluzione di ampio respiro o più coerente, preferisce alzare semplicemente il livello della tensione sociale per accontentare questa parte di popolazione — e sperare che una parte degli scettici si convinca a vaccinarsi.

Sembra l’agenda politica punti non tanto a convincere chi ancora esita a farsi vaccinare, quanto piuttosto ad arrivare a un confronto quanto più duro possibile tra chi è stato vaccinato — e vorrebbe difendere la propria libertà individuale di fronte allo spettro di prossimi lockdown — e chi finora ha preferito non vaccinarsi: per arrivare dove, non si sa. Ma questa strategia della tensione fa bene a qualcuno?

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