Nonostante livelli di inquinamento molto più alti rispetto alla capitale francese, a Milano il contrasto al traffico automobilistico è ancora molto indietro
Negli ultimi 200 anni, Parigi è la città europea da cui Milano ha provato a prendere più ispirazione a livello urbanistico. Un esempio su tutti è l’operazione ottocentesca di corso Sempione, con il suo viale modellato sui boulevard transalpini e l’Arco di trionfo napoleonico che stabiliscono un collegamento simbolico con la metropoli francese, sulla cui effettiva riuscita si può speculare.
Parigi però negli ultimi anni ha imboccato una strada urbanistica più contenuta e vicina al cittadino rispetto alla grandiosità degli archi di trionfo e alla velocità futurista dei vialoni a quattro corsie. La sindaca Anne Hidalgo ha realizzato negli scorsi giorni una delle promesse della campagna elettorale grazie alla quale è stata confermata alla guida della capitale francese: rendere tutta la città, a parte le tangenziali e le arterie di grande percorrenza, una gigantesca zona 30.
La misura è stata annunciata a luglio: nelle intenzioni della giunta, contribuirà ad aumentare la sicurezza della circolazione, creerà nuovo spazio per i ciclisti, ridurrà il rumore e darà un contributo alla protezione dell’ambiente. Il provvedimento rientra in un piano di più ampio respiro promosso dalla sindaca Hidalgo, che ha già incluso l’espansione delle piste ciclabili e prevede il dimezzamento dei posti di parcheggio disponibili in città.
Su the Submarine abbiamo parlato più volte di zone 30. Nell’aprile 2020, il comune di Milano aveva pubblicato un documento per immaginare la città dopo la prima quarantena. Già in quel momento si intravedeva il potenziale rischio posto dalla pandemia anche su questo fronte, spingendo le persone a ricorrere al trasporto privato, tornando indietro rispetto ai timidi progressi degli anni passati.
In questo documento si prevedeva l’implementazione di diverse zone 30. Milano è decisamente una città a misura di bicicletta: è pianeggiante e ha un’estensione ridotta, e la limitazione del traffico è un problema ancora più urgente: l’area metropolitana milanese è infatti tra le più inquinate del mondo, ben più di quella parigina.
Abbiamo parlato con Andrea Coccia, giornalista fondatore di Slow News e autore del libro Contro l’automobile, in cui si interroga sulla sostenibilità delle auto nel nostro stile di vita e nel nostro ambiente.
Ciao Andrea. Com’è la situazione a Milano sul fronte zone 30?
Al momento la situazione a Milano è che le macchine vanno molto più lente di 30 all’ora perché sono troppe, e le infrastrutture non sono assolutamente adatte ad applicare una misura del genere se la si volesse. Non siamo pronti per un passo del genere.
A Parigi ci sono arrivati perché la sindaca Hidalgo ha fatto delle cose prima e non soltanto lei: in generale Parigi è una città che si è adattata, negli ultimi anni, a limitare lo spazio per le macchine. Avendo strade più strette, tolto parcheggi, erano pronti a una mossa del genere. A Milano forse ci stiamo provando? Ho l’impressione che qualcosa che ci sposti verso quell’ottica stia succedendo, ad esempio con il tracciamento di piste ciclabili dell’anno scorso, ma c’è ancora tanto da fare.
Quali sono i principali ostacoli da superare?
Sono soprattutto politici e comunicativi. Manca il coraggio alle forze in campo: praticamente nessuna a Milano ha in programma un contrasto forte all’uso della macchina in città — io sono un po’ più radicale e secondo me bisognerebbe contrastarlo anche fuori. In città non c’è nessuno che propone una lotta vera, che intenda togliere spazio alle macchine per darlo alle persone, con altre forme di mobilità.
La situazione è questa in tutto il paese?
Non so come mai in Italia siamo arrivati a questa situazione. una volta ero convinto che fosse per la potenza della Fiat — ma anche in Francia ci sono delle grandissimi industrie automobilistiche. Sicuramente però in Italia siamo ancora completamente sprofondati dentro questa cultura dell’auto, e la differenza è evidente quando si passa da Parigi a Milano. La mia compagna è parigina e quando viene e nota com’è pazzesca la differenza di presenza di auto qui. Qui a Milano si parcheggia sul marciapiede, la cosa che vedi di più in strada sono le auto… Queste cose a Parigi non succedono. Siamo una ventina d’anni indietro.
In Italia ci sono sicuramente piccole realtà dove funziona meglio. Milano però dal punto di vista mediatico è quella che si è fatta più notare. In realtà ci sono un sacco di città che hanno già implementato misure, penso a Torino coi controviali a 20 all’ora. Però sono misure che se non sono concepite dentro una politica più vasta rimangono soprattutto degli annunci, che non cambiano veramente le cose.
Esempio: la questione della velocità. È vero che non ha senso mettere un limite se poi devo controllare continuamente il tachimetro. La soluzione credo sia togliere spazio alle macchine: se restringi la carreggiata gli automobilisti sono costretti ad andare meno forte. Prendi un viale come via Palmanova a Milano, ha 4 corsie ed è talmente dritta che potrebbe decollarci un aereo: è chiaro che anche mettere degli autovelox serve fino a un certo punto.
Il problema però non si ferma alle città, o a Milano, vero?
Con tutto questo parlare delle auto in città ho paura che ci dimentichiamo delle vere vittime della dipendenza dall’auto, che sono le persone che vivono fuori e lavorano in città o che semplicemente vivono e lavorano fuori. Moltissimi attivisti dello “svuotiamo le città dalle auto” non riescono a fare il passo successivo e dire “tutte le persone devono avere il diritto di spostarsi senza auto.” Spostarsi con l’auto, checché ne dicano i promotori, non è libero: è a pagamento, costa come minimo 5 mila euro all’anno e non tutti ce li hanno. I poveri ne sono spesso esclusi, e sarà una dinamica che rischia di essere sempre più pressante. Molte persone che risiedono fuori città e lavoravano a Milano hanno perso il loro lavoro — dove si recavano con la macchina comprata proprio grazie allo stupendio, come dice il famoso paradosso. Magari queste persone non riusciranno più a pagarsi la macchina, e magari abitano a 10 chilometri da un supermercato.
Io penso che il problema della dipendenza dall’auto sia da trattare soprattutto per le periferie più che per i centri. Per i centri — beh, se usi le auto in centro città, sei un po’ uno stupido, ci sono già mille alternative. Il problema è fuori. Fuori è effettivamente impossibile vivere senza. Il problema si pone in modo ancora più grave quando l’auto non puoi proprio averla. Nessuno se lo pone mai, ma moltissime persone senza auto sono escluse dalla vita. In Francia in molti, durante la lockdown in cui non ci si poteva spostare più di un chilometro da casa, si sono accorti di non avere un posto dove comprarsi da mangiare a questa distanza.
Perché le auto non possono essere messe in discussione in questo paese? Chi lo fa sembra quasi che attenti alla convivenza civile: passa per un estremista che vuole tornare al Medioevo, oppure che per un idealista idiota. Ben vengano questi annunci, ma credo che prima di poter fare una cosa del genere in Italia e a Milano sia necessario un grosso lavoro di ricalibramento della conversazione pubblica e politica.
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