L’Onu preferisce non sapere quello che succede in Afghanistan

Gli stati membri del Consiglio per i diritti umani dell’Onu hanno deciso di non creare una nuova struttura investigativa per monitorare la situazione in Afghanistan

L’Onu preferisce non sapere quello che succede in Afghanistan

Gli stati membri del Consiglio per i diritti umani dell’Onu hanno deciso di non creare una nuova struttura investigativa per monitorare la situazione in Afghanistan

Ieri si è tenuta anche una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite in cui moltissime organizzazioni ONU e non governative hanno chiesto la formazione di un meccanismo di indagini che permetta di monitorare le violazioni e gli abusi dei diritti umani in Afghanistan. Gli Stati membri, tuttavia, come denunciato da Amnesty, hanno ignorato la richiesta e hanno adottato una risoluzione che non richiede ulteriori aggiornamenti sulla situazione del paese a livello di UNHRC prima del prossimo marzo 2022.

Secondo Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty, “gli stati membri hanno ignorato le richieste chiare e ripetute della società civile e degli attori a livelli di Nazioni Unite.” “Molte persone in Afghanistan sono già a grave rischio di attacchi di rappresaglia.” continua Callamard nel comunicato Amnesty, “la comunità internazionale non può tradirli, e deve urgentemente aumentare l’impegno per garantire un’evacuazione sicura di chi decide di lasciare il paese.”

Al contrario, invece, anche questa volta al G7 non si è concluso niente: il summit virtuale doveva convincere gli Stati Uniti a protrarre la propria presenza militare oltre il 31 agosto, ma la decisione era già stata presa — in modo così evidente che la richiesta, a quanto pare, non è stata nemmeno avanzata: Johnson si è limitato a dichiarare che il ponte aereo continuerà “fino all’ultimo momento possibile.” Si trattava, in fondo, di una battaglia persa. Già due settimane fa il ministro della Difesa britannico aveva esplorato la possibilità di una missione NATO senza gli Stati Uniti, mentre all’epoca i talebani stavano conquistando una provincia dietro l’altra. Al termine della videoconferenza, la presidenza francese ha confermato alla stampa che tutti i leader del G7 erano concordi nel dire che i talebani devono interrompere qualsiasi rapporto con le organizzazioni terroristiche — non esattamente un ragionamento molto avanzato. Anche von der Leyen e Michel non sono usciti dal summit particolarmente entusiasti: il presidente del Consiglio europeo ha dichiarato che sarà necessario “parlare con altri membri della comunità internazionale.” Sulla stessa linea anche l’Italia, che sta lavorando “all’idea” di organizzare un meeting del G20 sulla crisi in Afghanistan.

Finora l’Unione europea ha solo cercato di sfuggire dalle proprie responsabilità sull’accoglienza — ieri Human Rights Watch ha pubblicato un appello in cui chiedeva a Ue e Regno Unito di “guidare lo sforzo internazionale per garantire l’arrivo sicuro dei civili a rischio in Afghanistan.” Lo spazio per un’azione umanitaria, però, si fa sempre più stretto: il portavoce talebano Zabiullah Mujahid ha dichiarato che per i prossimi sei giorni le evacuazioni potranno continuare, ma poi il movimento non permetterà più ad altre persone afgane di lasciare il paese — potranno partire soltanto i cittadini internazionali; dall’altro lato, l’amministrazione Biden e il Pentagono sono concordi nel sostenere che le operazioni statunitensi in Afghanistan saranno concluse proprio entro la scadenza già pattuita del 31 agosto. Biden ha fretta di andarsene: parlando dalla Casa bianca ha dichiarato che “ogni giorno che rimaniamo è un altro giorno che sappiamo che l’ISIS-K passerà cercando di colpire l’aeroporto e attaccare le forze statunitensi e alleate, e civili innocenti.” L’ISIS-K è un ramo del cosiddetto Stato islamico particolarmente attivo in Afghanistan — la K è per la provincia di Khorasan, una regione dell’est dell’Iran. È difficile valutare l’efficacia delle operazioni di evacuazione occidentali perché ad oggi non è chiaro quante siano le persone ancora da evacuare — e le autorità non hanno intenzione di rendere pubblici i loro dati.

Ieri il direttore della CIA William Burns ha incontrato il leader talebano Abdul Ghani Baradar: l’incontro doveva essere segreto, ma è stato fatto filtrare al Washington Post. L’intelligence statunitense ha ovviamente rifiutato di rilasciare commenti riguardo agli argomenti discussi nel meeting, ma il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price ha dichiarato che le discussioni con i talebani sono state “operative” e “tattiche” e concentrate “su quello che succede all’aeroporto.”

Intanto, la Banca mondiale ha congelato gli aiuti economici al paese: l’istituzione non può tecnicamente continuare a offrire sovvenzioni e finanziamenti, almeno finché non ci sarà di nuovo unanimità tra i suoi 189 membri riguardo alla legittimità del governo al potere. In Afghanistan, invece, il Consiglio degli Ulema sciiti ha emesso un comunicato stampa in cui chiede che nel governo talebano “partecipino tutte le religioni e le etnie,” e che il movimento garantisca la sicurezza “delle donne e delle minoranze.”

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in copertina, una riunione tra talebani e politici di Kabul. Foto: @IeaOffice / Twitter