330 mila posti salvati dal blocco dei licenziamenti
Negli ultimi 30 anni la disuguaglianza nei redditi è cresciuta di quasi il 50% — e la disuguaglianza salariale è raddoppiata. È in questo contesto che l’Inps ha fotografato l’impatto della pandemia sull’occupazione, poche settimane dopo la fine del blocco dei licenziamenti
foto: Presidenza del Consiglio dei Ministri
Negli ultimi 30 anni la disuguaglianza nei redditi è cresciuta di quasi il 50% — e la disuguaglianza salariale è raddoppiata. È in questo contesto che l’Inps ha fotografato l’impatto della pandemia sull’occupazione, poche settimane dopo la fine del blocco dei licenziamenti
Il blocco dei licenziamenti, finché è rimasto in vigore, ha salvato 330 mila posti di lavoro: i licenziamenti economici sono stati circa la metà dei 560 mila medi dei due anni precedenti. Nonostante ciò, il 2020 ha visto una marcata riduzione del numero degli occupati: -2,8%, con un crollo del 7,7% delle ore lavorate e una riduzione del 4,3% della retribuzione media. Lo certifica il XX Rapporto annuale dell’Inps, presentato ieri dal presidente dell’Istituto Pasquale Tridico. Sul fronte degli interventi messi in campo per fronteggiare la crisi, Tridico ha parlato dell’ampia adozione della Cassa integrazione — aumentata di circa 13 volte — e ha difeso il Reddito di Cittadinanza: mentre la disuguaglianza dei redditi annuali è cresciuta di quasi il 50% negli ultimi 30 anni, secondo Tridico il RdC ha mostrato una “inequivocabile efficacia nel contrasto alla povertà,” diventando “un fattore determinante per 1,8 milioni di famiglie contro un impatto ancor peggiore dalla crisi.”
I lavoratori con contratti a tempo determinato sono quelli che hanno subito maggiormente le conseguenze economiche della pandemia. Ne avevamo parlato qui
Ora che il blocco dei licenziamenti non c’è più, il governo è costretto a fronteggiarne le conseguenze: per giovedì il ministero dello Sviluppo Economico ha convocato le parti sociali e la proprietà di Gkn, l’azienda di Campi Bisenzio che ha annunciato 422 licenziamenti nei giorni scorsi. Regione Toscana e i sindacati ne chiederanno il ritiro, mentre da più parti si chiede il coinvolgimento di Fiat-Stellantis — dato che la Gkn produce componenti che all’80% vengono montati sulle auto Fiat. Secondo il presidente della Toscana, Eugenio Giani, “la legislazione italiana deve cambiare, deve adeguarsi. Oggi non hai più davanti degli imprenditori, in questo caso la logica che ha portato a dire ‘si chiude’ non è una logica di produzione, è una logica finanziaria.” Più fatalista(?) il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti, secondo cui “purtroppo è inevitabile che queste cose accadano,” ma “non possono accadere in questo modo, perché noi abbiamo in mente di fare il West, non il Far West.”
In questi giorni si è assistito infatti anche da parte di molti commentatori e del ministro Orlando alla formulazione di una teoria interessante: quella secondo la quale le trattative con questi “nuovi padroni” sarebbero per loro natura più difficili rispetto a quelle con i “vecchi padroni.” Come nel caso dei discorsi sul fantomatico “algoritmo” che impedirebbe una dialettica lavorativa sana tra aziende e rider, è importante ricordare che anche dietro questi fondi ci sono interessi personali e persone fisiche che portano avanti i propri interessi. I fondi, inoltre — proprio come i capitalisti “normali” — sfruttano semplicemente i passaggi normativi messi a disposizione dal governo, che ha voluto a tutti i costi abolire il blocco dei licenziamenti e ora sembra incapace di gestirne gli effetti, o almeno di non farsene sorprendere.
Commentando i dati sul Reddito di cittadinanza, il ministro del Lavoro Orlando ha chiesto di smetterla con quella che sembra una “pericolosa, sbagliata campagna contro i poveri” intrapresa dalla destra e in particolare da Renzi, che ha addirittura proposto un referendum per abrogarlo: “Lo dico perché credo che la discussione che si sta sviluppando prescinde completamente dai dati che emergono dal rapporto.” Ad esempio, si parla spesso della scarsa utilità del RdC nel far trovare un nuovo lavoro ai suoi percettori — ma si parla poco del fatto che gran parte dei beneficiari non sono occupabili: 1 milione e 350 mila sono minori, 450 mila sono disabili o persone con difficoltà fisiche e psichiche che non hanno pensioni di invalidità, mentre circa 200 mila percepiscono la pensione di cittadinanza. In totale i percettori sono 3,7 milioni, per un importo medio mensile di 552 euro per nucleo familiare.
Il Rapporto annuale dell’Inps parla anche di pensioni, prendendo in esame tre ipotesi di riforma di Quota 100 — misura che, secondo Tridico, non “mostra evidenza chiara” di aver stimolato le assunzioni dei più giovani. L’ipotesi di passare a “Quota 41” — cioè la possibilità di uscita anticipata con 41 anni di contributi, a prescindere da vincoli anagrafici — peserebbe lo 0,4% del Pil, molto più di altre due opzioni: la prima prevede il pensionamento a 64 anni con 36 di contributi (oppure 20 di contributi ma con un importo inferiore dell’assegno); la seconda prevede invece un anticipo pensionistico per la sola quota di pensione contributiva maturata al raggiungimento dei 63 anni di età e con almeno 20 anni di versamenti e un importo minimo pari a 1,2 volte l’assegno sociale — ed è l’opzione meno onerosa per le casse statali.