Che cosa sta succedendo alla Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto
Le lavoratrici e i lavoratori ci hanno raccontato di uno stabilimento in cui da 15 anni si assumevano solo interinali e per il quale la proprietà non aveva progetti. Ma nessuno si aspettava una crisi come questa
tutte le foto: Giacomo Ravetta
Le lavoratrici e i lavoratori ci hanno raccontato di uno stabilimento in cui da 15 anni si assumevano solo interinali e per il quale la proprietà non aveva progetti. Ma nessuno si aspettava una crisi come questa
Sabato alla Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto — dopo che negli scorsi giorni hanno portato solidarietà lo stesso Letta e Draghi — è arrivato il segretario della Cgil Maurizio Landini, che ha parlato di “un’operazione condotta in stile far west.” Lunedì l’azienda dovrebbe pronunciarsi sulla proposta, avanzata dai sindacati, di riaprire la fabbrica per non perdere commesse e clienti — dato che lo stabilimento era in attivo e con molto lavoro quando è stato chiuso dalla proprietà, il fondo di investimenti tedesco Quantum.
La Gianetti è stato il primo esempio di come il sollevamento dello sblocco dei licenziamenti abbia dato il via a una “mattanza sociale,” come ha dichiarato davanti ai cancelli dello stabilimento il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni. Abbiamo raccolto le testimonianze dei lavoratori che ieri si sono incontrati con Landini. Davanti ai cancelli dello stabilimento sono stati eretti due gazebo, per dare un po’ di ristoro dal caldo soffocante ai lavoratori in protesta.
L’atmosfera generale al presidio è piuttosto disillusa. Soprattutto, i lavoratori concordano sul fatto che si debba fare in fretta, riaprendo la fabbrica al massimo entro il prossimo fine settimana: i clienti dell’azienda, come Volvo e Iveco, non possono aspettare i comodi della proprietà di Gianetti ed è solo questione di tempo prima che si rivolgano ad altre ditte. Ecco perché hanno chiesto a Landini di fare in fretta — il segretario della Cgil ha promesso che sottoporrà la questione al governo il prima possibile. Non è chiarissimo cosa possa fare però il governo stesso — Landini confida che l’esecutivo intervenga perché chiudere la fabbrica sarebbe sostanzialmente una macchia per la dignità del paese.
L’accordo last minute sul blocco dei licenziamenti, raggiunto lo scorso 30 giugno nel tentativo di scongiurare gli effetti peggiori della fine del blocco, non sembra essere del tutto vincolante. Le aziende si impegnano a esaurire tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione prima di procedere ai licenziamenti, ma nel testo si legge semplicemente che “le parti sociali […] si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali.”
A Ceriano, le persone intanto rischiano di trovarsi senza stipendio da un giorno con l’altro. A. lavora in Gianetti da più di 25 anni. “La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, e ora molte famiglie si trovano in impossibilità di poter continuare a vivere come prima. Ho sentito dire che senza la proroga del blocco questa situazione si sarebbe venuta a creare anche in precedenza, ad aprile, quando doveva essere sollevata la prima volta.”
I lavoratori della fabbrica concordano nel dire che la nuova proprietà, il fondo tedesco di investimenti Quantum, non sia arrivato con un piano di investimenti particolarmente coraggioso e che in generale non abbiano mai tenuto in considerazione il futuro della fabbrica e — si potrebbe dire — la dignità del lavoro del suo personale. “Ricordo che tre anni fa, quando si era presentata una persona rappresentante dei tedeschi, al personale aveva detto nel suo discorso che sarebbe durata tre anni.” Una previsione che se fosse vera sarebbe inquietante, vista la decisione presa da Quantum successivamente. Una decisione non spiegabile con un’eventuale crisi della fabbrica, secondo A: “Si faceva tutto quanto quello che è possibile coi turni, anzi, era stata decisa la possibilità di poter estendere gli straordinari anche la domenica in caso di volumi di lavoro rilevanti.”
D. invece lavora in Gianetti da ventiquattro anni. “Il lavoro in Gianetti non era male. Ti facevi le tue otto ore, conoscevi il tuo lavoro e dunque te lo potevi gestire… ci aiutavamo anche a vicenda. Onestamente avevamo sospettato che qualcosa stesse per accadere perché l’ultima proprietà, il fondo Quantum, non ha mai avuto un progetto vero e proprio. C’era il sentore che avrebbe ridotto ancora e chiesto la cassa ordinaria o straordinaria, o magari una riduzione di salario. Questo epilogo qua no.”
“Il problema è che si deve risolvere entro questa settimana,” ci fa notare ancora D. “Altrimenti tutto il materiale che abbiamo dentro, commesse, clienti…a quel punto non avremmo più possibilità di lavorare. Se ci fanno rientrare ci teniamo le commesse e i clienti, e quindi poi si continua.” La Gianetti ha anche un’altra filiale in Lombardia, che potrebbe risentire della chiusura dello stabilimento di Ceriano. “Il problema è che poi andremmo a intaccare anche lo stabilimento di Brescia. Se non apriamo qui, anche i clienti di là è facile che dicano — cavoli, hai chiuso di qua in ventiquattr’ore, chi me lo dice che domani ti do commesse, soldi e non chiudi anche di là?”
D. ha una moglie e una figlia. “Mia moglie lavora ma le rinnovano il contratto ogni due mesi, in un call center. Adesso glielo hanno rinnovato fino al 31 di agosto, poi bisogna vedere se dopo le rinnovano il contratto. La sicurezza, tra virgolette, era questa: il posto fisso, lo stipendio abbastanza regolare. Qui alla Gianetti pagavano nella media delle aziende della Lombardia.” Mentre parliamo con D, si inserisce nella conversazione un altro operaio, per farci notare i salari pagati sono giustificati dall’anzianità dei lavoratori: “Io ho 42 anni e lavoro qua da 23, ho anche una certa anzianità. Non sono stipendi di ieri, tra salti di categoria eccetera.”
È una quindicina d’anni infatti che in Gianetti non viene assunto più nessuno. L’ultimo assunto direttamente dall’azienda è arrivato circa 15 anni fa: da allora i nuovi lavoratori in genere sono stati presi in appalto da agenzie di somministrazione del lavoro, mantenendoli in una forma di precariato debilitante. “Gli interinali,” come vengono chiamati dagli operai assunti, hanno lavorato in fabbrica fino alla notizia della chiusura, e anche se verrà riaperta non è chiaro quale sarà il loro destino. Come al solito, il loro futuro rischia di essere ancora più incerto di quello degli operai regolari. Alcuni lavoratori ci hanno fatto notare che gli interinali arrivavano con compiti specifici e teoricamente non di operaio, “ma poi stavano in linea e lavoravano con noi.”
“Nell’arco degli anni noi abbiamo perso un centinaio di persone,” commenta D. “Doveva esserci un po’ di turnover, anche perché un po’ di professionalità manca già. Oggi siete in tre? Se domani uno di voi va via rimanete in due, non ne assumo un altro, vi arrangiate. Si sperava che prima o poi la proprietà tedesca avrebbe investito, ma erano già tre anni che non lo facevano.”
“Io è vent’anni che lavoro come impiegata in Gianetti.” A parlare è G, che non sta in linea ma seduta dietro la scrivania degli uffici amministrativi, dove svolge diversi compiti: “Prima contabilità, poi sicurezza, ufficio acquisti — di tutto un po’. Ad esempio adesso lavoro anche in ufficio acquisti perché un ragazzo che ci lavorava è andato via, e allora mi hanno chiesto se ero disposta a fare anche l’ufficio acquisti.” Con un aumento? “Di lavoro, certo! Di stipendio no, è parecchio che non si vedono più aumenti. Abbiamo sempre lavorato, il lavoro c’era e ce n’era anche tanto e ce n’è ancora. Abbiamo materiale lì fermo, pronto da lavorare.”
Il licenziamento improvviso dunque è ancora più di difficile interpretazione, e tradisce una assoluta mancanza di rispetto per la dignità umana dei dipendenti della fabbrica. “Io sono sposata, non ho figli però — tu imposti le tue entrate con il mutuo, la macchina, un finanziamento per comprarti qualcosa… Fortunatamente c’è mio marito che lavora. Prende uno stipendio minimo però, quindi avremo anche noi i nostri problemi, dovremo vedere di chiudere qualcosa o sospendere, visto che con uno stipendio solo non ce la si fa comunque.”
A questo punto ci si prepara anche al peggio, visto che il tempo stringe e una soluzione è tutt’altro che garantita. “Noi speriamo almeno nella cassa integrazione, due anni… C’è tanta gente che non ha moltissimo tempo prima della pensione, già se fai due anni di Naspi e due anni di cassa integrazione praticamente ci arrivi.” Come spesso succede, potrebbe essere lo stato a finanziare direttamente l’ingordigia degli imprenditori — che, in ogni caso, si regge sulle spalle dei lavoratori e dei più deboli.
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