testo: Marta Clinco e Stefano Colombo. Foto: Marta Clinco
in copertina: Sit-in di protesta davanti agli uffici dell’anagrafe in Via Larga degli ex occupanti di Via Iglesias dopo lo sgombero del 24 giugno. Milano, 26 giugno 2021
Dal 1° luglio è iniziata la prima delle tre fasi dello stop al blocco degli sfratti. La decisione del governo minaccia di trasformarsi in un’emergenza sociale, ma le autorità locali continuano a gestire la situazione solo con strumenti punitivi
Con il ritirarsi della pandemia e la conversione in legge del decreto Sostegni è arrivato anche il via libera agli sfratti. La fine del mese di giugno ha corrisposto alla fine del blocco dei licenziamenti, che è stato al centro di una dura contesa sociale tra il governo — che ha sostanzialmente rappresentato Confindustria — e i sindacati. La fine blocco dei licenziamenti è stata giustamente definita da più parti come “una bomba sociale,” mentre la fine del blocco degli sfratti, nonostante possa avere conseguenze gravi sulle condizioni di vita di chi ne sarà colpito, è rimasto alla periferia del dibattito pubblico.
Le esecuzioni degli sfratti saranno divise in tre scaglioni: già dal 1° luglio sono tornati attuabili le richieste di sfratto depositate prima del 28 febbraio 2020, ovvero prima dell’inizio della pandemia. Il secondo scaglione di sfratti attuabili partirà il 1° di ottobre e riguarderà le richieste depositate dai proprietari dal 28 febbraio al 30 settembre 2020. L’ultimo blocco partirà dal 1° gennaio del prossimo anno e renderà attuabili le richieste di sfratto depositate nell’ultima fase della pandemia, dal 1° ottobre 2020 al 30 giugno 2021.
Come riporta il Fatto Quotidiano, l’Unione inquilini ritiene che la situazione “rischia di diventare una vera e propria emergenza nel corso dei prossimi 12 mesi.” Secondo la segretaria romana dell’Unione, Silvia Paoluzzi, “nella sola capitale ci sono state 50mila richieste di contributo affitto Covid e che secondo il Tribunale di Roma, fino a settembre 2020, in media sono state depositate 500 richieste di sfratto a settimana.” Bisogna osservare che in realtà, nonostante il blocco degli sfratti, sono state effettuate anche durante la pandemia operazioni di sgombero quantomeno controverse, come lo sgombero in forze di polizia di una palazzina occupata a Milano, in piazzale Cuoco, a luglio del 2020.
Anche a Milano infatti la situazione abitativa è grave, e il sollevamento del blocco degli sfratti rischia di portare a una nuova ondata di sgomberi oltre a quelli sommersi che sono avvenuti dall’insorgere della pandemia a oggi. L’ultimo si è verificato un paio di settimane fa in Via Iglesias, lungo il naviglio della Martesana. Dopo tre anni di occupazione, dall’ex fabbrica al numero 27 vengono allontanate una cinquantina di persone, 7 famiglie con bambini e diversi lavoratori precari. Come spesso accade, lo sgombero è stato messo in atto senza tenere conto né delle condizioni delle famiglie sgomberate né della realtà costruita dagli occupanti nel corso degli anni.
“Si trattava di una palazzina che versava in stato di abbandono estremo da anni. Con l’impegno degli occupanti è stata recuperata e riqualificata, dando un tetto a persone che vivevano in strada. Con loro questo posto ha ripreso a vivere, quattro bambini sono nati durante l’occupazione,” ha dichiarato la rete solidale Ci Siamo, che ha accompagnato il gruppo molto unito di abitanti di Via Iglesias in un percorso iniziato in realtà con altre occupazioni precedenti, l’ultima quella di Via Palmanova terminata nel 2018.
Dal momento dello sgombero, avvenuto il 24 giugno — dunque, anche in questo caso, prima dell’effettivo termine del blocco degli sfratti — alcuni nuclei familiari sono stati ospitati tramite il comune al Koala Hostel, dietro Piazzale Loreto. I disagi però sono quotidiani: “Vivere in 6, con quattro bambini, in una stanza d’ostello senza modo di muoversi, cucinare o lavare i vestiti è terribile. La situazione è temporanea, ma il Comune deve darci in fretta un’altra soluzione che ci permetta di vivere con dignità” racconta una degli ex occupanti. Da due settimane il gruppo si organizza in riunioni all’aperto che avvengono nella piazzetta di Via Liscate, accanto all’ex fabbrica dietro la Martesana, o in due delle altre occupazioni in zona che stanno ospitando i senza casa, come quella di Via Esterle e la ex San Carlo in zona Udine, a pochi chilometri da via Iglesias.
L’ex San Carlo è un’occupazione recente, figlia della pandemia, dove convivono stranieri e italiani che collaborano per rendere abitabile uno stabilimento che come molti altri versa in stato di abbandono da anni. Dal 24 giugno, il giorno dello sgombero, si sono susseguiti sit-in di protesta e riunioni in varie zone della città, tra la prefettura di Milano, Palazzo Marino e le periferie. Ma ancora non è chiaro quale sarà il destino di queste 50 persone, nuovamente senza casa in un momento come quello che viviamo, che accentua e esaspera ogni fragilità spesso fino alla disperazione: “Ancora una volta si preferisce spostare il problema piuttosto che trovare soluzioni abitative per una comunità integrata nel territorio”, dichiara inoltre Ci Siamo, “Una comunità di famiglie e lavoratori che fanno parte del tessuto produttivo di questa città. Ci sta bene che curino i nostri anziani nelle cliniche, che raccolgano frutta e ortaggi nei nostri campi o che facciano le pulizie nei condomini, purché la notte poi scompaiano perché non c’è posto per loro in questa città.”
È fondamentale notare che trovare un posto dove stare per queste persone non significa ridare loro dignità. Aler e comune di Milano ad esempio hanno trovato la scorsa settimana un’intesa per le persone fragili e sgomberate, firmando un protocollo per individuare strutture per famiglie e individui in stato di necessità che occupano case popolari e sono dunque soggette a procedure di sgombero. Ovviamente non verrà dato loro uno dei molti alloggi popolari ancora vuoti a Milano, ma verranno individuate e adattate strutture che consentiranno di vivere in una sola casa a più famiglie, in condizioni più punitive rispetto a una casa popolare — secondo quanto riporta Fanpage, “l’Amministrazione darà precedenza alle case che potranno dar la possibilità di costruire dei piccoli hub con servizi igienici e cucina da condividere e delle stanze da letto riservate poi a ciascuna famiglia.”
L’emergenza abitativa, come molte altre cose, è stata inasprita dalla pandemia, che ha acutizzato le disuguaglianze sociali nel paese. Non è un mistero che la pandemia e il lockdown abbiano avuto effetti gravi sul reddito e il tenore di vita soprattutto delle fasce sociali più svantaggiate. Secondo dati Istat diffusi lo scorso 16 giugno, la povertà assoluta in Italia riguarda poco più di 2 milioni di famiglie e 5,6 milioni di individui — rispettivamente il 7,7% e il 9,4% del totale — in aumento di un milione rispetto al 2019: è il livello più elevato dall’anno in cui sono iniziate le serie storiche, il 2005. Se si considera invece la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni, in lieve diminuzione dal 2019, il 10,1% del totale.
Ovviamente la povertà non colpisce tutti allo stesso modo: l’incidenza è nettamente superiore tra gli stranieri (29,3% contro 7,5% dei cittadini italiani), tra le famiglie con un maggior numero di componenti e tra le famiglie monogenitoriali, che registrano il peggioramento più marcato dal 2019. A dimostrazione che l’Italia è un paese fondato sul welfare “informale” delle persone più anziane e ostile al lavoro giovanile, la povertà familiare diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento: riguarda il 10,3% delle famiglie con una persona di riferimento tra i 18 e i 34, il 5,3% di quelle con una persona di riferimento oltre i 64 anni. Le famiglie con minori in povertà assoluta sono oltre 767 mila: in totale, 1 milione e 337 mila minori, il 13,5% del totale.
Nonostante l’evidente gravità della situazione, i sussidi a sostegno delle famiglie e dei cittadini più poveri e in generale tutto ciò che è assistenza statale sono da mesi sotto l’attacco costante di una campagna di stampa che ignora sistematicamente il problema dei bassi salari, della precarietà dei contratti e dell’irregolarità diffusa in questi settori, e porta all’attenzione del grande pubblico prevalentemente gli interessi dei padroni. Anche il blocco degli sfratti non fa eccezione: il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha commentato lo “scaglionamento” del blocco degli sfratti — ritenendolo un’ingiustizia verso i poveri proprietari — con parole piuttosto oscure ma molto livorose:
Il blocco dei licenziamenti – a carico dello Stato – si avvia alla conclusione. Quello degli sfratti – a carico dei proprietari, senza reddito da almeno due anni e senza risarcimenti – è stato appena prorogato al 30 settembre e al 31 dicembre.
Figli e figliastri.— Giorgio Spaziani Testa (@gspazianitesta) June 29, 2021