Una monarchia assoluta sta facendo una grave ingerenza nella politica italiana, ma nessun partito della molto ampia coalizione di governo ha intenzione di fare qualcosa al riguardo
Le esplicite ingerenze del Vaticano sull’iter del ddl Zan hanno innescato un aspro dibattito politico, ma nessuna reazione abbastanza dura contro un tentativo senza precedenti, da parte della Chiesa, di ostacolare una legge di iniziativa parlamentare italiana: anche il segretario del Pd Letta ieri si è detto “pronto al dialogo sui nodi giuridici,” pur ribadendo il proprio sostegno al provvedimento.
In molti da destra hanno interpretato le sue dichiarazioni come un’apertura alla possibilità di cambiare il testo del ddl — che equivarrebbe ad affossarlo, richiedendo un altro passaggio parlamentare. Il relatore leghista della legge nella seconda commissione del Senato, dove il testo è arenato, ha invitato tutti i partiti a “sedersi a un tavolo” per inaugurare una fase di “confronto leale e costruttivo.” Salvini — che ovviamente ha accolto bene la presa di posizione del Vaticano — si è detto pronto a incontrare il segretario dem per discuterne.
Una nota successiva del Nazareno ha parzialmente corretto le affermazioni di Letta, sostenendo che il Pd resta “convintamente a sostegno del ddl Zan.”
Abbiamo letto indiscrezioni oggi sul @corriere e attendiamo quindi di vedere i contenuti della Nota della Santa Sede lì preannunciata. Ma abbiamo fortemente voluto il #DDLZan, norma di civiltà contro reati di odio e omotransfobia e confermiamo il nostro impegno a farla approvare.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) June 22, 2021
Ieri il presidente del Consiglio aveva schivato una domanda durante la conferenza stampa con Ursula von der Leyen: “Domani [oggi, ndr] sarò tutto il giorno in Parlamento, me lo chiederanno sicuramente, e risponderò in modo più strutturato di quanto potrei fare oggi.” La stessa domanda è stata girata alla presidente della Commissione europea, che ha rifiutato di fare commenti espliciti su una legge italiana, ma ha sottolineato che “i trattati europei sono decisamente chiari, all’articolo 2 proteggono la diversità, la dignità di ogni singolo essere umano e proteggono la libertà di espressione” — e quest’ultimo sembra un po’ il classico colpo al cerchio, colpo alla botte, dato che il Vaticano accusa il ddl Zan proprio di violare la libertà di espressione.
Ma cosa potrà dire oggi Draghi in parlamento? È molto improbabile che il premier, fervente cattolico praticante e a capo di una maggioranza fortemente sbilanciata a destra, si pronunci con forza contro l’ingerenza vaticana e difenda un ddl che finora non ha mai difeso. Quasi certamente, Draghi cercherà una mediazione tra le forze di maggioranza e il Vaticano, per mandare un segnale di distensione, e difenderà la piena legittimità del Concordato, contro chi parla di intrusioni illegittime e fuori luogo. Fino a pochi giorni fa l’asse Pd-M5S si diceva pronto a bypassare l’ostruzionismo delle destre portando direttamente in aula il ddl già a luglio — ma l’intervento del Vaticano rischia di far saltare tutto. Secondo un retroscena successivo del Corriere, il Vaticano, tra le altre cose, lamenta la mancata esenzione delle scuole cattoliche dalla Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. C’è anche un passaggio, sempre riportato dal quotidiano, in cui il Vaticano spiega che “ci sono espressioni della sacra scrittura e della tradizione ecclesiale del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa rivelazione divina,” una argomentazione che, insomma, dovrebbe interessare molto il governo di uno stato laico.
Bisogna prendere atto, insomma, che tra le forze parlamentari — ad eccezione di quelle residuali, come Sinistra Italiana — non c’è nessuno disposto a schierarsi apertamente contro la Chiesa. Un ruolo che deve essere quindi assunto da alcuni personaggi in vista del mondo dello spettacolo, come il solito Fedez, che ha ricordato le tasse non pagate sui beni ecclesiastici, o Elodie, che su Instagram ha ringraziato i propri genitori per non averla battezzata.
Non si contano, del resto, le circostanze in cui la Chiesa ha frenato il progresso sociale del paese: basti pensare al divorzio, introdotto solo nel 1970 e confermato dal referendum di quattro anni dopo, e all’interruzione di gravidanza, riconosciuta solo nel 1978 e confermata dal referendum nel 1981.
In tempi relativamente più recenti, si può menzionare la battaglia della Cei contro la fecondazione assistita nel 2004, il crudele e compatto fronte cattolico sul caso di Eluana Englaro, e la guerra santa contro i pericolosi Dico — i Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi — del governo Prodi. Ancora oggi molte lobby cattoliche, più o meno legate al Vaticano, spingono per limitare il diritto all’aborto.
Un segnale di debolezza?
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, il fatto che il Vaticano abbia scelto di appoggiarsi alla minaccia esplicita di impugnare i Patti lateranensi potrebbe essere un segno di debolezza della Santa sede, che su questo tema potrebbe sentire di non riuscire a influenzare la politica italiana da dietro le quinte come ha sempre fatto. Questa ipotesi combacia anche con i toni più smorzati che si sono visti contro il ddl Cirinnà, a cui la Chiesa si è sì opposta con fermezza, ma in modo molto meno aggressivo che in passato.
Ma il caso esploso ieri ha riaperto il dibattito sull’opportunità di rimettere in discussione il concordato tra Chiesa e stato italiano: è possibile che il paese abbia ancora bisogno di sostenere un impianto diplomatico nato per risolvere questioni risorgimentali, che rendono esplicita la collaborazione tra una teocrazia assoluta e uno stato laico, offrendogli diversi privilegi e agevolazioni economiche?
È un’occasione per tornare a parlare anche dell’8 x mille e dell’ora di religione nella scuola pubblica: proprio l’ambito educativo è quello che sembra destare più preoccupazioni al Vaticano, per via dell’obbligo di preparare iniziative per la giornata nazionale contro l’omofobia che sarebbe esteso anche alle scuole private.
Come scrive Michela Murgia su la Stampa, “perché per una parte del sistema scolastico finanziato dallo stato dovrebbero valere leggi diverse da quelle che valgono per tutti gli altri? Se le scuole cattoliche rivendicano la qualifica di paritarie, sarebbe ora che lo fossero in tutto, non solo quando si tratta di ricevere i fondi pubblici. Purtroppo, anche senza aspettare il ddl Zan, la realtà è che le scuole cosiddette paritarie la discriminazione la praticano già.”
Il fronte interno alla Chiesa
La nota diplomatica contro il ddl Zan nasconde uno scontro tra diverse sensibilità anche all’interno della Chiesa: i settori più conservatori premono da tempo contro il papa e contro l’attuale presidente della Cei, Bassetti, accusato di eccessiva timidezza nei confronti delle istanze più progressiste che emergono dalla società civile.
L’ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, ha dichiarato orgoglioso che “difendere i propri diritti, in particolare la libertà della Chiesa, è un dovere e non un’ingerenza.”
Spicca invece il silenzio di papa Francesco, che nonostante timide aperture nei confronti del mondo LGBTQI+ — non senza significativi passi indietro — al momento non ha espresso nessuna parola di smentita o di rettifica sull’intervento senza precedenti della Santa sede nella politica italiana.
Nelle ultime settimane diversi rami della Chiesa hanno iniziato a muoversi in modo inconsulto per stringere le briglie della politica adiacente al cattolicesimo, come nel caso del documento che verrà pubblicato il prossimo novembre dai vescovi statunitensi, che vieterà la Comunione a tutti i politici che la vogliono ricevere ma che non seguono, nella loro azione politica, i dettami più retrogradi dell’organizzazione, in particolare riguardo all’aborto.
Il caso della lettera contro l’Ungheria
Lo scandalo dell’intervento vaticano sul ddl Zan è arrivato contemporaneamente alle polemiche per la mancata firma dell’Italia della lettera discussa ieri dai ministri degli Esteri europei contro la legge recentemente approvata in Ungheria che vieta di mostrare contenuti LGBTQ a persone con meno di 18 anni. Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno infatti presentato un documento critico della legge al Consiglio dell’Unione europea, che alla fine è stato firmato anche da Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Spagna, Svezia e Lettonia. Secondo il testo la legge rappresenta “una forma flagrante di discriminazione,” e costituisce una “chiara violazione” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. I firmatari chiedono che la Commissione europea usi “tutti gli strumenti a propria disposizione per garantire il pieno rispetto della legge europea.”
L’adesione italiana è arrivata soltanto in serata, per bocca del sottosegretario agli Affari europei Enzo Amendola: erano stati chiesti dei “chiarimenti” all’Ungheria, che però non sono arrivati. O forse l’Italia non era troppo ansiosa di mostrarsi in prima fila quando si tratta di difendere i diritti delle persone LGBTQ.