Bolsonaro e il genocidio delle popolazioni indigene durante la pandemia
Land grabbing, disboscamento illegale, miniere, missionari evangelici: durante la pandemia il governo brasiliano ha accelerato l’aggressione alle popolazioni indigene, causando più di 55 mila contagi
in copertina, foto: Marcos Correa/PR via Fotos Públicas
Land grabbing, disboscamento illegale, miniere, missionari evangelici: durante la pandemia il governo brasiliano ha accelerato l’aggressione alle popolazioni indigene, causando più di 55 mila contagi
Tra le voci che si sono alzate in protesta contro Bolsonaro in queste settimane c’è quella di Sônia Guajajara, attivista indigena e coordinatrice di APIB (Associazione Popoli Indigeni del Brasile). Sono mesi che Guajajara, APIB e tutte le organizzazioni indigene del paese denunciano le politiche genocide del governo Bolsonaro. Dall’inizio della pandemia, più di 55 mila indigeni sono stati contagiati, con un tasso di mortalità che in alcuni momenti ha raggiunto il doppio di quello del resto della popolazione, con picchi del 9,6%.
“Una tragedia senza precedenti nella storia recente. Sono i nostri sciamani, le levatrici, gli anziani e i capi ad andarsene. Abbiamo perso i nostri anziani, quelli che conservano la memoria dei nostri antenati, custodi della conoscenza, dei canti, delle preghiere, della nostra spiritualità. Leader che hanno dedicato la loro vita alla lotta per difendere il territorio, l’integrità e l’esistenza fisica e culturale dei loro popoli,” ribadisce APIB.
La pandemia ha solo accelerato una violenza politica e una persecuzione in atto da tempo contro le popolazioni indigene. Sin dal primo giorno del suo mandato, Bolsonaro ha reso chiaro di non credere nella difesa dell’Amazzonia e dei suoi abitanti. La deforestazione in Amazzonia è aumentata del 34% dal 2018, dato più alto degli ultimi 12 anni e il disboscamento delle terre indigene è aumentato quasi dell’80%.
Ad aprile dell’anno scorso, è stato rilasciato un video in cui il ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, suggeriva che la pandemia — mentre la stampa guardava altrove — fosse una buona opportunità per semplificare i regolamenti in Amazzonia. Solo tra marzo e maggio 2020 il governo ha approvato 195 atti esecutivi che mirano direttamente o indirettamente a smantellare o aggirare le leggi ambientali, fornendo così l’impunità per il land grabbing nei territori indigeni. “Le invasioni delle terre indigene continuano ad aumentare: disboscamento illegale, miniere, accaparratori di terre e missionari evangelici. Non solo stanno devastando l’ambiente, ma stanno diffondendo l’infezione”, denuncia Guajajara.
Il dipartimento Sanitario Nazionale Indigena era già molto fragile quando la pandemia è arrivata in Brasile e tra aprile e maggio, quando i casi di contaminazione da Covid-19 sono aumentati, i finanziamenti per la salute indigena sono stati ridotti di 100 milioni di reais rispetto allo stesso periodo del 2019. Storicamente, le popolazioni indigene hanno affrontato forti disuguaglianze sanitarie. Le infezioni respiratorie hanno più alti tassi di ricovero e morte ed è noto che le malattie infettive tendono a diffondersi rapidamente, sconvolgendo l’organizzazione della vita quotidiana e l’assistenza sanitaria delle popolazioni indigene, soprattutto quando vivono in condizioni di parziale o totale isolamento.
Grafico: Articulação dos Povos Indígenas do Brasil
Il primo caso di Covid–19 in una comunità indigena è stato causato da un medico del SESAI (Segretariato speciale per la salute indigena) di ritorno da una vacanza a San Paolo. Era il 25 marzo, ormai il pericolo della pandemia era conosciuto e il medico avrebbe dovuto sottoporsi a quarantena e test PCR, ma così non è stato. Il medico ha infettato un giovane di 20 anni del popolo Kokama. Ad oggi, i Kokama sono il secondo popolo con il più alto numero di morti di Covid tra le popolazioni indigene.
È stato uno schema destinato a ripetersi. Durante tutta la pandemia, il governo federale ha realizzato diverse missioni nei territori indigeni senza rispettare i protocolli di sicurezza sanitaria, l’ultima – di qualche giorno fa – a cui ha partecipato lo stesso Bolsonaro.
Le popolazioni in isolamento volontario o di recente contatto sono le più vulnerabili allo scenario pandemico. Sebbene il loro diritto all’autodeterminazione e il loro isolamento siano garantiti da due accordi internazionali sui diritti indigeni, sono anni che taglialegna, minatori, agricoltori e missionari hanno violato aggressivamente questi diritti.
Aveva già fatto scandalo la decisione del governo di mettere al capo del FUNAI un pastore evangelico legato al gruppo missionario “New Tribes Mission,” famoso per commettere crimini contro popolazioni indigene per “convertirle,” missioni che non si sono mai fermate nel corso della pandemia.
Un altro caso eclatante è stato quello in Roraima, in cui il governo — per mera propaganda — ha inviato una delegazione per portare 50 mila compresse di clorochina al popolo isolato dei Yanomami, esponendoli a più di 20 giornalisti. La Roraima è ora la regione con il più alto tasso di contagiati indigeni.
Da mesi le organizzazioni indigene brasiliane stanno cercando di richiamare l’attenzione internazionale sul problema. Il governo Bolsonaro ha scoperto le carte sulla sua politica genocida quando, l’8 luglio scorso, ha posto il veto all’obbligo del governo di garantire l’accesso all’acqua potabile, all’igiene e ai letti d’ospedale ai popoli indigeni. Secondo la definizione adottata dall’ONU, si definiscono genocidi «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Da marzo a ottobre 2020, sono stati registrati più di 200 violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo contro le popolazioni indigene.
Nel frattempo le comunità indigene in Brasile continuano a soffrire. Sebbene, grazie all’enorme sforzo di organizzazioni come APIB, sia finalmente iniziata la campagna vaccinale nelle comunità, le invasioni dei territori indigeni continuano a verificarsi, mietendo nuove vittime.