Black Lives Matter a Milano, un anno dopo
Dopo le grandi manifestazioni del 2020, la situazione degli italiani senza cittadinanza e dei migranti non è cambiata. Ieri a Milano Blm ha tenuto alta l’attenzione su ingiustizie e disuguaglianze in Italia
video di Federica Bonalumi
Dopo le grandi manifestazioni del 2020, la situazione degli italiani senza cittadinanza e dei migranti non è cambiata. Ieri a Milano Blm ha tenuto alta l’attenzione su ingiustizie e disuguaglianze in Italia
Ieri in piazza Duca d’Aosta, davanti alla stazione Centrale di Milano, si è tenuto un presidio contro il razzismo istituzionale e della società italiana, organizzato dalle sigle e dalle associazioni che animano il movimento Black Lives Matter. Partendo dal Minnesota e dall’omicidio di George Floyd, nel 2020 una serie di manifestazioni e di proteste hanno sconvolto tutto il mondo, riuscendo ad arrivare persino in Italia. È il momento giusto per fare il punto sulla situazione dei diritti civili in Italia.
Una situazione critica: il dibattito sullo Ius soli si è definitivamente arenato dopo essere stato proposto con estrema timidezza dal nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, e il governo Draghi attua sull’immigrazione una politica repressiva del tutto in continuità con quella dei governi che l’hanno preceduto, continuando a finanziare le “autorità” libiche per limitare i flussi migratori e mantenere le persone in veri e propri campi di concentramento. Che, per alcuni versi, esistono anche in Italia, dove continuano a restare aperti i Cpr: a Roma, i manifestanti di Blm — che hanno organizzato un presidio come a Milano — hanno appeso uno striscione per ricordare Musa Balde. Ma la Digos, solertemente, l’ha fatto rimuovere.
Musa Balde era un 23enne guineano che si è tolto la vita all’interno del Cpr di Torino, dov’era stato internato dopo aver subito un’aggressione razzista a Ventimiglia. Ma il suo non è un caso isolato: sempre al Cpr di Torino un ragazzo egiziano sarebbe caduto da un’inferriata mentre protestava contro la detenzione, e secondo le testimonianze è rimasto senza soccorsi per 45 minuti: ora si trova in coma in un ospedale. A Milano, invece, secondo le testimonianze della rete Mai più lager – NO ai Cpr, all’interno del centro di detenzione di via Corelli un ragazzo iracheno che aveva tentato il suicidio ingerendo del detersivo è stato messo in isolamento, dove ha tentato il suicidio di nuovo. “Ci giungono diverse testimonianze di tagli autolesionistici, minacce e tentativi di suicidio, e assunzione di sedativi,” mentre continuano gli scioperi della fame.
“È importante far capire che c’è un sentimento di non sopportazione, di una parte della popolazione che è completamente esclusa dalle istituzioni italiane. E da cittadini siamo un po’ stufi di essere trattati come cittadini di serie B, e che i nostri problemi non vengono mai affrontati.” A parlare è Leila Mohamed, attivista che si occupa di disuguaglianze e razzismi. “Non date mai per scontato che sia finito, che dopo il fascismo in Italia il fascismo stesso sia morto, che non esista il razzismo in Italia: esiste, le leggi razziste ci sono anche nel nostro paese e non bisogna mai abbassare la guardia su questi temi.”
A un anno di distanza, le rivendicazioni del 2020 sono ancora tutte lì. “È importante essere qui oggi innanzitutto per rivendicare le due date più importanti della storia della repubblica italiana: il 2 giugno e il 25 aprile, che sono giornate in cui ha vinto la libertà degli italiani e delle italiane.” Al presidio abbiamo incontrato Victoria Oluboyo, attivista e femminista intersezionale. “Gli italiani e italiane che ancora oggi non vengono riconosciuti sono più di un milione, sono gli italiani fantasma di questo paese. Attualmente si sta aprendo di nuovo un dibattito sulla cittadinanza italiana e noi non siamo stati interpellati. Si continua a parlare della sinistra e della destra italiana, di giochi politici per vincere le elezioni ma non si mettono al centro i bambini e le bambine che nascono e crescono in questo paese.”
Negli Stati Uniti, la situazione è in parte diversa: il prossimo 25 giugno sarà letta la sentenza per Derek Chauvin, il poliziotto condannato per aver ucciso George Floyd. Ieri sono stati presentati due memorandum da parte dell’accusa e della difesa che sembrano provenire da due universi paralleli: i rappresentanti di Chauvin hanno chiesto che venga posto ai domiciliari, o che debba trascorrere solo un breve periodo in carcere, citando la mancanza di precedenti penali e il suo ruolo nella polizia del poliziotto assassino, mentre l’accusa ha chiesto che la sentenza sia di trent’anni.
Chauvin potrebbe essere condannato a fino a quarant’anni di detenzione, anche se le linee guida per le sentenze in Minnesota suggeriscono una pena tra i 10 e i 15 anni. Il mese scorso, tuttavia, il giudice Peter Cahill ha confermato all’accusa che erano presenti “fattori aggravanti,” che gli permetteranno di estendere la sentenza oltre ai 15 anni di pena massima. Nonostante Chauvin rischi una condanna esemplare, però, la polizia negli Stati Uniti continua a uccidere: secondo i dati aggregati da Mapping Police Violence, dalla morte di Floyd ad oggi la polizia ha ucciso 1.068 persone — una media di tre persone al giorno.