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Foto: Naftali Bennett, via Facebook

Appena tre giorni prima della scadenza per formare un governo, la coalizione deve riuscire a tenere tutti insieme — compreso il leader di estrema destra Bennett — e assicurare il supporto esterno dei parlamentari israelo-palestinesi. Ma l’era di Netanyahu non è ancora finita

Il politico di estrema destra Naftali Bennett e il leader dell’opposizione Yair Lapid hanno trovato un accordo per provare a formare un governo di coalizione che escluda dal potere Benjamin Netanyahu. L’annuncio l’ha dato Bennett stesso, ad un meeting del suo partito, Yamina, dicendo che “se Dio vuole,” insieme potranno “salvare il paese da questa spirale, e rimettere Israele sul suo percorso.” È iniziata così una vera e propria corsa contro il tempo: il mandato conferito dal presidente Rivlin a Lapid, per formare il gabinetto di un governo di coalizione, scade alle 23:59 di mercoledì. Si tratta di un’impresa difficile: l’alleanza sarà fragile, e avrà bisogno del sostegno esterno dei parlamentari israelo–palestinesi, che ovviamente sono fermamente opposti al programma di Bennettt, un nazionalista religioso che vuole annettere gran parte della West Bank. Bennett ha cercato, tra le righe, di rassicurarli, dicendo che il governo funzionerà “solo se si lavora come un gruppo.” Tutti i componenti della coalizione “dovranno rinunciare a realizzare i propri sogni, per concentrarsi su quello che si può fare, invece che litigare tutto il giorno su quello che è impossibile.”

Netanyahu non ha preso la notizia particolarmente bene: secondo il Primo ministro uscente il governo della coalizione formata da Bennett e Lapid sarebbe una minaccia alla sicurezza di Israele. In realtà, le accuse di Netanyahu sono rimaste vaghe — anche perché Bennett è stato per molto tempo un suo stretto alleato, e alle elezioni non si è presentato con un progetto drasticamente diverso dal suo — chiedendosi come, con un governo “di sinistra” secondo lui “guarderemo negli occhi i nostri nemici.” È una situazione che descrive perfettamente la situazione della politica israeliana: due leader, Bennett e Netanyahu, che hanno lavorato insieme per anni, che hanno programmi simili, e che giustificano le proprie azioni dicendo che l’altro distruggerebbe il paese. La verità, al contrario, è più semplice, spiega Aluf Benn su Haaretz: Bennett non è un trascinatore di folle come Netanyahu, ma la personalità ingombrante del Primo ministro ha reso impossibile per gli altri partiti politici lavorare con lui, isolandolo anche a destra.

Ma quindi che governo potrebbero formare Lapid e Bennett? Al contrario di quello che dice Netanyahu, secondo i retroscena che stanno circolando sulla stampa israeliana, sarebbe senza ombra di dubbio un governo di destra: non si sa ancora se il gabinetto di sicurezza sarà composto da 10 o 12 membri, ma in ogni caso ci sarà una forte maggioranza di destra, con solo quattro o cinque membri appartenenti alle forze centriste. (Il gabinetto di sicurezza è un’istituzione del governo israeliano, una sorta di gabinetto “interno,” a cui può prendere parte al massimo la metà dei ministri del governo.) L’accordo dovrebbe prevedere di nuovo una premiership a rotazione, con Bennett Primo ministro fino al settembre 2023, per poi passare il titolo a Lapid. Se i nomi fossero confermati, si tratterebbe comunque di un Consiglio dei ministri più variegato dei precedenti che hanno governato il paese — 26 ministri, di cui un terzo donne, un terzo ebrei sefarditi. Ci sarebbe anche un (1) ministro arabo, Issawi Frej, alla Cooperazione regionale, e una di origini etiopi, Pnina Tamano-Shata, confermata al dicastero dell’“Assimilazione” dei migranti.

Siamo di fronte quindi alla fine dell’era Netanyahu? Il Primo ministro ha dettato legge nella politica israeliana per 12 anni, ed è attualmente indagato per corruzione in tre casi — e potrebbe perdere la propria poltrona proprio grazie alla svolta di Bennett, che aveva passato tutta la campagna elettorale a promettere che non avrebbe permesso a Lapid di formare un governo. Tuttavia, non avere più Netanyahu Primo ministro non chiude la sua influenza sul paese: i suoi sostenitori più agguerriti — quelli che sta stampa israeliana a volte chiama Bibi-isti — sono un gruppo numerosissimo, e ormai profondamente distaccato dal resto della politica israeliana. Netanyahu, lavorando prima per screditare tutta la sinistra, e poi progressivamente anche ampi settori della destra, ha creato una base elettorale radicalizzata e fedele solo a lui. Non lascerà il potere così facilmente, e potrebbero vedersi in Israele disordini non dissimili da quelli che si sono visti negli Stati Uniti dopo la sconfitta di Trump. E all’opposizione, grazie al grande consenso che gli è rimasto, Netanyahu resterebbe comunque una potenza enorme, con cui il governo sarà costretto a fare i conti.

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