Una classe di una scuola bombardata durante l’aggressione israeliana su Gaza. Foto: @MuhammadSmiry
L’Alta commissaria Michelle Bachelet ha detto che Israele non ha fornito nessuna prova che gli edifici civili che ha bombardato fossero usati anche per scopi militari, e che le azioni dei giorni scorsi potrebbero costituire crimini di guerra
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite indagherà sui crimini compiuti durante gli 11 giorni di bombardamenti dell’IDF su Gaza. La decisione è stata presa con un maggioranza solida — 24 a favore, 9 contro, e con 14 astenuti — e istituisce la prima Commissione d’indagine permanente e con un mandato continuato mai attivata dal Consiglio per i diritti umani. L’indagine ha un mandato molto ampio, e potrà espandersi non solo alle azioni compiute dalle forze israeliane a Gaza e nella West Bank, ma anche contro le ostilità registrate in Israele. Secondo l’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet, le azioni israeliane delle scorse settimane, infatti, potrebbero costituire crimini di guerra. Bachelet ha dichiarato che al momento Israele non è stato in grado di produrre nessuna prova che gli edifici civili che ha bombardato fossero usati anche per scopi militari. Le azioni dell’esercito israeliano, in quel caso, potrebbero essere considerate “criminalmente sproporzionate.”
Saleh Hijazi, il vicedirettore regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, parlando con Al Jazeera ha commentato la notizia sottolineando l’importanza di “stabilire un meccanismo investigativo che raccolga e preservi le prove, e che cooperi con l’indagine della corte penale internazionale nella situazione dei territori palestinesi occupati.” Si tratta, secondo Hijazi, di “un vero test,” in particolare per i paesi dell’Unione europea, “che devono passare ai fatti quando parlano di responsabilità, per non rendere Israele un’eccezione quando si parla di diritti umani e rispetto per le leggi internazionali.”
Israele non ha preso la notizia molto bene. Il ministero degli Esteri ha emesso un comunicato durissimo, in cui si dice che la decisione delle Nazioni Unite “ignora completamente i 4.300 razzi lanciati contro i cittadini israeliani” — che hanno ucciso 12 persone — e che si tratta di “una macchia morale sulla comunità internazionale e sulle Nazioni Unite.” Netanyahu ha detto che si tratta di una “sfacciata ossessione anti–israeliana,” e il presidente Rivlin si è lamentato per quella che a suo parere sarebbe una “decisione inspiegabile contro i cittadini israeliani.” Il ministro della Difesa Gantz si è prodotto forse nella citazione più assurda di tutti, dicendo che l’indagine avrebbe “concluso la legittimità che giustifica l’esistenza continuata del Consiglio per i diritti umani” (!) e che “qualsiasi paese che ama la pace” avrebbe agito così — cioè avrebbe bombardato i propri territori confinanti uccidendo almeno 254 persone, di cui 66 bambini, e lasciando gravemente ferite più di 1.900 persone. L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan, invece, ha fatto ricorso alla retorica di estrema destra che confonde volontariamente antisemitismo e antisionismo, definendo la decisione delle Nazioni Unite come una “risoluzione disgustosa, unilaterale e antisemita.”
La risoluzione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu arriva al termine della due giorni del segretario di Stato statunitense Blinken, che nei giorni scorsi si è interfacciato con Autorità palestinese, Israele, Egitto e Giordania per sostenere e rinforzare il cessate il fuoco. La prova più difficile da sostenere, in questo caso, è ricostruire un rapporto di fiducia con i palestinesi dopo le azioni dell’amministrazione Trump. I primi sforzi non hanno avuto particolare successo: concentrandosi sul ricostruire i rapporti con l’Autorità palestinese, gli Stati Uniti hanno dato a molti l’occasione di sospettare che l’intento sia creare una ulteriore divisione tra Hamas e l’Autorità palestinese. La Striscia di Gaza è amministrata da Hamas, mentre invece la PA conserva il proprio controllo su parti della West Bank — ma nelle ultime settimane la percepita poca reattività alle aggressioni israeliane ha minato ulteriormente il sostegno per Abbas. I canali diplomatici aperti da Blinken hanno anche un altro effetto collaterale: riparano le spalle al regime di al–Sisi, che, nonostante ancora consideri Hamas un’organizzazione terroristica, ora si è posizionato come primo interlocutore statunitense nella regione — un grosso miglioramento delle relazioni, considerato come Biden, fino alla settimana scorsa, aveva sostanzialmente ignorato il leader egiziano.
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