Foto: Lorie Shaull
Gli Stati Uniti sono uno stato occupato da una forza militare che ha il budget di una nazione, e che colpisce sistematicamente le persone appartenenti a minoranze.
Un anno fa il poliziotto Derek Chauvin uccideva, soffocandolo con il ginocchio, George Floyd. La sua morte avrebbe scatenato un’ondata di proteste che si sarebbero tradotte nella più lunga stagione di manifestazioni della storia degli Stati Uniti. Nel pieno della frustrazione per la crescente violenza della polizia, e sfibrati da quattro anni di amministrazione Trump, un numero spropositato di persone — le analisi variano tra i 15 e i 25 milioni — sono scese in strada per chiedere giustizia sociale. Strade che ieri si sono tornate a riempire di manifestazioni di cordoglio per Floyd e in memoria delle molte altre vittime della violenza di polizia, a Minneapolis e in tutte le più grandi città statunitensi.
Derek Chauvin è stato condannato, ma giustizia non è stata fatta: il problema della violenza di polizia negli Stati Uniti è abnorme — secondo i dati aggregati da Mapping Police Violence, dalla morte di Floyd ad oggi la polizia ha ucciso 1.068 persone — una media di tre persone al giorno. Il ritmo in realtà non dovrebbe sorprendere, è lo stesso con cui la polizia fa vittime da anni: dal 2013 sono state uccise 9.179 persone. Dall’inizio di quest’anno, 414 — di questi, il 58% degli omicidi avviene durante interventi che riguardano il traffico automobilistico o problemi di salute mentale, contesti in cui l’uso di forza letale è incomprensibile.
Ieri la famiglia di Floyd ha incontrato Joe Biden, che il fratello di George Philonise descrive come un “un tipo genuino.” La famiglia Floyd ha fatto comunque presente che la politica non ha fatto abbastanza: la legge per riformare la polizia si è arenata in Senato, da dove è difficilissimo che esca. Insomma: le proteste sono riuscite a cambiare l’umore del paese — e hanno certamente pesato sull’elezione di Joe Biden — ma la situazione non è cambiata. Gli Stati Uniti sono uno stato occupato da una forza militare che ha un budget di 115 miliardi di dollari all’anno e che colpisce sistematicamente le persone appartenenti a minoranze.
Questo non vuol dire sminuire i risultati del movimento — anzi — ma indica semplicemente che senza un’azione della politica le crisi della violenza poliziesca e dell’industria delle carceri non possono essere risolte. Secondo un report di Interrupting Criminalization Project nel corso del 2020 attivist* ner* hanno ottenuto che i governi locali spostassero in totale 840 milioni di dollari, allocati alla polizia, verso altri progetti. Di questi, 160 milioni sono stati reinvestiti per le comunità stesse che hanno manifestato per definanziare la polizia. In 25 città si è riusciti a rimuovere la polizia dalle scuole — un processo che sta andando avanti a rilento, ma va avanti. Questo ha permesso alle scuole di reinvestire 34 milioni di dollari in progetti per i veri bisogni degli studenti. Lo stallo della politica è interamente dettato da interessi economici: in realtà c’è un’ampia maggioranza trasversale — il 63% secondo un sondaggio Vox / Data for Progress — che è a favore di definanziare la polizia, ma la sua opinione è sostanzialmente ignorata, in misure diverse, da democratici e repubblicani.