Mezzogiorno: il Sud dal ciglio di una strada, di Marco Zanella

La solita retorica della bella Italia turistica, delle meraviglie del Sud e di quanto gli antenati abbiano lavorato per costruire tutto ciò, dalle piramidi alle cattedrali, a me non affascina. Sembra sempre che siamo legati ad un Sud che era, e non a quello che è.  Non mi affascina la bellezza ma l’

Mezzogiorno: il Sud dal ciglio di una strada, di Marco Zanella

in copertina: Basilicata, Parco archeologico di Metaponto. 2019.

Atlas è il nostro spazio dedicato all’immagine e alla fotografia contemporanee. Ogni settimana raccontiamo un nuovo progetto attraverso una selezione di immagini e contributi degli autori, con un occhio di riguardo a editoria indipendente e autoproduzioni

“Sono arrivato alla fotografia quando nel 2005 è scomparso prematuramente mio zio Giorgio, un pittore e restauratore che insegnava all’istituto d’arte di Parma. Tra le mille cose che aveva nel suo studio c’erano anche alcune macchine fotografiche, tra cui un’ Olympus digitale che mio padre regalò a me dopo la sua morte. Avevo 21 anni, ero un perito tecnico-industriale e meccanico: lavoravo in un’azienda in cui mi occupavo di taglio laser e piegatura di lamiera, carpenteria metallica. L’anno dopo mio padre mi avrebbe regalato anche il mio primo libro di fotografia, della Magnum. Mi aprì un mondo che non conoscevo. Il colpo di grazia è arrivato nel febbraio dell’anno seguente, quando mi accompagnò a Milano a vedere una retrospettiva su Cartier-Bresson. Ne uscii in lacrime” racconta Marco, “uscendo dalla mostra ho deciso che nella vita avrei voluto scattare fotografie.”

Passa alcuni anni a lavorare nello studio dell’artista e amico Matteo Ferretti: “Avevo finalmente l’occasione di conoscere un altro aspetto della vita e delle possibilità dell’uomo: la dimensione artistica. Matteo è stato il primo a vedere le mie foto e a suggerirmi di coltivare quella passione.”

Basilicata, Potenza. 2019. Via Pretoria, scena di strada.

Inizia anche a studiare fotografia a Milano, ma “le luci della città” non lo convincono, fa avanti e indietro da Parma, dove preferisce passare il tempo nello studio dell’amico: “Lì ho potuto anche sbagliare il più possibile, che è stato fondamentale. All’epoca ero molto nerd: venivo da un mondo di ascetismo chiuso dentro un circuito fatto di interesse per la tecnica fotografica, per l’estetismo, per il mondo dei computer e della tecnologia – circuito che poi è diventato un cortocircuito. La mia sensibilità fotografica era soffocata da una sovrastruttura nerd.”

Nel 2011 partecipa a una masterclass di fotografia con Alex Majoli a Cesura. Quella settimana, racconta, cambia la sua vita: “Una settimana che forse era stata più importante degli ultimi 10 anni di psichiatria e di scuola messi insieme. Mi ha dato la stessa carica del vedere per la prima volta dal vivo i Rolling Stones.” Poco tempo dopo inizia a lavorare come assistente di Alex Majoli, che gli insegna a vedere la fotografia e il mondo dell’immagine in modo differente e in qualche modo lo aiuta a “rompere le barriere protettive che avevo posto tra me e il mondo esterno.” Marco Zanella sarebbe entrato poi a far parte del collettivo Cesura, già fondato nel 2008 dagli ex assistenti del fotografo della Magnum. I due studi — Majoli e Cesura — da allora convivono sulla riva destra del fiume che attraversa la valle omonima, il Tidone.

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Ho conosciuto Marco Zanella esattamente un anno e mezzo fa, una sera di un autunno come gli altri in Val Tidone, molto freddo e molto umido. Giravamo in auto alla ricerca di qualche bottiglia di vino sopravvissuta all’aperitivo locale, impegnativo per tradizione, e in cinque minuti mi aveva già raccontato buona parte della sua vita. Non avevo ancora visto una sua fotografia.

Cesura è oggi tra i principali collettivi fotografici italiani. Qual è la forza del collettivo, quale la sua debolezza?

“Il gruppo è stata una buona àncora di salvezza in un periodo cruciale della mia vita. Fruivo del mondo, delle immagini e delle fotografie stando davanti allo schermo. Avevo passato anni ad avere esperienza del mondo tramite il suo simulacro, la sua rappresentazione fittizia, che poi è il nulla. Sono arrivato qui a Cesura e ho iniziato a vivere in collettivo, cosa cui non ero affatto abituato, e la mia fotografia è cambiata insieme al mio modo di approcciarmi agli altri e alla realtà. Non è facile: il gruppo spesso è una forza, spesso è efficiente, ma a volte è anche un… carroattrezzi sgangherato. Cesura è tutte queste cose: un collettivo estremamente fisico, scomodo, difficile. Come disse Scianna, i gruppi di fotografi sono un po’ come un branco di lupi solitari: non sono fatti per stare insieme. Ma qui sei costretto a vivere con altri fotografi, dove il confronto con il mondo dell’immagine è prima di tutto uno scontro con le immagini degli altri: è stimolo, competizione, frustrazione, gioia, e rapporto fisico con la fotografia, non solo la tua. Gli schermi, nei quali forse ora trascorro più tempo di prima, non sono più un fortino di difesa ma un mulino a vento da combattere.”

Sicilia, Modica. 2017.

Parliamo di Mezzogiorno, il tuo progetto in corso da più tempo. Di cosa si tratta?

“Uno dei primi titoli del progetto è stato EF014ME, la targa dell’auto che ho appena sostituito. Ora è Mezzogiorno, ma non è detto che sia definitivo. Si tratta del risultato di una serie di viaggi in auto fatti in Sud Italia.

Ero ancora studente di Alex Majoli quando mi consigliò di iniziare un progetto sulla Calabria. Io naturalmente non lo feci, perché d’indole ero rimandatario, pigro, eterno, letargico… Ma dopo il primo anno di assistentato senza respiro, nell’estate del 2013 feci il primo viaggio in Calabria. Fu la prima goccia nel vaso. Non l’ho mai considerato davvero un progetto: per me era solo prendere la macchina, uscire di casa, seguire l’istinto del momento e scattare delle fotografie.”

“Il viaggio è sempre stato importante. Quando lo lessi, On the road di Kerouac stravolse totalmente il mio modo di pensare e di approcciarmi al movimento, e forse quello è stato il mio primo impulso alla fotografia. Mi ha dato la stessa forza che mi diede tra i banchi di scuola la lettura della Divina Commedia, che alla fine è sempre un viaggio. Se ci penso mi commuovo… Quando ho iniziato a conoscere il lavoro di Robert Frank, che va a braccetto con Kerouac, ho capito che tutto il mondo alla fine accade sul ciglio di una strada. Ho capito che era lì che volevo essere.”

Sicilia, Modica. 2018.

Dopo la Calabria sono venute la Basilicata, la Sicilia, la Puglia. I viaggi si accumulano negli anni e con loro le fotografie. Ma dov’è l’approdo?

“Dopo il viaggio in Sicilia ho iniziato a mettere insieme i pezzi dei miei viaggi con le mie foto. Adesso ho sicuramente un approccio diverso rispetto al 2013, ma ogni goccia è stata importante, finché hanno iniziato a cadere tutte nello stesso vaso. Sono contro la progettualità solida a priori: sto imparando come tanti invece a vedere a costruire progettualità dopo che si è lavorato tanto, a posteriori, viaggiando negli hard disk e nei provini. Mi piacerebbe concludere il  lavoro, pubblicando un libro, nei prossimi tre o quattro anni.”

Calabria, Polsi. 2013. Pellegrinaggio al Santuario per la Festa della Madonna della Montagna

Perché il Sud e quale significato ha per te?

“Ci sono tante cose che continuano ad affascinarmi del Sud Italia. Tutto ciò che vedo mi affascina. C’è una densità del contemporaneo, un misto di surrealismo e di arcaico, di tensione sociale, economica e culturale che c’è solo al Sud e che non ho trovato in nessun altro luogo. Anche se non ci sono ancora riuscito, mi piacerebbe andare oltre la retorica classica del Nord laborioso e del Sud mistico, spirituale e arretrato. Forse dovremmo ribaltare tutto, iniziare a parlare dei problemi del Nord laborioso, che poi forse è il vero Sud del mondo. A me sembra che la forza di gravità tenda verso il sud Italia, e che mi porti lì. Non penso ai miei viaggi come a una ricerca volta al passato, ma come a una lente di ingrandimento sulla felicità e al tempo stesso sulla contraddizione quotidiane.

La solita retorica della bella Italia turistica, delle meraviglie del Sud e di quanto gli antenati abbiano lavorato per costruire tutto ciò, dalle piramidi alle cattedrali, a me non affascina. Sembra sempre che siamo legati a un Sud che era, e non a quello che è.  Non mi affascina la bellezza ma l’incanto, e l’incanto non è necessariamente il bello — anzi, quasi mai.”

Calabria. Aspromonte. 2013.
Calabria, San Ferdinando. 2019. Tendopoli per migranti. Un migrante stagionale prega nella sua tenda.
Basilicata, Tolve. 2019.
Calabria, Alessandria del Carretto. 2019. Carnevale tradizionale
ITALY. Calabria, Polsi. 2013. Pellegrinaggio al Santuario per la Festa della Madonna della Montagna
Marco Zanella

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