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in copertina, il Pride a Roma, l’8 giugno 2019. Foto di Roberta Bennato

Dall’eliminazione della burocrazia che difende il binarismo di genere al matrimonio egualitario: perché parlare solo del ddl Zan durante la giornata internazionale contro l’omobitransfobia è già una sconfitta

Oggi è la giornata internazionale contro l’omobitransfobia, istituita nel 2004 a ricordo del 17 maggio 1990, quando l’Organizzazione mondiale della Sanità depennò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. In Italia il pensiero va al ddl Zan, ancora bloccato al Senato con il rischio concreto di essere affossato dall’ostruzionismo della Lega. Sabato un migliaio di persone, tra cui Matteo Salvini, ha partecipato a un presidio in piazza del Duomo a Milano per protestare contro la legge, definita “satanica, contro la vita e la famiglia.” Ieri però perfino la Cei ha fatto una mezza apertura al ddl: il cardinale Bassetti ha detto che la proposta “andrebbe più corretta che affossata.”

Sabato in tutta Italia si sono tenute manifestazioni a favore del ddl Zan, che sta conoscendo un percorso parlamentare piuttosto accidentato. Il principale presidio si è tenuto a Roma, alla presenza dello stesso Alessandro Zan. Nel corso dell’ultima settimana ulteriori dubbi sul futuro della legge erano arrivati proprio dalle aree più conservatrici del Partito democratico, a cui Zan si è rivolto indirettamente dal palco della manifestazione: “Questa piazza sta dicendo in modo gioioso che non è più possibile fare passi indietro.” Moltissimi hanno manifestato anche a Bari, Rimini, Torino, Cagliari e Firenze. 

La destra, però, continua con la propria opposizione pretestuosa al decreto, sostenendo che la sua approvazione limiterebbe la “libertà d’espressione.” A Milano ad esempio si è tenuta una manifestazione contraria al ddl che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Matteo Salvini e Simone Pillon. Dal palco sono arrivate le solite parole in difesa di una presunta libertà minacciata dalla legge contro l’omobitransfobia. La manifestazione si è tenuta in piazza del Duomo e ha visto la contestazione di alcuni collettivi milanesi che sono accorsi sul posto, ricevendo “qualche manganellata” (sic) da parte della polizia. sul fronte parlamentare, c’è il concreto rischio che la Lega faccia ostracismo presentando migliaia di emendamenti.

Nel corso delle ultime due settimane, sul decreto si sono condensati anche i dubbi della parte più a destra del Partito democratico, che è tornata ad avanzare dei dubbi sul provvedimento e chiedendone una revisione della scrittura. Finora sembra che il partito sia riuscito a stare unito, ma nei prossimi passaggi parlamentari potrebbero nascondersi sorprese. Un auto-affossamento del ddl Zan — una legge in realtà molto popolare nel paese, secondo diversi sondaggi — sarebbe una clamorosa zappa sui piedi da parte del Partito democratico. 

In realtà, il ddl Zan è una proposta di legge estremamente moderata: Il ddl Zan andrebbe sostanzialmente a integrare la legge Mancino, la normativa che già oggi si occupa di contrastare e regolare le manifestazioni di odio e discriminazione razziale in Italia. Peccato che la legge sia notoriamente difficile da applicare, essendo efficace solo in casi di atti d’odio — verbali o concreti — molto precisi e diretti esplicitamente ad una certa persona in quanto appartenente a una categoria svantaggiata.

Nonostante la netta maggioranza degli italiani sostenga la legge, il Partito democratico non è riuscito a catalizzare questo consenso per azzerare l’ostruzionismo della Lega e della destra. È evidente, insomma, che la legge sia ferma a causa di preoccupazioni — per altro, come dicevamo, mal riposte — di una minoranza della popolazione. L’ondata di consenso e di supporto nelle scorse settimane avrebbe dovuto permettere alle forze che sostengono il ddl Zan di alzare il tiro, e spostare a proprio favore il discorso pubblico. Al contrario, leggi che sono strettamente necessarie per difendere la sicurezza e la dignità delle persone vengono fermate da un’asse di fondamentalisti religiosi e di estrema destra che rappresenta, appunto, una parte sempre più ristretta del paese.

Al contrario — e questo è il risultato di anni di posizioni opache e poco incisive su un argomento fondamentale — si è lasciato che progressivamente espressioni ai limiti del dadaista come “i diritti degli etero” si infiltrassero nel vocabolario di persone che hanno ruoli di rilievo nell’ambito del progressismo italiano, come è capitato durante lo speciale di Repubblica di oggi sull’omobitransfobia.

Il fatto che si stia passando la giornata internazionale contro l’omobitransfobia discutendo principalmente di una legge che garantisce un minimo di protezione in più per le persone che ne sono vittima — una legge che riceve durissima opposizione per giunta — sottolinea l’arretratezza dell’Italia su questo fronte, quando invece sono innumerevoli le altre battaglie che i partiti e i media progressisti dovrebbero portare e tenere fermi nel dibattito. Al contrario, si è lasciato monopolizzare il dibattito sulla questione delle aggravanti di reato presenti nel ddl Zan — in questo modo si è lasciato che le destre potessero presentare un testo riduttivo del problema presentandolo come alternativo a quello del Partito democratico. 

Ad esempio, tre anni dopo la decisione estremamente tardiva da parte dell’OMS di rimuovere la transessualità dalla lista delle malattie mentali, in Italia manca ancora una necessaria riforma del diritto che completi la depatologizzazione e superi il binarismo di genere dettato per legge. In Italia per cambiare sesso è necessario sottoporsi a una perizia psicologica — per essere diagnosticat* di disforia di genere; una endocrinologica — con prescrizione per terapia ormonale; e ovviamente un certificato di stato libero, perché non si può essere sposat* e cambiare sesso, essendo assente il matrimonio per tutt*. In più, è necessario il certificato di residenza. La mancanza del matrimonio egualitario è particolarmente antistorica e grave considerato per quanto tempo, dibattendo della legittimità del ddl Zan, si sia continuato ad ignorare che alle persone non etero cis non sia ancora riconosciuta la libertà di sposarsi.

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