Draghi aveva promesso di “rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale,” ma il Piano di ripresa ignora la salute mentale e trascura le complesse problematiche psicologiche causate dalla pandemia
Era il 17 febbraio quando Mario Draghi ha varcato per la prima volta la soglia del Senato. Di fronte a lui gli esponenti di tutti i partiti tentavano di carpire ogni indizio della futura linea di governo, all’epoca ancora particolarmente confusa. Affrontando il tema della sanità, scoperta ormai nelle sue fragilità, il nuovo presidente del Consiglio aveva detto chiaramente come era necessario “rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base: case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria.”
A distanza di un anno dal documento dell’OMS che ha messo in luce le problematiche psicologiche create dalla pandemia, la cura della salute mentale sembrava dovesse diventare una priorità nazionale. Non andata così: nel Pnrr la salute mentale è nuovamente scomparsa. Salute, la sesta voce del Pnrr, costituisce un investimento di 15,63 miliardi: 8,63 miliardi per un ammodernamento degli ospedali e 7 per la creazione della Casa della Comunità, una rete di strutture di cure a livello territoriale con team multi-disciplinari.
Le associazioni per la salute hanno tirato un iniziale respiro di sollievo per l’aumento delle risorse destinate alla sanità, aumentando i 9 miliardi della prima bozza. Non sono stati altrettanto fortunati, invece, i reparti di psichiatria o i Centri Psico Sociali. Istituire un possibile canale di comunicazione diretto con l’assistenza psicologica nelle Case di Comunità non è sufficiente per un reparto già in difficoltà. Secondo il progetto Atlas 2017 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia dispone di 5,98 psichiatri e 3,8 psicologi ogni 100 mila abitanti, a fronte di 830 mila utenti psichiatrici. I pazienti corrispondono all’1,6% della popolazione, per poi raggiungere, aggiungendo gli utenti attesi, il 5%.
Il sistema di cura della sanità mentale raggiunge un deficit del personale necessario che varia dal 25 al 75%, che potrebbe essere superato con l’apporto di circa 1000 psichiatri, 1500 psicologi e altrettanti assistenti sociali. Ma in Italia la spesa pubblica dedicata alla salute mentale è di competenza regionale e raggiunge in media solo il 3,5% rispetto l’8-15% degli altri paesi del G7, presentando anche ampie diseguaglianze sul territorio. Si passa da picchi dell’8% nelle provincie di Bolzano e Trento al 2% di Campania, Marche e Basilicata.
L’inizio della pandemia e l’aggravarsi delle condizioni mentali della popolazione ha portato al collasso dell’intero sistema. In un solo anno i pazienti sarebbero aumentati del 30% l’assunzione di benzodiazepine, psicofarmaci utilizzati per curare principalmente fenomeni ansiosi, ha avuto un incremento del 12%. L’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco, non specifica però se il farmaco sia stato prescritto dal medico di base o da uno specialista, al quale faccia poi seguito una terapia psicologica continuativa.
A risentirne sono stati soprattutto i pazienti. Secondo Federica Carbone, attivista e fondatrice di Emergenza Borderline, il continuo spostare in secondo piano la salute mentale della popolazione “è il rimandare una sofferenza che è sempre vista come un vezzo e trasferirla alla forza del carattere. Non a caso spesso viene detto che, alla fine, nessuno muore di ansia. Il problema è quello secondo cui i problemi mentali sono meno letali dei disturbi fisici. Ma un’influenza guarisce in una settimana, un problema mentale in anni e l’approccio richiede competenze e cure complicate.”
Le associazioni degli operatori sanitari che operano nel campo della salute mentale espongono le loro lamentele da numerosi anni, eppure i pazienti costituiscono un fronte scomposto, privo di una vera voce e fortemente stigmatizzato. “Il problema è nel momento in cui la terapia funziona. Il paziente non è più diagnosticabile e non viene più coinvolto, nonostante possa essere una grande risorsa,” continua Carbone. “Il sistema coinvolge persone che possiedono una qualifica determinata dal titolo accademico. Per abbattere lo stigma sociale non ho bisogno che la mia voce sia validata da una persona esterna perché questo può solo creare una dipendenza.”
L’Italia spende circa 75 euro pro capite all’anno per la salute mentale e i mancati finanziamenti non possono trovare giustificazioni neanche sul campo economico. Infatti, sempre secondo il progetto Atlas 2017, ogni dollaro investito nella cura della salute mentale genera un ritorno quattro volte superiore, grazie soprattutto a una minore spesa sanitaria legata a patologie correlate e a una migliore resa lavorativa. D’altro canto invece la mancata assistenza a livello mondiale genera ogni anno una perdita economica che si traduce in un deficit di un trilione di dollari.
Le promesse sono state disattese. Con 61 suicidi negli istituti di detenzione, il dato più alto degli ultimi vent’anni, e 9 posti letto psichiatrici ogni 100 mila abitanti, all’ultimo posto in Europa, la salute mentale in Italia rimane ancora una salute troppo ignorata.