WhatsApp-Image-2021-04-22-at-19.37.00

in copertina, foto Flavio Gasperini / SOS Mediterranee

130 persone sono morte nel Mediterraneo, perché Italia e Libia — informate della posizione della loro imbarcazione — hanno deciso di non soccorrerle. È una responsabilità gravissima per le autorità europee, complici del naufragio

Almeno 120 persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo: una delle imbarcazioni che riportavamo come in difficoltà nei giorni scorsi si è capovolta nella burrasca e tutti i suoi passeggeri sono rimasti uccisi, nel tratto di mare a Nord di Tripoli. Il fatto è particolarmente grave e sconcertante perché le autorità coinvolte sapevano della presenza dell’imbarcazione in difficoltà, ma nessuna ha mosso un dito per salvare le persone a bordo.

Alarm Phone ha chiamato anche le autorità italiane alle 14:11, sentendosi rispondere che avrebbero dovuto informare “le autorità competenti,” ovvero quelle libiche — che però non sono state raggiungibili per diverse ore dall’inizio della crisi. Solo alle 14:44 qualcuno dalla Libia ha risposto ad Alarm Phone, sostenendo che erano consci della situazione e stavano cercando i naufraghi con un loro veicolo. Alle 20:52 Alarm Phone ha ricontattato le autorità italiane, spiegando che era di fatto impossibile contattare quelle libiche e invitando a chiamare l’Italia solo con nuove informazioni. È a questo punto che le “autorità” hanno dato il peggio di loro: alle 22:22 le autorità libiche hanno informato Alarm Phone che non avrebbero condotto ricerche sulla barca in quanto il mare era troppo agitato. Alarm Phone ha immediatamente richiamato le autorità italiane per informarle. Ricontattandole anche il mattino successivo alle 7:30, e sentendosi rispondere di “chiamare se ci sono altre informazioni, sappiamo della barca.” La barca, probabilmente, a quel punto era già affondata. Durante la mattinata, le autorità libiche hanno poi cominciato a negare di essere a conoscenza della barca di cui fino il giorno prima avevano parlato al telefono e via mail con la Ong.

Come riporta Nello Scavo, si tratta dell’ennesima strage annunciata, corredata dal “solito scaricabarile” di responsabilità tra le autorità libiche, italiane e maltesi. Scavo fa notare che — proprio come si vantava nelle scorse settimane il comandante della missione Irini Fabio Agostini — la “nuova” Guardia costiera libica risponde sempre più fedelmente al ministero dell’interno del paese, guidato da consiglieri militari turchi e finanziato con mezzi forniti dall’Italia — il nostro paese fornisce anche addestramento, che addirittura avviene in parte su suolo italiano, a Gaeta. È difficile non descrivere le autorità europee come complici di gravissime violazioni dei diritti umani.

Una piccola consolazione arriva dal fatto che un’altra imbarcazione in difficoltà in mare nello stesso momento, partita insieme a quella poi affondata, è stata soccorsa dalle “autorità” libiche, e le persone sono state riportate su suolo africano — dove saranno presumibilmente di nuovo internate in un campo di concentramento. I superstiti di questa imbarcazione sono 104, tra i passeggeri ci sono stati dei morti, tra cui sicuramente una donna con suo figlio. Inoltre, secondo le ultime informazioni fornite da Alarm Phone, manca all’appello anche un’altra imbarcazione in mare in difficoltà nello stesso momento, con a bordo circa 42 persone, con cui si sono persi i contatti e di cui nessuno riesce ad accertare il destino. Anche in questo caso, si teme il peggio. Prima dei naufragi di questi giorni, almeno 350 persone avevano già perso la vita nel Mediterraneo.

Domani, a Milano, Brindisi, Roma, Gradisca, Catania, Torino, e in diverse altre città, ci terranno manifestazioni della rete Mai più lager – No ai Cpr. L’appuntamento a Milano è per le 17:30, in via Corelli, con un presidio in distanziamento sociale. Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili su questo evento Facebook.

Tutte le autorità statali in campo hanno tenuto un comportamento che è descrivibile come complicità in omicidio. Come fa notare Alarm Phone nella propria dettagliata ricostruzione dell’accaduto, la Ong è stata in contatto con la barca per circa 10 ore a partire dalle 10:03 del 21 aprile, riportandone costantemente la posizione alle autorità — libiche ed europee — e al grande pubblico. Durante le 10 ore, la Ong ha potuto capire dalle telefonate con i migranti che sulla barca erano presenti 130 persone, tra cui una donna incinta, e che a bordo regnava sempre di più il panico.

L’unica azione intrapresa dal lato europeo è stata il lancio dell’aeroplano di sorveglianza di Frontex, sette ore dopo la prima segnalazione, che ha semplicemente confermato l’esistenza della barca riportandone la posizione anche alle imbarcazioni private nell’area. Sono state proprio tre imbarcazioni mercantile private ad arrivare sul posto insieme ad Ocean Viking — ma troppo tardi. L’ultimo contatto della barca con Alarm Phone è avvenuto intorno alle 20:15 del 21 aprile. Il 22 aprile, tutto ciò che è stato possibile ritrovare sono stati pezzi di imbarcazione distrutta dal mare e cadaveri. In mattinata sarebbe passato molto vicino alla barca anche un altro mercantile che avrebbe potenzialmente potuto offrire soccorso, ma ha preferito andare oltre.