Anche la Chiesa Cattolica deve fare la sua parte per contrastare la crisi climatica

Abbiamo parlato con Molly Burhans, fondatrice di GoodLands, un progetto con cui spera di mobilitare la Chiesa Cattolica verso la causa ambientalista

Anche la Chiesa Cattolica deve fare la sua parte per contrastare la crisi climatica

in copertina, foto di signoinlop via Flickr

Abbiamo parlato con Molly Burhans, fondatrice di GoodLands, un progetto con cui spera di mobilitare la Chiesa Cattolica verso la causa ambientalista

La Chiesa Cattolica ha ingenti possedimenti terrieri in tutto il mondo, con un’estensione aggregata paragonabile a una nazione. Se la popolazione di fede cattolica fosse un paese sarebbe il terzo più popoloso del mondo, dopo Cina e India. Abbiamo intervistato Molly Burhans, fondatrice di GoodLands e vincitrice del Young Champions of the Hearth delle Nazioni Unite. GoodLands è un’organizzazione che si pone l’obiettivo di mobilitare la Chiesa Cattolica verso la causa ambientalista — perché secondo Burhans “non raggiungeremo mai i target sul clima che ci siamo preposti per il 2050 senza coinvolgere la Chiesa Cattolica.”

La Chiesa dispone infatti di troppa influenza, sia materiale che spirituale, per non essere coinvolta in un cambiamento drastico come quello di cui ha bisogno il nostro pianeta per sopravvivere. Allo stesso tempo un suo intervento come una delle grandi potenze globali andrebbe — come minimo — preteso. Attraverso GoodLands, Burhans si propone di mobilitare la Chiesa ad utilizzare le sue terre per lo sviluppo sostenibile, facendone un esempio. “C’è una citazione di Joyce che dice: ‘ecco che arrivano i cattolici, ecco che arrivano tutti.’ Quello che ho visto durante lo sviluppo di GoodLands è che questo è assolutamente vero. Ho ricevuto chiamate da persone di qualunque fede, dagli anglicani ai buddisti, e anche se non siamo ancora in grado di espandere il nostro modello per riuscire a coinvolgerli, il loro interessamento è di per sé importante e incoraggiante.” L’influenza della chiesa di Roma si estende molto oltre i confini delle sue diocesi. La sua storia e la sua attualità, grazie anche alla popolarità di Papa Francesco, le danno un potere probabilmente superiore a qualsiasi altra organizzazione confessionale. Burhans, appena trentenne, è stata in grado di riconoscere la potenzialità insita in queste dinamiche. Con determinazione e nonostante le difficoltà è finalmente riuscita insieme al suo team a mappare per la prima volta nella storia tutti i possedimenti della Chiesa.

Molly Burhans, foto UNEP

L’idea dietro a GoodLands è nata un pomeriggio qualunque. “Non c’è stato un momento di rivelazione,” spiega Burhans, “si è trattato piuttosto un lungo sviluppo avvenuto dentro di me.” Quel pomeriggio era stata invitata da Jill Ker Conway, la prima donna presidente del prestigioso Smith College, Massachusetts. “Jill mi ha praticamente tirato fuori l’idea: tutti gli elementi erano già lì. Ho pensato: se la chiesa cattolica ha il più grande sistema sanitario non governativo del mondo e possiede il 26% delle strutture sanitarie, se il sistema di educazione cattolico è il più grande network per l’istruzione al mondo e il sistema di aiuti umanitari della chiesa cattolica è secondo al mondo solo a quello costituito da tutti i paesi membri delle Nazioni Unite messi insieme, ovviamente esisterà un ente cattolico per la salvaguardia dell’ambiente.” Dopo qualche ricerca, Burhans ha scoperto che non esisteva nulla del genere.

“Un’ulteriore spinta è venuta dalla mia esperienza in Africa Occidentale,  soprattutto in Mali,” un paese dilaniato da guerre che vedono coinvolte anche eserciti europei come quello francese. “Ho visto una povertà che non avevo mai visto prima. Chi possiede un tetto di lamiera è considerato benestante.” Burhans si trovava nel paese per un progetto con una ONG. Analizzando il tessuto sociale locale, il sistema scolastico e soprattutto quello sanitario, è giunta a una conclusione: “Nella lettera di raccomandazioni che ho scritto in quell’occasione alle Nazioni Unite sottolineavo la necessità di aprire una discussione riguardo la possibilità di sostenere le migrazioni. Le migrazioni climatiche stanno già iniziando, e lì avevo potuto averne esperienza diretta. C’è bisogno, oltre che di lavorare per migliorare le condizioni climatiche, di costruire un passaggio sicuro per queste persone.” La posizione di Burhans non è isolata: diversi organismi internazionali stimano che entro il 2050 saranno costrette a lasciare la propria terra per cause legate al cambiamento climatico dai 150 ai 250 milioni di persone.

Burhans racconta di aver visto “il cambiamento climatico rendere la vita quasi insopportabile per molti dei più poveri.” Di qui, l’impegno a “non solo usare le terre della chiesa per fare del bene a livello ambientale, ma non dimenticare mai nemmeno il più piccolo aspetto di queste situazioni nell’elaborazione delle soluzioni, per assicurarci di mettere i più vulnerabili, i poveri e tutti quelli che non hanno la possibilità materiale di contenere le minacce della natura al primo posto nella lotta contro il surriscaldamento globale.” Anche per la possibile creazione di corridoi umanitari, mappare i territori della chiesa può essere di estrema utilità. Essendo la Chiesa Cattolica un’istituzione molto più antica degli stati-nazione come definite negli ultimi secoli, le sue diocesi spesso “sembrano ignorare i confini geopolitici contemporanei.” Per esempio — esiste una diocesi il cui territorio si estende tra Nord e Sud Corea.

Nella sua enciclica Laudato Si’ Papa Francesco definisce il cambiamento climatico “un problema globale con gravi implicazioni” aggiungendo che “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”. Francesco ha preso decisamente posizione a fronte della necessità di modificare il nostro modo di vivere per poter costruire un mondo più sano.

Nonostante le belle parole, però, non esiste alcun piano effettivo sulle misure che la Chiesa potrebbe adottare per far fronte al surriscaldamento globale. Non solo. Nel 2016, quando Burhans si è recata direttamente a Roma per chiedere al Vaticano di vedere le mappe dei possedimenti delle diocesi, ha scoperto che semplicemente non esistevano: “è incredibile se si pensa che secoli fa i monaci erano tra i migliori e più precisi cartografi del mondo.” Le mappe più recenti presenti al Vaticano erano, con sorpresa di Burhans, gli affreschi sui muri risalenti all’inizio del XVI secolo. Splendidi, ma di scarsa utilità per sviluppare un progetto ampio come quello che aveva in mente. Così Burhans si è messa al lavoro, per mappare, grazie a un sistema chiamato GIS (Geographic Information System), tutte le diocesi: “andava fatto, lo abbiamo fatto, e sono incredibilmente orgogliosa”.

L’obiettivo ultimo resta tuttavia quello di utilizzare i terreni mappati per lo sviluppo sostenibile. “Creare una mappa ti permette di avere una discussione informata senza che dati e informazioni risultino opprimenti. Le mappe danno la possibilità, grazie all’uso del design, di far sedere le persone attorno a un tavolo a discutere i loro valori per trasformarli in soluzioni scientificamente fondate”. La cartografia è utile per aiutare chi guarda le mappe ad avere una nuova e più chiara visione del mondo.

Durante una delle sue visite a Roma, Burhans ha ottenuto un colloquio col Papa, durante il quale il Pontefice le avrebbe detto di non aver “mai visto nulla di simile.” Nonostante il confronto positivo, Burhans aveva poche speranze che si sarebbe tradotto in un progetto più complesso. Qualche ora prima del suo volo per tornare negli Stati Uniti ha invece ricevuto una telefonata inaspettata: apparentemente Francesco voleva lavorare all’idea di istituire un dipartimento di cartografia, e le chiedeva di esserne a capo. Nei mesi successivi, per Burhans, viaggiare a Roma come previsto si è rivelato impossibile a causa della pandemia e i progetti sono stati rimandati. Ma resta fiduciosa che la discussione potrà riprendere a tempo debito.

Nel frattempo la sua attività cartografica non si è fermata. Dopo aver contratto l’infezione da Coronavirus la scorsa primavera ha mappato proprio la SARS-CoV-19 attraverso il GIS, registrando ogni aspetto del suo sviluppo. “Mappare non solo i contagi, ma l’andamento stesso della malattia,” sostiene, “potrebbe fornire dati illuminanti, potenzialmente preziosi per l’organizzazione di un sistema di cure più efficace.”

Per Burhans scienza e fede non sono in contrapposizione. C’è bisogno, secondo Burhans, che la scienza informi in maniera imparziale il dibattito pubblico, ma non si può prescindere dall’influenza delle ideologie nel discorso e nel processo di ricerca di soluzioni sostenibili. La Chiesa allora, con il suo potere ideologico, spirituale e materiale, se coinvolta adeguatamente nella lotta contro il surriscaldamento globale, potrebbe raggiungere obiettivi – in termini sia di persuasione che di risultati concreti – che le grandi istituzioni governative del mondo stanno faticando a perseguire.

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