“George Floyd è stato ucciso dall’ego di Derek Chauvin”
“L’imputato non avrebbe mai lasciato che dei passanti gli dicessero cosa fare. Tra il proprio orgoglio e la propria responsabilità professionale, ha scelto l’orgoglio.” Ieri si sono tenute le arringhe finali del processo a Derek Chauvin. Ora, gli Stati Uniti aspettano una sentenza
la manifestazione di ieri al George Floyd Square Memorial di Minneapolis, foto via Twitter
“L’imputato non avrebbe mai lasciato che dei passanti gli dicessero cosa fare. Tra il proprio orgoglio e la propria responsabilità professionale, ha scelto l’orgoglio.” Ieri si sono tenute le arringhe finali del processo a Derek Chauvin. Ora, gli Stati Uniti aspettano una sentenza
Tutti gli Stati Uniti — soprattutto Minneapolis, dove ieri si è tenuta una manifestazioni di liceali contro la militarizzazione della città — stanno aspettando la sentenza nel processo a Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd. Ieri si sono tenute le arringhe finali. L’accusa ha indicato con precisione cosa è successo quel 25 maggio: “L’imputato si è trovato di fronte alla folla, che gli puntava addosso telecamere, registrandolo e dicendogli cosa doveva fare — mettendo in discussione la sua autorità, il suo ego, il suo orgoglio. Ma non avrebbe mai fatto quello che gli veniva chiesto — non avrebbe mai lasciato che dei passanti gli dicessero cosa fare. Tra il proprio orgoglio e la propria responsabilità professionale, ha scelto l’orgoglio.”
L’arringa della difesa, invece, è stata molto debole — d’altronde ci sono registrazioni video che mostrano che Chauvin ha ucciso Floyd — e infatti l’avvocato Eric Nelson ha sostanzialmente chiesto alla giuria di non dare peso alle prove, ma di considerare come le situazioni siano sempre “dinamiche e fluide.” (sic) In un discorso pieno di curve, Nelson ha cercato di raccontare che Floyd sarebbe potuto morire anche di altre cause, forse a causa dei medicinali che assumeva, e che Floyd da un momento all’altro avrebbe potuto essere aggressivo contro la polizia, per cui Chauvin sarebbe stato giustificato a tenerlo a terra anche quando sembrava aver perso i sensi. Ma è difficile capire come Floyd potesse essere sia così debole da morire per i propri farmaci, e così minaccioso da giustificare di essere soffocato per nove minuti.
La sentenza non metterà fine a questa storia, purtroppo: la difesa ha anche avanzato una mozione per processo nullo, accusando la caratterizzazione data dei fatti da parte dell’accusa come parziale — avrebbe “sfumato” la verità. Il giudice Peter Cahill ha rifiutato la mozione, ma ha espresso simpatie per la difesa, citando i commenti di Maxine Waters, e dicendo che potrebbero costituire le basi per fare appello e invalidare l’intero processo. La parlamentare democratica californiana era in strada con i dimostranti di Brooklyn Center sabato scorso, e aveva chiesto agli attivisti di “rimanere in strada” e di “diventare più aggressivi,” se Chauvin non fosse condannato. I repubblicani sono immediatamente saltati alla gola di Waters, dicendo che avrebbe “incitato la violenza,” e si stanno muovendo per cercare di sfiduciarla.
La causa, in ogni caso, non si è trasformata in un processo alla polizia statunitense — anzi, nella propria arringa conclusiva Steven Schleicher ha specificato con grande cura che “questa non è un’accusa alla polizia,” che è una “nobile professione.” “Lasciate che sia molto chiaro: questo caso è ‘Lo stato del Minnesota contro Derek Chauvin,’ questo caso non si chiama ‘Lo stato del Minnesota contro la polizia.’” L’accusa è effettivamente riuscita a infrangere il cosiddetto “muro blu del silenzio,” un termine che indica il codice informale tra poliziotti di non denunciare o commentare casi di violenza o cattiva condotta dei colleghi. Come abbiamo scritto all’inizio del processo, questa scelta ha fortemente indebolito la posizione dell’accusa, perché ha da sola autorizzato la difesa a gettare il seme del dubbio che Floyd potesse ancora essere pericoloso — e, quindi, sostanzialmente, meritasse di essere assassinato, dato che è poi quello che è successo. Per approfondire ulteriormente sul comportamento della polizia negli Stati Uniti, consigliamo “Una tradizione di violenza,” un’inchiesta in 15 parti di Cerise Castle sulla polizia di Los Angeles, pubblicata a puntate nelle scorse settimane su Knock LA.
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