in copertina, foto via Twitter
Approvata ieri dall’Assemblea Nazionale, la legge aumenta i poteri della polizia e vieta la diffusione delle immagini registrate dalle “body cam” degli agenti
Giovedì 15 aprile l’Assemblée Nationale ha approvato la controversa legge sulla “sicurezza globale”, nonostante le critiche da parte di giornalisti e attivisti per i diritti civili che da mesi ne denunciano le possibili conseguenze. Approvata in prima lettura da entrambi i rami del parlamento francese, è stata ribattezzata “legge per la sicurezza globale che preserva le libertà”. Nome alquanto ironico, dato che da un lato estende notevolmente i poteri delle forze di polizia e dall’altro limita la privacy e la libertà di espressione dei cittadini.
La legge è stata approvata con 75 voti favorevoli e 33 contrari. Un dato emblematico: alla discussione finale di una legge così importante, che limita i diritti dei cittadini e aumenta i poteri delle forze dell’ordine, si sono presentati solo 108 deputati su 577. Questo dato ha scatenato diverse critiche sui social da parte dei cittadini francesi, ma anche del Partito Socialista all’opposizione, che ha già annunciato che rinvierà l’intero testo al Consiglio Costituzionale.
La diffusione di foto delle forze dell’ordine non è più esplicitamente condannata, ma i video girati dalle body camera indossate dagli agenti non potranno essere resi pubblici, come voluto dai deputati di En Marche Jean-Michel Fauvergue e Alice Thourot.
Partiamo dall’articolo che ha fatto più discutere su tutti, l’articolo 24. Secondo il disegno di legge iniziale approvato nel novembre 2020, la norma avrebbe introdotto fino a un anno di reclusione e una multa massima di 45 mila euro per chi “diffonde con qualsiasi mezzo l’immagine del viso o di qualsiasi altro elemento identificativo di un ufficiale della polizia o della gendarmeria nazionale impegnato in un’operazione di polizia, con lo scopo di danneggiare la loro integrità fisica o psicologica”, scatenando di conseguenze le proteste della stampa, degli attivisti e dei cittadini che vedevano in questo articolo un tentativo di minaccia nei confronti di chi fa informazione, in particolare per coloro che diffondevano informazioni in merito alla violenza della polizia.
Dopo le proteste l’articolo è stato riscritto, ma il risultato è ugualmente liberticida. Infatti, nonostante sia stata eliminata la menzione alla “diffusione di immagini e video”, la norma introduce un nuovo reato nel Codice penale, che punisce con cinque anni di reclusione e fino 75 mila euro di multa qualsiasi “provocazione [nel senso di incitare, invocare] dell’identificazione” di un gendarme, di un ufficiale di polizia, di un doganiere o dei loro parenti, “con il chiaro scopo di causare danni fisici o psicologici.” Non si parla esplicitamente di immagini e video, ma sono aumentati gli anni di reclusione e l’ammontare della multa.
Il resto del testo non è meno problematico per quanto concerne lo stato di diritto: siamo di fronte a un allargamento dei poteri della polizia e della gendarmeria che saranno concessi anche alla polizia municipale, ma soprattutto alla sicurezza privata. Infatti, la legge mira a creare un “continuum di sicurezza” in Francia rafforzando le prerogative della polizia municipale e degli agenti di sicurezza da un lato, e facilitando l’accesso ai mezzi tecnici (droni, telecamere pedonali, videosorveglianza) dall’altro. Inoltre, autorizza le forze di sicurezza a portare con sé le proprie armi da fuoco anche quando non sono in servizio.
Oltre all’articolo 24, al centro delle polemiche per la libertà di stampa c’è l’articolo 21, secondo cui il materiale fotografico e video delle body camera degli agenti non possono essere diffuse dai media perché, secondo la maggioranza di Governo, nel caso in cui circolassero sui social delle immagini – ad esempio – delle reazioni violente della polizia durante delle manifestazioni, si creerebbe un sentimento ostile nei confronti degli agenti. Se questa legge fosse stata in vigore negli Stati Uniti, tanto per fare un esempio, oggi non avremmo potuto vedere la dinamica dell’uccisione di Daunte Wright.
Le dinamiche di controllo sono implementate con l’utilizzo dei droni e dei sistemi di videosorveglianza in tutte le città, in modalità che sono in contrasto con la libertà dei cittadini e la tutela della loro privacy. Le forze dell’ordine potranno perfino visionare le registrazioni dei circuiti chiusi dei condomini.
Nonostante le critiche e le raccomandazioni arrivate dagli esperti delle Nazioni Unite che già lo scorso dicembre avevano chiesto una revisione completa di questa norma, la legge rappresenta comunque un attacco allo stato di diritto, che si inserisce in una deriva autoritaria e liberticida più ampia del governo Macron: lotta all’estremismo islamico — e all’islam non estremista — tramite norme ambigue, scioglimento delle associazioni che tengono riunioni composte solo da persone razzializzate, il tentativo di introdurre un hijab ban per le ragazze minorenni nelle scuole. Tutte norme che, con la narrazione della laicité, stanno portando all’annullamento delle identità e a uno strapotere delle forze dell’ordine.
Le conseguenze di queste norme si stanno vedendo anche al di fuori del territorio francese, anche se l’argomento non è sulle prime pagine dei giornali europei. Ricordate il summit a tre fra Macron, il primo ministro austriaco Kurz e la cancelliera tedesca Merkel subito dopo gli attentati di Nizza e Vienna? In quell’occasione si era parlato della necessità di creare un patto europeo contro il terrorismo. Le prime iniziative sono state già prese.
Lo scorso 16 marzo il Consiglio Europeo ha adottato un nuovo regolamento relativo alla diffusione di contenuti terroristici online. Approvato precedentemente dalla “Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni”, il nuovo regolamento, più che uno strumento di tutela e di rimozione di contenuti terroristici online, si configurerà come una vera e propria censura. Basterà un commento sopra le righe o l’utilizzo di un termine – come, ad esempio, Daesh – che l’algoritmo individuerà tra quelli segnalati, che il contenuto verrà rimosso.
La European Digital Right (EDRi), 61 organizzazioni di giornalisti e per la difesa dei diritti umani, hanno inviato una lettera congiunta ai membri del Parlamento europeo, esortandoli a votare contro la proposta di regolamento per affrontare la diffusione di contenuti terroristici online, proprio perché temono sia un pericolo per la libertà di stampa e di espressione.
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