Ordini identici pagati in modo diverso, variazioni improvvise nelle tariffe: capire come funziona esattamente l’algoritmo di Deliveroo è impossibile
“Nuovo ordine!”
Sullo schermo appare una proposta di consegna: ci sono l’indirizzo del cliente, quello del ristorante e la tariffa: 4,5 €. Perché proprio 4,5 €? Non si sa. Durante le attese e su Facebook i rider si scambiano opinioni sul presunto funzionamento dell’algoritmo che calcola i loro compensi, ma non c’è modo di sapere veramente come quella cifra sia stata calcolata. Possono solo prendere o lasciare.
I dati storici e quelli raccolti in tempo reale tramite la geolocalizzazione sono preziosi per le piattaforme digitali, e consentono di addestrare gli algoritmi di machine learning che calcolano il compenso ottimale — ovvero quello che consente di effettuare tutte le consegne mantenendo i costi più bassi possibili. Benché Deliveroo custodisca gelosamente questi suoi segreti, le informazioni disponibili sul sito aziendale e alcune interviste a rider e sindacalisti del settore hanno consentito di ricostruire alcuni aspetti fondamentali per capire il funzionamento e la filosofia della piattaforma.
Secondo il contratto siglato in autunno tra Assodelivery e UGL, il compenso orario dei rider non può essere inferiore a 10 € l’ora. Deliveroo promette un minimo di 11 € lordi all’ora, ma paga solo i minuti che ritiene necessari a pedalare dal ristorante alla casa del cliente: non importa se il tempo effettivo è maggiore perché il rider deve attendere che il cibo sia pronto, perché c’è traffico o perché la stima non è corretta.
Le attese non retribuite sono un problema particolarmente sentito dai rider. Uno di loro mi spiega: “Deliveroo crede che tutta la realtà si regoli secondo la legge di libero mercato e che quindi saranno i rider a non andare nei posti dove si attende troppo. Inoltre se tu al rider non dai nulla e gli fai perdere tempo, lui diventa impaziente e inizia a rompere le scatole al ristoratore. Adesso succede meno perché per le norme anti-covid dobbiamo aspettare fuori. Invece prima dentro al McDonald’s c’era la ressa: una ragazza doveva fare 25 ordini e alla fine faceva prima quelli di chi insisteva di più. Era compito nostro stare lì, attirare l’attenzione, farci servire. C’era l’impressione che velocizzare il ristoratore fosse una parte di lavoro non pagato.”
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Il tempo stimato per la consegna non è l’unico fattore che incide sul calcolo della retribuzione base. Le tariffe variano in base alla città, al numero di rider disponibili, al mezzo utilizzato e ad altri parametri imperscrutabili. Secondo Francesco Melis di Nidil – CGIL Milano, “a seconda di quante persone si collegano in certe fasce orarie sanno che possono abbassare la consegna perché se il lavoratore è rimasto fermo 40 minuti ad aspettare accetta anche una tariffa bassa. Quando invece arriva una proposta ogni 20 minuti e dopo quattro consegne da 4 € ne arriva una da 3,5 € non la accetta perché è più bassa. Loro hanno una mappatura dei rider che in quel momento sono loggati e fanno le loro stime.”
Un rider mi racconta che a volte per ordini uguali vengono proposti compensi completamente diversi. Tra i rider circolano moltissime teorie: alcuni pensano che tenga conto dei tempi medi di attesa di un determinato ristorante, altri che, se un cliente si è lamentato in passato, l’azienda possa cercare di farlo contento proponendo al rider una ricompensa migliore nella speranza che l’ordine venga consegnato più in fretta, qualcuno sospetta che diano dei bonus quando sono previsti scioperi o manifestazioni. Un rider mi assicura che dopo aver rifiutato un ordine questo gli è stato riproposto a una tariffa più alta, ma un collega di un’altra città racconta che a lui vengono riproposti allo stesso prezzo.
Capire di preciso il funzionamento del sistema è reso più complicato dal fatto che si evolve continuamente e silenziosamente. Ad esempio, due anni e mezzo fa a Pavia la tariffa minima per una consegna in bici era 4,20 € lordi e l’app forniva questo dato. La tariffa minima ha continuato a scendere senza nessuna spiegazione: ogni mese veniva annunciata la nuova tariffa ed era di qualche centesimo più bassa della precedente, finché nell’estate del 2019 la piattaforma ha smesso di comunicarla. Secondo i rider, al momento si è arrivati a un minimo di 3,77 € per le consegne in bici, ma anche a 2,5 € per quelle in auto. In molte città vi è stata una simile evoluzione. Queste decisioni unidirezionali evitano all’azienda qualsiasi forma di contrattazione delle condizioni economiche e rendono più difficile protestare.
Il sistema di calcolo delle tariffe viene più volte descritto come una black box: un sistema di cui si conoscono gli input e gli output ma non il funzionamento
Dopo la firma dell’accordo “pirata” tra Assodelivery, che rappresenta gli interessi di quasi tutte le aziende di food delivery, e il sindacato UGL, i rider hanno visto una veloce erosione della retribuzione base e una crescita dell’importanza della parte dinamica della retribuzione. Questa è costituita da bonus che aumentano il compenso del rider di una percentuale che può arrivare anche al 40%. In genere le consegne con bonus sono proposte quando in una zona vi sono molte consegne e pochi rider: nei fine settimana, quando piove, quando c’è il rischio che avvengano dei ritardi. Questo meccanismo rende flessibili le tariffe e consente di tenere bassa la paga base, incentivando con dei bonus i rider quando è necessario. Il costo per l’azienda si abbassa e il meccanismo consente di organizzare il lavoro autonomo spingendo i rider a lavorare in zone e orari in cui servono all’azienda. Gli stessi rider si rendono conto dell’effetto che questo sistema ha sull’organizzazione del lavoro: “È come se ci fosse il capo che mi dice ‘vieni al weekend perché mi servi solo al weekend.’ Lascia che sia io a deciderlo perché non mi conviene, anche se l’hanno deciso loro.”
L’algoritmo che calcola le tariffe sembra essere ben coordinato con tutte le altre parti del sistema. Fino ad alcuni mesi fa c’era un sistema di prenotazioni che dava la possibilità di prenotare più ore di lavoro durante la settimana a chi guadagnava “punti” coprendo i turni del weekend. In seguito a una sentenza, questo sistema è stato eliminato e in quasi tutte le zone è stato adottato il metodo del free-login, cioè tutti i rider possono loggarsi all’app in qualsiasi momento senza bisogno di nessuna prenotazione. Il compito di concentrare il lavoro nelle fasce orarie in cui è più richiesto è passato quindi alle tariffe.
Nelle città in cui il servizio è disponibile da poco e in alcune piccole città di provincia sopravvive il sistema delle prenotazioni, anche se con nuove modalità. In queste città è previsto anche un compenso di 6 € o 7 € all’ora nel caso in cui un rider sia disponibile nella fascia oraria prenotata ma non riceva ordini. Alcuni rider mantovani mi spiegano che sanno benissimo che, quando l’azienda avrà un numero sufficiente di rider e di ordini, perderanno anche loro questa garanzia: per Deliveroo è un modo per assicurarsi di avere dei rider sempre disponibili nelle città in cui non si è ancora affermata, ma da un mese all’altro potrebbe cambiare le carte in gioco senza nessuna forma di contrattazione o di preavviso.
Dietro il rumore delle macchine
Una conferenza tenuta da Victoria Puscas, manager del team di data scientist che tra il 2019 e il 2020 ha sviluppato una nuova versione dell’algoritmo che calcola le tariffe, consente di sbirciare dietro le quinte, nei luoghi dove questi sistemi vengono ideati e realizzati. Il sistema di calcolo delle tariffe viene più volte descritto come una black box: un sistema di cui si conoscono gli input e gli output ma non il funzionamento. Ciò significa che ci sono dei modelli di machine learning che imparano dai dati quali sono le decisioni da prendere per raggiungere gli obiettivi per cui sono stati progettati, ma lo fanno senza che sia possibile comprendere i loro ragionamenti.
Puscas racconta anche di un test A/B condotto su una prima versione dell’algoritmo: in una piccola zona dell’Inghilterra sono state calcolate le tariffe utilizzando la nuova versione al fine di controllare l’efficacia. Questo tipo di test è molto utilizzato dagli sviluppatori e serve a testare se una nuova modifica sarà gradita dagli utenti, ma in genere viene utilizzata su componenti meno critiche come le interfacce grafiche. Il risultato è stato così disastroso che dopo circa un’ora i rider — che non sapevano di star partecipando a un esperimento — hanno proclamato uno sciopero. Dal suo racconto emerge un’enorme leggerezza nell’applicare modelli di machine learning sui lavoratori senza prima seguire dei processi di testing adeguati. Inoltre alimenta il sospetto sul fatto che cambiamenti inspiegabili e temporanei nei pattern delle tariffe e strani bug segnalati da alcuni rider possano effettivamente essere dei test di nuove feature o nuovi modelli.
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Gli algoritmi di Deliveroo rimangono un mistero. Anche quando il giudice del processo di Bologna ha chiesto di mostrarne una parte per poter dimostrare la tesi difensiva, l’azienda si è opposta. Tuttavia nel mondo qualcosa si muove. In Spagna il 10 marzo è stato raggiunto un accordo che prevede che i rappresentanti dei lavoratori debbano essere informati del funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale che possono incidere sulle condizioni di lavoro. Nel Regno Unito gli autisti di Uber chiedono trasparenza sugli algoritmi e sui dati utilizzati per poter verificare che non vi siano discriminazioni. Tra i ricercatori e i tecnici aumenta l’interesse verso la “explainable AI,” sistemi più trasparenti che dovrebbero consentire di sapere perché viene presa una certa decisione.
Non dobbiamo pensare agli algoritmi come ai robot senzienti che cercano di prendere il controllo del mondo nei film di fantascienza; perseguono in maniera molto efficiente gli obiettivi per cui sono stati ideati. Permettere che rimangano del tutto oscuri e che il loro sviluppo possa avvenire senza nessuna garanzia di qualità e trasparenza significa lasciare tutto il potere nella mani delle aziende.
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