Lo stress post–traumatico dovuto alla pandemia è una cosa seria
Nelle aree più colpite dalla prima ondata, come Nembro, diverse associazioni locali stanno già lavorando per dare supporto non solo agli operatori sanitari ma a tutta la popolazione
di Emanuela Colaci e Stefano Colombo.
Marta Clinco ha collaborato alla stesura di questo articolo e ha realizzato tutte le foto.
In copertina: Tra le difficoltà maggiori ci sono quelle affrontate dalle farmacie del bergamasco, che durante il primo lockdown non riuscivano a rispondere alla richiesta in costante crescita di farmaci e bombole d’ossigeno. Bergamo, marzo 2021
Nelle aree più colpite dalla prima ondata, come Nembro, diverse associazioni locali stanno già lavorando per dare supporto non solo agli operatori sanitari ma a tutta la popolazione
Alla fine della prima ondata di contagi, quella più mortale di marzo e aprile 2020, a Bergamo e dintorni si è cominciato a dover fare i conti con un’eredità psicologica devastante. Lo stress della pandemia ha lasciato tracce profonde sulla popolazione, con un numero elevato di persone che si sono trovate a soffrire di disturbo post traumatico da stress, o PTSD, post–traumatic stress disorder.
Il personale medico e sanitario è stato il gruppo più esposto ai disturbi da stress post traumatico. Ne avevamo già parlato quasi un anno fa, con gli esempi di uno studio sull’impatto della Sars, e uno sperimentale sulla Cina, il paese che ha vissuto per primo il trauma del Covid–19.
Da una ricerca condotta dall’associazione EMDR Italia e pubblicata a febbraio 2021 è emerso che il 71,2% degli operatori sanitari ha avuto livelli di ansia superiori al resto della popolazione. In relazione al burnout, più del 60% ha riportato livelli da moderati a elevati; il 74,4% ha riportato livelli da moderati a elevati di ridotta realizzazione personale. L’associazione riunisce psicoterapeuti professionisti che praticano la stimolazione bilaterale oculare per il superamento dei traumi nei pazienti.
“L’impatto psicologico del trauma è forte perché sono state esposte come persone potenzialmente contagiabili in prima persona, e al trauma come familiari di coloro che non ce l’hanno fatta. O colleghi di una vittima di contagio. Tutto all’interno della quotidianità diventa incerto: questo concorre al traumatismo multiplo,” ci dice Stefania Bonomi, psicoterapeuta, presidente e volontaria di Insieme per mano Onlus, un’associazione nata dopo la prima ondata di coronavirus a Nembro, che si è attivata per aiutare coloro che hanno vissuto da vicino l’esperienza del Covid. “Aiutiamo persone che hanno perso un familiare ma anche coloro che hanno vissuto la malattia, tutti i disagi legati all’emergenza di un anno fa”.
L’associazione Insieme per mano segue due gruppi di cittadini nembresi che hanno vissuto il trauma della perdita e del lutto, con il protocollo EMDR: “Io utilizzo una tecnica che coinvolge più persone e situazioni di trauma multiple. Si lavora in gruppo insieme e per ciascun incontro ogni partecipante porta un proprio ricordo traumatico. Ciascuno ha davanti a sé un foglio con il quale ricorda quello che ha in mente in quel momento. Non è necessario che la persona verbalizzi immediatamente. Poi si procede con la stimolazione bilaterale e quindi la persona, continuando step by step a scrivere e disegnare sul foglio, arriva a bonificare il ricordo.”
I 600 operatori sanitari che hanno partecipato allo studio dell’associazione EMDR Italia, sono lavoratori a stretto contatto con pazienti Covid in ospedali e Rsa di tutta Italia. Questo gruppo è stato sottoposto a terapia EMDR (Eye movement desensitization and reprocessing), una tecnica di stimolazione oculare che affronta i ricordi non elaborati per superare i traumi. EMDR Italia, ha rilevato che il 66% dei 774 operatori sanitari coinvolti nello studio ha avuto una situazione di evidente stress post traumatico.
Marco Pagani, ricercatore del Cnr che si occupa di neurologia del trauma, ha commentato questi risultati, ai microfoni del programma di Radio 3 Tutta la città ne parla: “Questa situazione si è verificata perché in molte circostanze lo stesso medico si sentiva impotente nel curare un paziente. Questo alimentava un traumatismo che viene ripetuto giorno dopo giorno. È come se avessimo un incidente stradale per 10 giorni di fila e ogni giorno questo incidente le ricorda il precedente e si accumula una situazione di stress post traumatico che libera la malattia.” Ma che cos’è l’EMDR? Nata nel 1988 dalle intuizioni della psicologa Francine Shapiro, Nel 2013 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’EMDR come approccio terapeutico efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati. Sostanzialmente la terapia consiste in movimenti oculari guidati che contribuiscono ad affrontare traumi, effettuata individualmente o in gruppo. Secondo EMDR Italia, “l’EMDR è un metodo psicoterapico strutturato che facilita il trattamento di diverse psicopatologie e problemi legati sia ad eventi traumatici, che a esperienze più comuni ma emotivamente stressanti.” I critici sostengono che la terapia sia solo una forma della terapia di desensibilizzazione sistematica e che il beneficio non arrivi dai movimenti oculari specifici della terapia, ma semplicemente dall’affrontare i traumi, etichettandola come una pseudoscienza. In particolare non è ancora pienamente chiarito quale sia il processo tramite cui le forme di terapia agirebbero sul cervello per veicolare i benefici. Resta il fatto che ad oggi l’EMDR è usata con successo in varie parti del mondo, e raccomandata ad esempio dall’American Psychological Association per il PTSD.
Dallo studio di EMDR Italia, emerge che “gli operatori sanitari trattati hanno perso la diagnosi”, ha affermato il dottor Pagani. Anche la dottoressa Bonomi ha osservato cambiamenti positivi anche nei suoi pazienti di Nembro: “Al termine di ciascun incontro, la persona esprimeva il dolore con una certa intensità, perché l’EMDR porta le persone a rivivere questo momento. Alla fine del lavoro la persona si sente più leggera, anzi accanto al dolore a volte si affiancano ricordi positivi trascorsi con la persona cara”.
La comunità della Val Seriana (che conta circa 11 mila abitanti) è stata tra le più colpite dal Covid-19, con 188 vittime tra marzo e aprile 2020. La dottoressa Bonomi ricorda i momenti più significativi, il silenzio interrotto dalle sirene delle ambulanze, il suono delle campane assente perché la media di 9 vittime al giorno non risuonasse ininterrottamente. “Le ferite ci sono ancora e sono profonde. Sono complicate e difficili da curare, perché derivano da traumatizzazione multiple. Ci troviamo di fronte a persone molto sofferenti, molto ferite e provate da ciò che hanno vissuto, che vanno aiutate con delicatezza”.
Rispetto alla primavera del 2020, i problemi sono cambiati e riflettono le difficoltà che sta affrontando tutta Italia. “Stamattina ho sentito l’assessore ai servizi sociali che mi chiedeva aiuto per le famiglie delle scuole dell’infanzia. Le madri hanno chiesto aiuto e non riescono a gestire i figli a casa. Uno di loro è caposala nel reparto di rianimazione dei nostri ospedali,” spiega Bonomi. La pandemia ha fatto saltare tutti gli schemi, le abitudini, la vita collettiva. Ciò che era fisso e stabile prima, è diventato occasionale e forse non più così sicuro. Non ha fatto eccezione il funzionamento di istituzioni fondamentali come scuola e università. “Non ci sono ancora delle risposte strutturate e risorse sufficienti per garantire un senso di sicurezza che fa bene alla mente”.
Quando chiediamo di provare a definire i contorni di questo trauma collettivo, la dottoressa Bonomi prende qualche secondo per pensarci: “Per comprendere un fenomeno la mente deve definire con le parole, lo capisco, ma siamo di fronte a un fenomeno complesso. Sicuramente c’è una condizione di precarietà e incertezza che ha invaso tutti noi. Ciò ha spinto tutti noi a vivere nel presente e nel qui e ora. La sola questione delle zone, determina la nostra quotidianità.” Oggi Nembro è una comunità “meno gioiosa, più silenziosa,” dice Bonomi, ma “fortemente unita, perché l’unione è la chiave per uscire da questa situazione.”
Abbiamo parlato anche con il dottor Luca Giacci, che a Nembro segue gruppi per l’elaborazione del lutto, facendo riferimento sempre all’associazione Insieme per mano. “Abbiamo fatto dei lavori di gruppo a Nembro con i parenti delle vittime, e con gli infermieri per il vissuto ospedaliero covid. L’EMDR è un metodo terapeutico che viene utilizzato per traumi di questo tipo, soprattutto il rischio della morte personale o in casi di un lutto importante — situazioni fortemente invalidanti.”
Ma come mai l’EMDR è particolarmente indicato in questi casi? “Alla base c’è il movimento oculare che attiva il sistema di elaborazione del cervello. Noi tutti abbiamo un sistema di elaborazione che ci permette di rendere adattiva un’esperienza negativa, di poter andare oltre, anche facendone esperienza. Però in certe situazioni questo sistema tende a bloccarsi, lasciando l’esperienza negativa così come tale: sensazioni, immagine intrusive… La stimolazione bilaterale attiva il cervello, facendo rimettere in funzione la sua capacità di elaborazione.”
L’EMDR prevede diversi tipi di terapie. “Nel caso del lavoro di gruppo, la strategia scelta è quella del tapping: i pazienti incrociano le braccia davanti al petto e alternativamente si danno dei colpetti con le mani sulla destra e la sinistra per un numero di volte. E vediamo che pian piano partendo da un’immagine dolorosa questa tende ad andare sempre più sullo sfondo.”
Si potrebbe pensare che operatori sanitari come medici e infermieri siano abituati ad avere a che fare con la malattia e con la morte. Come mai quindi si è registrata una necessità così pressante anche per loro di prendere parte a sedute di terapia? “È vero, sono abituati ad avere a che fare con morte e malattia. Ma non sono abituati proprio alla vastità dell’evento, che ha impattato tanto,” ci spiega Giacci. Di punto in bianco si sono trovati con un carico di lavoro impressionante senza sapere bene cosa fare: con tanti malati tutti in una volta, particolarmente gravi, senza strumenti a sufficienza per il numero di ricoverati… Tutto questo ha portato a essere particolarmente sotto pressione, uno tsunami emotivo molto forte.”
Uno tsunami legato anche alla mole di lavoro, quindi? “Fondamentalmente alla mole e al tipo di lavoro. Non è arrivato un tipo di carico in cui dopo aver lavorato 24 ore al giorno per 3 settimane i pazienti ne sono usciti tutti sani: c’entra quindi la mole ma anche il fatto che la gente moriva.” Alcuni infermieri hanno raccontato a Giacci storie terribili, che descrivono bene la situazione a Bergamo in quelle settimane: “qualcuno ci ha detto: ‘siamo stati tutta la notte coi respiratori manuali per farli respirare e salvarli, e poi il giorno dopo sono morti.’ Altri raccontano che la prima domanda che faceva il medico nel turno succesivo era ‘quanti sono morti,’ neanche ‘come sta andando’. Per rendere un’idea di cosa hanno passato queste persone.”
È difficile stabilire quale impatto potrebbe avere a lungo termine sulla popolazione di Nembro quanto è successo. Dipenderà molto anche da quali saranno gli interventi messi in atto. “A lungo termine se non viene fatto un intervento adeguato si riscontrerà questa permanenza di disagio, questa ruminazione di pensieri negativi, di immagini — le tante bare, i tanti morti — tutti pensieri intrusivi che vanno a minare o invalidare il comune vivere. Con disturbi del sonno, difficoltà a prendere decisioni.”
Le terapie, a Nembro, sono gratuite. “Ci sono associazioni che se ne sono fatte carico. Per la popolazione è gratuita, e anche l’onere per le associazioni che hanno deciso di sovvenzionare è decisamente ridotto,” spiega Giacci. Al quale chiediamo una riflessione: potrebbe essere utile una promozione di queste e altre terapie psicologiche per affrontare i postumi della pandemia da parte del sistema sanitario nazionale, in modo da offrirle gratuitamente a tutti i cittadini? “Assolutamente sì. L’EMDR del resto è riconosciuta dall’Oms come terapia d’eccellenza per il PTSD.” Una democraticità delle cure necessaria, dunque, ma che sembra difficile da realizzare in modo diffuso, in una Regione dove già la medicina ordinaria è sempre più preda delle mire speculative della sanità privata.
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