in copertina, foto via Facebook
La mancanza di una regia unica e la cattiva gestione delle regioni hanno lasciato il paese in balia a 20 campagne vaccinali diverse, che procedono faticosamente e con priorità spesso poco trasparenti
L’Italia continua a scontare il ritardo della campagna vaccinale: ieri sono stati registrati ancora 386 decessi e una forte crescita dei ricoveri nei reparti di terapia intensiva (+62, con 227 ingressi) e ordinari (+565). Un dato in controtendenza rispetto a quello degli altri grandi paesi europei, che deriva anche dall’incapacità di proteggere con un’adeguata copertura vaccinale la popolazione più anziana. Per fare un confronto, nel Regno Unito ieri sono stati registrati solo 17 decessi.
Il governo sembra essere giustamente arrivato alla conclusione che una delle cause dei ritardi e della confusione nella campagna vaccinale è l’inadeguatezza e la diversità politica delle regioni. Per mettere una pezza sulle inefficienze degli enti locali e cercare di accelerare, ieri Mario Draghi ha convocato un doppio vertice a Palazzo Chigi: uno con il commissario Figliuolo e il capo della protezione civile Curcio, e uno con la ministra agli affari regionali Gelmini. L’ipotesi è quella istituire una serie di “task force regionali” composte da uomini della Difesa e della protezione civile, per “affiancare” le regioni nelle somministrazioni, ma dovranno essere le regioni stesse — nel rispetto della loro autonomia costituzionale — a fare richiesta d’aiuto. Sul fronte delle forniture, Figliuolo ha annunciato che entro 24 ore saranno distribuite circa un milione di dosi Pfizer, ma dovrebbero bastare soltanto a tenere il ritmo: secondo i calcoli della struttura commissariale, dalle forniture del primo trimestre mancano in totale 1,7 milioni di dosi.
Il caso più eclatante in quanto a inefficienza regionale è sempre quello della Lombardia: ieri Fontana ha chiesto ai vertici di Aria — la società regionale voluta dallo stesso Fontana nel 2019, che sta gestendo attualmente le prenotazioni — di fare “un passo indietro,” così da procedere alla nomina di un amministratore unico, l’attuale direttore generale Lorenzo Gubian, subentrato a Filippo Bongiovanni dopo lo scandalo dei camici “regalati” dall’azienda del cognato dello stesso Fontana. Sotto al paradosso della regione che commissaria se stessa, si nasconde un conflitto tra la Lega e Forza Italia — l’ex assessore Gallera, ad esempio, ne ha approfittato per togliersi un sassolino dalla scarpa, dicendo che non era lui il problema della sanità lombarda, “ma Aria che è controllata dalla Lega.” In conflitto però è anche interno alla Lega stessa, tra la componente più vicina a Giorgetti e quella più “salviniana,” rappresentata dall’assessore al Bilancio Caparini.
Ma la piattaforma di Aria non doveva essere sostituita da quella di Poste Italiane? Annunciato già da diversi giorni, il passaggio effettivo ancora non si è visto, ma secondo il leader leghista Salvini dovrebbe arrivare “in settimana.” Intanto, secondo Bertolaso va tutto bene: “Stiamo vaccinando molto bene in tutta la regione,” ha detto a Rai News, pur ammettendo che ogni tanto ci sono degli “intoppi” di natura tecnica. Segnatevi l’ultima profezia del coordinatore della campagna vaccinale: entro la settimana dell’11 aprile tutti gli over 80 della Lombardia avranno ricevuto almeno una dose di vaccino.
È ormai impossibile contare tutte le volte che la regione si è resa protagonista di problemi e controversie nella gestione della pandemia, comportandosi in modo disastroso da prima ancora che la pandemia fosse un problema nazionale, con decisioni tragiche come la mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo, al centro dell’indagine della procura di Bergamo, senza contare le infinite gaffe dell’ex assessore Gallera e di tutti i membri della giunta. Il problema però non si ferma all’inadeguatezza della Lombardia. È necessaria una riflessione più profonda sul ruolo delle regioni e la dinamica dei loro rapporti con lo stato centrale, un argomento che durante la pandemia è stato un vero e proprio elefante nella stanza: tutti hanno notato che c’era, ma nessuno — a partire dal governo Conte — ha deciso di provare ad affrontarlo, con una nuova divisione delle competenze e, magari, una riduzione del potere e dei capricci dei governatori. È sempre più evidente che, se si vogliono rispettare obiettivi prefissati a livello nazionale è necessario un maggiore controllo dell’operatività regionale. Nei giorni scorsi Figliuolo ha avvertito le regioni che avrebbe supervisionato personalmente i risultati delle campagne vaccinali regionali, ma la strategia non può ridursi semplicemente in un’intensificazione dei controlli, perché di regione in regione manca un’armonizzazione degli obiettivi che vada oltre al consumo delle dosi che vengono distribuite. Secondo Davide Maria De Luca, su Domani, una delle ragioni della mancata riduzione di mortalità in Italia è che per gonfiare i numeri di persone vaccinate le regioni stiano vaccinando più persone giovani e meno anziani rispetto alle campagne vaccinali degli altri paesi europei. L’Italia, infatti, ha somministrato circa il 75% delle dosi consegnate, ma è in fondo alla classifica di over 80 vaccinati, in particolare over 80 che abbiano ricevuto già entrambe le dosi. Così, se l’Emilia–Romagna ha vaccinato metà degli anziani con più di ottant’anni, la Toscana è ferma a circa il 30%.
Vista la situazione, scavalcare le regioni potrebbe essere l’unica possibilità per far funzionare la campagna vaccinale in modo centralizzato ed organico. Sembra assurdo, ma oggi non esiste una piattaforma nazionale di prenotazioni dei vaccini, e ogni regione ha proceduto per conto proprio, utilizzando anche criteri di priorità differenti — come quella da dare, ad esempio, alle vaccinazioni per gli insegnanti — che hanno aumentato la confusione generale nel paese. Il caos e il frazionamento sulle prenotazioni hanno un antenato illustre: il fallimento di Immuni, l’app di tracciamento naufragata anche per l’inefficienza mostrata nell’inserimento dei dati e nella cura dell’operazione da parte della sanità territoriale in praticamente tutta Italia — il caso più eclatante era stato quello del Veneto, di solito indicato come regione modello nella pandemia, dove era venuto fuori che per mesi l’app non aveva funzionato perché l’Ats semplicemente non aveva inserito alcun dato.
E a questo proposito c’è una quadratura del cerchio, che fa ben capire con quali grandi credenziali Gubian si presenti a dare una svolta all’organizzazione della sanità lombarda: in Veneto Immuni subì ritardi clamorosi anche perché la regione aveva intenzione di lanciare una propria app regionale, “Zero Covid Veneto,” che nelle intenzioni di Zaia avrebbe dovuto essere più efficiente di quella nazionale. Peccato che l’app non sia mai entrata in funzione per mai chiariti motivi e il Veneto si sia trovato con Immuni sabotata, nessun sistema di tracciamento funzionante e 260 mila euro spesi nello sviluppo della fantomatica app. E da chi doveva essere creata l’app? Dall’unità operativa complessa dei Sistemi informativi di Azienda Zero, che fino alla fine del luglio 2020 è stata diretta proprio da Lorenzo Gubian.