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Oggi i cittadini israeliani tornano alle urne, mentre il paese emerge dalle chiusure grazie alla propria corsa vaccinale. Nonostante il successo della campagna — che Netanyahu ha sbandierato fino all’ultimo giorno di campagna elettorale — la Likud è lontanissima dai numeri per governare da sola, e la formazione di un governo di coalizione sarà complessa come lo è stata in precedenza. La speranza di Netanyahu, nello specifico, è di riuscire a raccogliere una coalizione interamente di partiti di destra ed estrema destra, senza dover ricorrere ad altri sostegni. E quando scriviamo “destra ed estrema destra,” intendiamo destra ed estrema destra: tra i possibili membri della coalizione ci sono l’ultra–ortodosso Aryeh Deri, che domenica ha dichiarato che non crede che le donne possano guidare il suo partito, e il partito Otzma Yehudit, che ha tra le proprie file politici che vogliono espellere i cittadini arabi, perché “sleali.” Contro Netanyahu è schierato il centrista Yair Lapid, del partito Yesh Atid, che spera in un risultato che lo metta al centro dello scacchiere politico, ma che per governare dovrebbe accettare una coalizione che vada dai parlamentari arabi agli stessi partiti estremisti che sognano la teocrazia.

Si tratta di elezioni estremamente complesse, decisive per le sorti della rappresentanza araba dopo la disgregazione della Lista Comune, ma anche per il futuro sempre più incerto per Benny Gantz, che da leader di governo ora rischia di finire sotto la soglia di sbarramento, e sul lastrico. Allison Kaplan Sommer ha scritto una breve guida alle tante variabili di queste elezioni — che vanno ben al di là del ruolo di Netanyahu — per Haaretz. Domenica il quotidiano, una delle ultime voci progressiste della società israeliana, aveva definito la possibilità di un governo di Netanyahu con solo i partiti di destra “un incubo per chiunque non sia un estremista nazionalista che crede nella supremazia ebraica.”

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