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in copertina, foto via Flickr

La proposta di sospendere i brevetti dei vaccini è ferma al WTO ormai da mesi, ma ieri anche il direttore generale dell’OMS si è unito alla lista di chi chiede che tutti possano produrre vaccini

Ieri il Guardian ha pubblicato un editoriale in cui Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’OMS, si scaglia contro il sempre più grave apartheid vaccinale. Tedros non scrive solo per una questione di valori: rallentare l’immunizzazione della popolazione globale vuol dire protrarre i tempi della ripresa economica. Di fronte a quello che è un dato di fatto — finora a livello globale sono state somministrate solo 225 milioni di dosi, di cui la stragrande maggioranza nei paesi più ricchi — c’è solo una soluzione: superare, almeno temporaneamente, il meccanismo della proprietà intellettuale dei brevetti. Tedros sottolinea che il mondo sta andando già in questa direzione, solo che più faticosamente, a causa della ritrosia delle aziende e dei paesi più ricchi: Pfizer e Sanofi stanno lavorando per condividere tecnologie fondamentali; lo stato canadese sta lavorando gomito a gomito con alcune aziende farmaceutiche per espandere la produzione; sotto l’egida dell’amministrazione Biden i rivali Johnson & Johnson e Merck hanno siglato una partnership per aumentare la produzione. “Le flessibilità nelle regolamentazioni commerciali esistono per le emergenze,” scrive Tedros, “e sicuramente una pandemia globale, che ha fermato così tante società e causato così tanti danni alle imprese, si qualifica come tale.” Il direttore generale aggiunge che contro il virus bisogna essere “sul piede di guerra,” sapendo riconoscere “quello di cui abbiamo bisogno.”

Su Twitter, Tedros ha poi ringraziato Sudafrica e India per aver avanzato la propria proposta al WTO e ha chiesto a quanti più paesi possibili di sottoscriverla. La pressione dell’OMS sta costringendo soggetti che finora avevano completamente ignorato la materia, a livello pubblico, a esprimersi al riguardo. Un portavoce dell’amministrazione Biden ha dichiarato che la Casa bianca “sta valutando l’efficacia di questa specifica proposta nel suo vero potenziale di salvare vite” (…) e un portavoce di Pfizer ha commentato che l’azienda “considererà tutte le opzioni fattibili.” In precedenza, le Nazioni Unite avevano attivato un meccanismo, il Covid-19 Technology Access Pool, che doveva permettere alle aziende di condividere parti delle tecnologie sviluppate per contrastare il Covid senza lo scoglio della proprietà intellettuale. L’operazione è stata un fallimento senza precedenti. Parlandone al Guardian, Mohga Kamal-Yanni, una consigliera della People’s Vaccine Alliance, aveva sottolineato che “ne parla solo la società civile, ma non una singola azienda si è attivata” per permettere a terzi di utilizzare le proprie tecnologie. Su tutti, il caso di AstraZeneca è forse l’esempio più chiaro della necessità di attivare tutte le filiere che possono produrre vaccini. Il vaccino di AstraZeneca — di cui l’Università di Oxford aveva promesso di concedere la licenza gratuitamente prima di venderlo in esclusiva ad AstraZeneca — è al centro di una sempre più fervente disputa tra Regno Unito e Unione europea sul rispetto dei contratti di produzione. Due giorni fa, per alleggerire il carico sulla produzione e inviare più dosi all’Unione europea, AstraZeneca ha deciso di spedire al Regno Unito 10 milioni di dosi di Covishield, il vaccino di Oxford prodotto dall’istituto indiano Serum, a cui AstraZeneca ha concesso a sua volta la licenza, e che finora si è occupato di distribuire il vaccino in paesi meno facoltosi.

Originariamente in calendario per lo scorso ottobre, la proposta di Sudafrica e India è impantanata al WTO. Secondo Burcu Kilic, il direttore alla ricerca per l’accesso ai medicinali di Public Citizen, i paesi più ricchi e le aziende “sperano di poter trascinare il problema finché la situazione non migliorerà quest’estate.” A fine febbraio 115 europarlamentari avevano chiesto alla Commissione e al Consiglio europeo di sospendere la propria opposizione alla sospensione dei brevetti, ma gli attivisti che si battono per lo stesso obiettivo temono che i progressi a cui si è arrivati in queste settimane possano essere fermati dall’introduzione di una “terza via,” proposta dalla nuova direttrice generale del WTO, Ngozi Okonjo-Iweala, che il mese scorso aveva avanzato la possibilità di concedere agli stati la possibilità di acquistare le licenze per produrre in loco i vaccini. Due giorni fa la sua soluzione è stata indicata dalla Camera di Commercio statunitense come una valida alternativa, mentre veniva bocciata la proposta avanzata da Sudafrica e India.

Negli Stati Uniti quattro senatori repubblicani hanno chiesto espressamente all’amministrazione Biden di rifiutare la proposta. La loro lettera a Biden non potrebbe incapsulare meglio il privilegio dei paesi più ricchi: di fronte a letteralmente miliardi di persone che rischiano la vita, e al pericolo globale — anche per gli Stati Uniti — della formazione di nuove varianti, i repubblicani scrivono che la Casa bianca deve “proteggere le innovazioni statunitensi”: “I proponenti di questo schema sostengono che se semplicemente distruggiamo la proprietà intellettuale sviluppata da aziende americane, avremo improvvisamente più aziende che producono i vaccini.” La versione dei fatti dei repubblicani, è la più trita tra quelle dei detrattori della proposta: senza possibilità di lucrare sulla produzione dei vaccini, le aziende smetteranno di investire in ulteriore ricerca e sviluppo. Si tratta di una teoria inesatta, in particolare nel contesto di questa crisi, durante la quale la ricerca è stata largamente finanziata attraverso acquisti “in preordine” da parte degli stati durante la fase di candidatura vaccinale — e quindi già completamente fuori da qualsiasi meccanismo di mercato.

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