in copertina, foto dell’autore, dallo sciopero di venerdì 30 ottobre
Mentre le piattaforme di delivery annunciano ricorso contro l’obbligo di assumere 60 mila rider in tutta Italia, i sindacati dei ciclo-fattorini lanciano una mobilitazione nazionale per il 26 marzo
Al clamoroso pronunciamento della Procura di Milano contro le quattro aziende di food delivery Just Eat, Uber Eats, Glovo-Foodinho e Deliveroo — costrette ad assumere più di 60 mila rider e pagare 733 milioni di euro di risarcimenti — i rider hanno risposto con una giornata di sciopero nazionale, per tutti i lavoratori precari, fissata per il 26 marzo. La decisione è stata presa dalle Unions dei ciclo-fattorini che ieri, insieme ai sindacati — riuniti sotto la sigla #RiderXiDiritti – hanno convocato la prima assemblea nazionale, a cui hanno aderito rider da 35 città e più di 200 iscritti.
È stato il momento per riaffermare la loro posizione: rifiuto del contratto “capestro” firmato tra Assodelivery e Ugl, no al cottimo e alle prestazioni occasionali, richiesta di un monte ore garantito con paghe orarie agganciate a un contratto collettivo nazionale (che può essere individuato in quello della logistica o del commercio) e il riconoscimento quindi dei diritti dei lavoratori subordinati (come tredicesima, Tfr, congedo di maternità/paternità, ferie e malattia). “Non è tutto oro quel che luccica”, ci ha raccontato Angelo Avelli di Deliverance Milano, commentando la decisione della procura milanese. “Già è arrivata la reazione da Glovo, che ha detto di voler inserire il free login e dei bonus su consegne. Sono risposte temporanee, che non danno quello che i lavoratori chiedono: dicono così di garantire autonomia, ma per noi non è garanzia, come non lo è il mantenimento del cottimo. È necessario riaprire la negoziazione con Assodelivery.”
La “Tangentopoli del food delivery” o “DeliveryGate” viene definita l’indagine dei pm milanesi sui profili social delle Unions: “È effettivamente una notizia gigantesca, forse unica in Europa, che ci dà forza ed entusiasmo,” ci dice Tommaso Falchi di Rider Union Bologna: “Viene riconosciuto dalla magistratura quello che diciamo da anni, in tutti i modi possibili, nonostante l’ostilità delle piattaforme. Il grande assente ora rimane la politica, abbiamo sentito tante belle parole e belle intenzioni, tavoli, incontri, ma in sostanza non è cambiato nulla, o per volontà o per incapacità, diversamente da come sta avvenendo a Bologna.”
Falchi si riferisce alla Carta dei diritti firmata dall’amministrazione comunale e le sigle dei rider da due anni, che ha ultimamente portato all’accordo con MyMenù, una delle prime aziende locali a riconoscere contratti da subordinati ai fattorini. “Questi esempi dimostrano che si può fare, esiste un’alternativa anche per le aziende. Possono farlo e non accettiamo ricatti”, conclude Falchi. E se le ultime misure porteranno a strappare una corda già tesa con le aziende, come la paventata uscita dal mercato italiano delle stesse? “Se non vogliono regolamentare il settore, non possono pensare che un intero comparto della nostra economia si basi su precarietà, sfruttamento e una nuova forma di schiavitù. Qualcun altro prenderà il loro posto, il delivery food ha dimostrato di essere un settore strategico,” ci dice ancora Avelli.
Per la mobilitazione del 26 marzo l’appello dei rider non è solo ai lavoratori delle piattaforme di consegna su due ruote, ma “per una piazza aperta” a tutti i lavoratori precari, aumentati con la crisi nell’anno della pandemia, coinvolti in settori digitalizzati e non.
“Non è più il tempo di dire che i rider sono schiavi, è arrivato il tempo di dire che sono cittadini”
Le parole del procuratore capo di Milano, Francesco Greco, segnano un punto di non ritorno, un fulmine a cielo già non troppo sereno per le multinazionali della gig economy, sotto accusa da mesi. La maxi-inchiesta, svolta sotto il controllo anche della procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e della pm Maura Ripamonti ed eseguita dal Nucleo Tutela Lavoro dei Carabinieri, ha verificato negli ultimi tre anni 60 mila posizioni di fattorini e altri mille sul territorio, non solo di Milano, che ora dovranno essere tutti assunti con “prestazione coordinata e continuativa”.
Il pm Greco ha citato Ken Loach, il regista britannico che ha trattato la vita dei fattorini in Sorry, We Missed You e ha ottenuto i complimenti dal neoministro del Lavoro, Andrea Orlando. Ha rimarcato il lato giuridico della questione, che sconfina in una “palese situazione di illegalità”: “Ci troviamo davanti ad un’organizzazione aziendale che funziona attraverso l’intelligenza artificiale. Non c’è più il caporalato che conoscevamo prima, con il caporale che sorveglia i lavoratori, ma in questo caso è un programma a sorvegliarli. E questo è un problema che ha dei risvolti giuridici.”
— Leggi anche: La lotta dei rider contro Assodelivery, la pandemia e il contratto pirata di Ugl
I reati contestati riguardano soprattutto la sfera della salute e della sicurezza sul lavoro, le multe ai datori di lavoro (stabilite da Inps e Inail) arrivano fino a 733 milioni di euro e dovranno essere saldate in 90 giorni. Per estinguerle le società potranno pagarne un quarto o farle rientrare con l’attuazione di reali correttivi. Inoltre, sono stati indagati sei rappresentanti delle società coinvolte, rappresentanti legali o delegati per la sicurezza. I rider quindi non dovranno più essere intesi come lavoratori autonomi e occasionali, bensì parasubordinati. Le aziende hanno già annunciato ricorso, almeno per prendere tempo e tamponare le possibili perdite, poiché a loro dire “l’inchiesta riguarda vecchi contratti e non sono previsti impatti sulle attività in Italia.” L’indagine è partita da alcuni incidenti stradali ed è stata sollecitata da aspetti fiscali, tra cui quelli già emersi che hanno portato al commissariamento con l’accusa di “caporalato digitale” di Uber Eats, nel cui processo 21 rider si sono costituiti parte civile. Si amplia così il campo giuridico di battaglia alle aziende dell’Assodelivery, già contestate dagli ultimi mesi del 2020 per l’attuazione dallo scorso novembre del contratto “pirata” firmato solo con UGL e imposto coattivamente ai rider, nonostante la contrarietà di tutti i sindacati e le union coinvolti al tavolo di negoziazione.
Le altre sentenze in Italia e nel resto d’Europa
La decisione della Procura milanese arriva dopo pochi giorni quella simile della Corte Suprema inglese, che ha stabilito che i driver di Uber non devono essere considerati autonomi (“self-employed”), ma “workers”, e dopo diverse decisioni dei tribunali europei. Segnali simili arrivano, infatti, da sentenze apripista dall’Olanda (dove i rider sono stati dichiarati dipendenti, employee), dalla Francia (Just Eat assumerà 4500 fattorini), Danimarca, Svezia e dalla Spagna (l’ultima sentenza, la 41esima, riguarda 748 rider di Deliveroo, da considerare “lavoratori dipendenti dell’impresa”).
Martedì 24 febbraio si è mossa anche la Commissione Europea, avviando una prima fase di consultazione con le parti sociali, che potrebbe portare ad un’iniziativa legislativa comune entro la fine dell’anno, che migliori le condizioni dei lavoratori digitali – più di 24 milioni, secondo le stime europee.
Più variegata la situazione in Italia: a inizio anno il Tribunale di Bologna ha condannato Deliveroo per il suo algoritmo, chiamato “Frank”, definito discriminatorio nella valutazione e nel ranking dei rider; in un’altra direzione, invece, è andato a inizio febbraio il giudice del lavoro di Firenze, che ha rigettato il ricorso dei sindacati e affermato che i rider sono ancora “lavoratori autonomi.”
Da non dimenticare, ancora, la sentenza della Cassazione di febbraio 2020, una delle prime, che dava ragione ai fattorini di Foodora equiparandoli a lavoratori dipendenti, a cui la stessa indagine fa riferimento. L’eclatante mossa della Procura di Milano arriva anche dopo la decisione di Just Eat di assumere tremila rider come lavoratori subordinati (anche se ancora manca un accordo sulle paghe), a iniziare da marzo da Monza, per poi espandersi in Lombardia e in altre città italiane – in linea con la propria politica anche in altri Paesi europei.
Uno dei primi esempi pratici è quello di Marco Tuttolomondo, rider di 49 anni a Palermo, che ha vinto il ricorso contro Glovo, obbligando la società spagnola ad assumerlo a tempo indeterminato, senza trovargli ad oggi però ancora un’occupazione: “Da due mesi mi accreditano uno stipendio di 1.229 netti al mese. Mi pagano ma non hanno ancora trovato una mansione per me. Di sicuro non mi metteranno in strada, sarebbe un precedente eccessivo per gli altri colleghi,” ha raccontato a Repubblica.
Nell’ultimo anno la situazione lavorativa precaria dei rider è sulle pagine di molti giornali, per l’essenzialità del ruolo più volte conclamata e per la diversità dei profili impiegati in questa posizione: dagli studenti ai giovani migranti, dal fumettista al gioielliere, dal rider da guinness alla più anziana. Oppure, storia nota, per esser stati presunti commercialisti e oggi “fatturare fino a 4 mila euro”, o ancora per esser stati dipendenti interni di Deliveroo e oggi testimoni in Tribunale in favore della stessa multinazionale.
Dalla narrazione mediatica quasi caricaturale, avallata talvolta dalle stesse multinazionali, rischia di essere sottovalutata la realtà di tutti i giorni, fatta di incidenti stradali ripetuti (a volte anche mortali, come quello in Toscana, a Montecatini) e l’instabilità economica — con paghe mai sicure e protette dalla segretezza dell’algoritmo — e sanitaria di migliaia di rider. Proprio alle inadempienze delle società delivery in materia di protezione hanno posto rimedio gli stessi rider nelle ultime settimane, con iniziative solidali volte ad assicurare uno screening ai fattorini – come successo a Bologna, con il “Tampone sospeso.”
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