Routes Roulette, un progetto per aiutare i migranti a Lipa, in Bosnia

Abbiamo parlato con Marco Siragusa, tra i promotori di Routes Roulette, che sta raccogliendo fondi per “rendere la vita meno disumana” ai migranti intrappolati al confine con la Croazia

Routes Roulette, un progetto per aiutare i migranti a Lipa, in Bosnia

in copertina, foto via Twitter

Abbiamo parlato con Marco Siragusa, tra i promotori di Routes Roulette, che sta raccogliendo fondi per “rendere la vita meno disumana” ai migranti intrappolati al confine con la Croazia

La situazione in Bosnia, per chi prova a raggiungere l’Europa occidentale proveniente dalla Turchia, è molto grave. Lo scorso 23 dicembre è bruciato il campo profughi di Lipa, al confine con la Croazia. Da quel momento migliaia di migranti hanno dovuto adattarsi a ripari di fortuna o addirittura a dormire nei boschi nell’inverno, molto rigido in quella che è una regione montagnosa, nella sostanziale indifferenza dell’Unione Europea e nell’aperta ostilità delle autorità bosniache e croate.

Come spesso è accaduto negli ultimi anni su tutte le rotte migratorie per l’Europa, l’onere e il merito della solidarietà è ricaduto sulle iniziative di volontariato internazionale. Le Ong, le Onlus e le associazioni che si impegnano a fornire un’accoglienza umana però spesso sono oggetto dell’ostruzionismo dei governi e hanno bisogno di continuo sostegno logistico, economico e morale.

Routes Roulette è un’iniziativa nata precisamente con questo scopo: fornire aiuti concreti e sul campo alle organizzazioni già presenti in Bosnia, contribuendo all’acquisto di materiali e beni necessari a fronteggiare l’emergenza umanitaria in corso nel paese. Per farlo, si stanno raccogliendo fondi sulla piattaforma Buona Causa. Abbiamo contattato Marco Siragusa, giornalista che collabora con East Journal e promotore del progetto, per capire meglio qual è l’obiettivo dell’iniziativa — e cosa si può fare di concreto per aiutare.

“Routes Roulette nasce dall’unione di 3 organizzazioni di Palermo: Maghweb, che si occupa di produzione video e di progetti europei sui diritti umani; NaKa che è attiva con vari progetti nei quartieri popolari di Palermo; e Hryo. La campagna nasce dopo l’incendio di Lipa per provare a portare un contributo alle organizzazioni che già sono in Bosnia da tempo e portarlo attraverso una raccolta fondi. L’idea è il tentativo di legare le due rotte, quella mediterranea e quella balcanica, per denunciare come — anche se non sono uguali — non siano così diverse: la condizione in cui sono costretti i migranti per arrivare in Europa fondamentalmente è la stessa.”

l’incendio a Lipa, foto via Twitter

Come per le migrazioni marittime, anche nei balcani i migranti sono infatti oggetto di respingimenti violenti dalle autorità europee. Nel caso del mar Egeo sono le autorità greche che respingono i migranti con un dispiego di forze brutale ed eccessivo; nel Mediterraneo l’uso della violenza è stato delegato dall’Europa alla cosiddetta Guardia costiera libica, incaricata dietro compenso di intercettare e riportare in Africa le imbarcazioni che tentano la traversata; nei balcani sono le polizie dei vari stati che sui confini agiscono in modo inumano, come documentato da più fonti indipendenti. Nelle scorse settimane una delegazione del Parlamento europeo, guidata da Brando Benifei, si è recata al campo di Lipa, e ha parlato di “una situazione disumana” e “atteggiamenti disumani da parte della polizia croata,” che ha impedito agli europarlamentari di avvicinarsi al confine con la Bosnia.

Siragusa ci spiega che, oltre al supporto ai migranti, “l’idea è proprio quella di denunciare a livello complessivo le politiche migratorie europee. Quello che succede in Bosnia e in Libia è frutto di politiche ben precise, fatte di chiusura frontiere e respingimenti, chiusura anche violenta come in Croazia, nessuna volontà di trovare soluzioni politiche nei paesi di origine: Siria, Afghanistan ad esempio, dove sono in corso guerre in cui ci sono responsabilità evidenti dei paesi europei. Oltre al sostegno immediato muoviamo una critica più generale e lo facciamo da Palermo, dove sappiamo bene qual è il risultato essendo un punto di arrivo.”

grafica di Routes Roulette

Anche l’Italia è direttamente coinvolta nelle politiche di repressione della rotta balcanica, come è emerso da una sentenza del 18 gennaio del Tribunale civile di Roma, secondo cui la prassi delle riammissioni dei migranti in Slovenia è illegale. È stata la prima decisione di un Tribunale che sanziona le autorità italiane per responsabilità indiretta nei respingimenti a catena, una prassi rivendicata e attuata dal governo italiano in base a un controverso accordo degli anni ‘90 con la Slovenia per respingere “a catena” i richiedenti asilo fuori dall’Unione Europea, senza verificarne la situazione e impedendo l’accesso alla procedura di asilo.

Leggi anche: I respingimenti a catena sulla rotta balcanica sono illegali

Marco si occupa da anni dell’area balcanica per motivi professionali, e ha potuto osservare l’evolversi della situazione nel corso degli anni. “Sì, ho notato cambiamenti, ma purtroppo in peggio. La rotta balcanica è stata formalmente chiusa nel ‘16 con l’accordo tra Ue e Turchia, quando l’Europa ha regalato 6 miliardi di euro per tenere i migranti siriani nei propri confini — prima era arrivato un milione di persone. Ma la rotta in realtà non si è mai davvero chiusa. Le persone hanno continuato ad attraversare i confini, e la situazione è peggiorata anche a livello politico — anzi, i respingimenti  tra croazia e bosnia sono diventati sempre più frequenti e violenti. I migranti che prima venivano ospitati in campi gestiti dall’Oim sono diventati insufficienti per numero di posti. Anche per quanto riguarda i locali si è notato un cambiamento: qualche anno fa la popolazione locale, memore anche del passato della regione, si è dimostrata molto solidale e attenta. Ma è chiaro che nel momento in cui la situazione si protrae per anni, con sempre per più gente e meno tutele per migranti e popolazione, si crea un corto circuito. Si sono viste manifestazioni, non solo organizzate dall’estrema destra — molti non danno la colpa ai migranti, ma si diffonde un clima sempre più complicato da gestire.”

C’è dunque bisogno di aiuti materiali, visto che a Lipa le persone sono all’addiaccio ormai da due mesi. Quali sono le cose più urgenti che servono in questo contesto disperato? “Siamo in contatto con Ipsia, un’associazione sul territorio da più di vent’anni. Non serve tanto abbigliamento: ci hanno detto che potrebbe essere più utile l’acquisto di materiale utile a migliorare le infrastrutture, come cose per la mensa o costruzione di ambulatori contro la scabbia, attacchi luce, e acqua calda — infrastrutture che possano contribuire a rendere la vita meno disumana.” Bisogna cercare di fare in fretta. “La campagna si chiude formalmente martedì, probabilmente ci prenderemo qualche altro giorno. stiamo facendo un paio di iniziative — in realtà abbiamo raggiunto già l’obiettivo minimo di 3 mila euro. L’idea è riuscire a fare un piccolissimo gruppo che vada in bosnia nel giro di un mese — ma bisognerà vedere come agire anche in base alla situazione pandemica.”

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