A Trieste curare le ferite dei migranti è favoreggiamento all’immigrazione clandestina
La polizia ha perquisito la casa dei fondatori dell’associazione Linea d’Ombra, che fornisce assistenza sanitaria, sostegno e abiti per i migranti che percorrono la rotta balcanica. Secondo il gruppo l’accusa è stata utilizzata “in modo strumentale per colpire la solidarietà”
in copertina e all’interno, foto dello scorso agosto dell’autore
La polizia ha perquisito la casa dei fondatori dell’associazione Linea d’Ombra, che fornisce assistenza sanitaria, sostegno e abiti per i migranti che percorrono la rotta balcanica. Secondo il gruppo l’accusa è stata utilizzata “in modo strumentale per colpire la solidarietà”
Sotto gli occhi della statua dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, nel piazzale di fronte alla stazione di Trieste, ogni giorno, da più di un anno, si radunano una ventina di persone. Giovani e meno giovani prestano aiuto e curano chi giunge lì da molto più lontano, risalendo la rotta balcanica, dal gelo della Bosnia ai boschi sloveni. Prima di tutti arriva Lorena Fornasir – una psicoterapeuta in pensione, mama, come la chiamano i migranti – trainando con sé un carretto verde che contiene il necessario per curare le ferite provocate a queste persone dalla polizia croata e i loro piedi martoriati da centinaia di chilometri di cammino.
Quella piazza, piazza Libertà, alle 18:00 di ogni giorno diventa “piazza del mondo” come è stata ribattezzata da chi la popola. Lorena, insieme al marito Gian Andrea Franchi — 84 anni, ex insegnante di filosofia — e ai compagni dell’associazione creata da loro, Linea d’Ombra Odv, sono la prima linea dell’accoglienza per le persone migranti ai confini orientali del nostro Paese. Un attivismo e una solidarietà che sembrano però dare fastidio a più di qualcuno.
Nella mattinata del 23 febbraio la polizia ha fatto irruzione all’alba nella casa di Trieste di Fornasir e Franchi, per perquisirla. Dall’abitazione, che è anche la sede della loro associazione, sono stati prelevati telefoni personali, libri contabili e altro materiale. Ad annunciare l’accaduto è stata la coppia triestina tramite il sito e i canali social di Linea d’ombra. Nella nota scrivono che il reato ipotizzato è quello di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina,” nell’ambito di un’indagine estesa su una rete di passeur con base anche a Trieste, come ha fatto sapere in un comunicato la Questura cittadina. I poliziotti martedì mattina cercavano prove a sostegno di questa accusa anche per quanto riguarda l’associazione. Un’accusa che i due fondatori respingono però con forza “perché,” scrivono, “utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà.”
Linea d’ombra, oltre a fornire prima assistenza, cure e viveri per i migranti di passaggio a Trieste, raccoglie anche donazioni con le quali acquista vestiti ed equipaggiamento da donare alle persone bloccate nei Balcani, in attesa di provare il game. Franchi e Fornasir, sono stati 20 volte in Bosnia negli ultimi cinque anni, l’ultima a gennaio, da qui probabilmente nascono i sospetti. Cercare di impedire alle persone più bisognose di morire di freddo e rifocillare chi arriva in Italia, insomma, in questo momento desta dubbi nella polizia che vuole vederci più chiaro. “Siamo indignati e sconcertati nel constatare che la solidarietà sia vista come un reato dalle forze dell’ordine,” afferma Linea d’Ombra. Con queste ultime il rapporto era ambiguo, raccontava Franchi già quest’estate: lasciavano fare ma vigilavano sulla piazza e sulle attività del gruppo.
“Oggi, in Italia, regalare scarpe, vestiti e cibo a chi ne ha bisogno per sopravvivere è un’azione perseguitata più che l’apologia al fascismo, come abbiamo potuto vedere il 24 ottobre scorso sempre in piazza Libertà”, ricordano ancora i fondatori dell’associazione. Il riferimento è quanto accaduto questo autunno quando una manifestazione di sigle neofasciste e anti immigrazione è stata autorizzata dalla prefettura proprio in piazza Libertà. Quel giorno sono accorsi a protestare gruppi di sinistra che sono stati caricati dalla polizia. Alcuni attivisti sono stati poi denunciati.
Il comunicato di Linea d’Ombra condanna in generale tutte azioni repressive nei confronti della solidarietà e chiede “giustizia e rispetto di quei valori di libertà, dignità ed uguaglianza, scritti nella Costituzione, che invece lo Stato tende a dimenticare.”
Secondo il rapporto di Amnesty International dell’anno scorso, intitolato “Punire la compassione: solidarietà sotto processo nella Fortezza Europa,” tra il 2015 e il 2018 sono state 158 le persone indagate per aver favorito l’ingresso irregolare di persone in uno stato dell’Unione europea. Anche 16 Ong hanno subito procedimenti penale. Amnesty chiedeva per questo motivo ai leader europei di fermare la criminalizzazione verso coloro che difendono i diritti umani all’interno dell’Ue.
Senza scomodare Carola Rackete, la vicenda giuliana ricorda anche episodi simili vissuti al confine italo-francese negli anni scorsi. Tra questi la storia di Cédric Herrou è forse la più nota, ma più persone solidali coi migranti sono state arrestate e incriminate per aver prestato soccorso a chi si incamminava verso i valichi alpini. A luglio 2018, il Consiglio costituzionale francese, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, ha dichiarato che “l’aiuto disinteressato al soggiorno irregolare non è passibile di conseguenze giuridiche.”
Se non una completa ostilità in Friuli e a Trieste le associazioni che si occupano di migranti e richiedenti asilo denunciano da un paio d’anni un vuoto istituzionale. Durante il lockdown, poi, Fornasir si occupava quasi da sola degli arrivi in città. Qualche tempo dopo è stata aiutata da una neonata associazione di infermieri e medici, Strada SiCura, che ancora milita in piazza Libertà. A settembre, invece, a Udine 30 cittadini stranieri appena giunti in Italia sono stati costretti a dormire a bordo di un pullman per la quarantena, senza servizi igienici e sorvegliati dalla polizia.
Gianfranco Schiavone, sentito dal Fatto Quotidiano, ha negato ci siano state perquisizioni anche al Consorzio Italiano di Solidarietà con sede a Trieste e di cui è presidente, ma ha aggiunto di avvertire “un clima pesante nei confronti di chi fornisce assistenza alle persone che arrivano.” Schiavone, da anni impegnato per l’accoglienza e i diritti dei migranti, si augura che la magistratura inizi ad occuparsi con la stessa solerzia anche delle riammissioni informali di persone dalla frontiera italiana verso i Balcani. Si tratta di una pratica che viene denunciata dallo scorso anno da diverse associazioni e report giornalistici, ma la cui legalità è difesa da prefettura e ministero dell’Interno. Poche settimane fa un tribunale ha condannato le riammissioni come illegittime.
La solidarietà triestina intanto non vuole fermarsi. Franchi e Fornasir hanno ricevuto il sostegno da molte associazioni che operano per i più deboli e per le persone in movimento tra i Balcani e l’Italia, e sempre martedì un picchetto ha manifestato a piazza Libertà contro l’azione della polizia, giudicata intimidatoria. Lorena Fornasir è anche l’autrice del manifesto “Un ponte di corpi” che chiama al donne e uomini per chiedere l’apertura delle frontiere. Il prossimo 6 marzo alcune donne si incontreranno sul confine più violento per i migranti, quello della Croazia, in un’azione per ricordare i soprusi e le violenze compiuti durante i respingimenti.