Negli ultimi 10 anni in Qatar sono morti più di 6.500 lavoratori migranti

Un’analisi del Guardian rivela il costo umano indicibile della corsa alla costruzione per i mondiali di calcio. E il totale reale è ancora più alto

Negli ultimi 10 anni in Qatar sono morti più di 6.500 lavoratori migranti

in copertina, foto dalla presentazione Qatar 2022

Un’analisi del Guardian rivela il costo umano indicibile della corsa alla costruzione per i mondiali di calcio. E il totale reale è ancora più alto

Un’analisi del Guardian pubblicata ieri rivela un dato scioccante: da quando è stato annunciato che il Qatar avrebbe ospitato i Mondiali di calcio, nel dicembre 2010, sono morti nel paese almeno 6.500 lavoratori per costruire le strutture che ospiteranno la manifestazione sportiva. Per la stragrande maggioranza, i lavoratori morti sono migranti.

Il numero è altissimo, si parla in media di 12 morti sul lavoro alla settimana dal 2011, ma probabilmente è addirittura sottostimato. Il totale elaborato dai reporter del quotidiano britannico, infatti, è dato dall’aggregazione di dati di India, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka e Pakistan, ma gli autori non hanno avuto accesso a statistiche simili di altri stati che hanno inviato un grande numero di lavoratori in Qatar, tra cui le Filippine e il Kenya. Inoltre, il numero di morti degli ultimi mesi del 2020 non è ancora stato conteggiato.

Non tutte queste persone hanno perso la vita in progetti direttamente collegati ai Mondiali, e non tutte sono morti sul lavoro, ma come ha dichiarato al quotidiano Nick McGeehan, di FairSquare Projects, un gruppo che si occupa di diritti dei lavoratori nell’area del Golfo, gran parte di loro sono arrivati in Qatar proprio per rispondere alla domanda creata dai colossali lavori di costruzione lanciati dal paese in vista dell’appuntamento di rilevanza mondiale.

In precedenza erano state documentate solo 34 morti legate alla costruzione degli stadi, ma secondo il “comitato supremo” che si occupa dell’organizzazione dell’evento, 31 di queste morti non era stata sul lavoro. Secondo lo stesso comitato, nessun lavoratore aveva perso la vita prima del 2019, in quello che appare come un unicum statistico o una presa in giro.

La classificazione di queste morti, tuttavia, è sempre realizzata senza che vengano praticate autopsie, e non sono presenti dettagli medici che giustifichino la classificazione delle morti per cause naturali.

Il governo del Qatar sta tenendo questa linea anche di fronte ai nuovi dati pubblicati dal Guardian, non mettendo in discussione il numero di morti per sé ma le cause di morte. Secondo le autorità gran parte di queste persone hanno perso la vita per cause naturali, e si tratta di un numero di morti proporzionato per la popolazione di lavoratori migranti presente nel paese, attorno ai 2 milioni. Secondo i dati raccolti dalle ambasciate, tuttavia, un numero spropositato di lavoratori migranti da India e Nepal hanno perso la vita in questi anni per arresto cardiaco o insufficienza respiratoria non spiegata. Questo tipo di morti comprende il 48% dei lavoratori migranti dal Nepal e addirittura l’80% di quelli arrivati dall’India.

La presenza di molte morti per insufficienze respiratorie non sembra collegato agli eventi pandemici dello scorso anno: il numero di morti causate dal Covid–19 infatti è relativamente basso, 257 in totale. È un dato che comprende anche la popolazione non di origine straniera — che comunque nel paese è bassissima: gli autoctoni, in Qatar, in totale solo attorno al 10%. Il 90% degli abitanti del paese sono immigrati dai paesi del sudest asiatico che lavorano senza praticamente nessuna tutela sociale o sindacale. Gli indiani presenti nel paese — la comunità più numerosa — sono più del doppio degli stessi qatarioti, che però detengono tutta la ricchezza: un sistema distopico, che si basa sullo sfruttamento del lavoro da parte di una classe sociale ricca per diritto di nascita.

Non è la prima volta che la Coppa del mondo finisce nel mezzo di controversie politiche, e che governi autoritari provano a usarla come mezzo di propaganda: i mondiali del 1978 in Argentina, ad esempio, si svolsero nel momento peggiore della dittatura di Videla, con i generali che facevano bella mostra di sé allo stadio mentre a pochi chilometri di distanza i prigionieri politici venivano torturati e uccisi con i famigerati voli della morte.

In quell’occasione i generali ottennero solo parzialmente il loro scopo: l’Argentina vinse la Coppa, ma le critiche internazionali furono fortissime. Oggi, nonostante la lista delle controversie attorno ai Mondiali in Qatar sia davvero molto lunga (molto lunga), e le forti richieste di boicottaggio, la posizione di FIFA e di molte squadre è di silente compromissione. Per porre fine a un regime e a uno sfruttamento dei lavoratori sanguinario sarebbe opportuna una presa di posizioni dell’intera comunità sportiva.

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