Cosa ha detto e cosa non ha detto Mario Draghi

Europeismo, lotta alla pandemia, rilancio economico: Draghi ha scelto di rimanere vago su tutto, ma presto dovrà uscire allo scoperto

Cosa ha detto e cosa non ha detto Mario Draghi

Europeismo, lotta alla pandemia, rilancio economico: Draghi ha scelto di rimanere vago su tutto, ma presto dovrà uscire allo scoperto

Il governo Draghi ha ottenuto la fiducia al Senato con 262 voti a favore, 40 contrari e 2 astenuti. Non è il record della storia repubblicana come ci si aspettava — il Draghi I è battuto dal governo Andreotti V e dal governo Monti — ma sono comunque numeri consistenti, e abbastanza in linea con le aspettative. Incluse le defezioni all’interno del gruppo del Movimento 5 Stelle, dove ci sono stati 15 voti contrari e 8 assenti.

Il governo #Draghi ha ottenuto 262 Sì al #Senato: tra tutti i governi delle 3 ultime legislature, è il secondo numero più alto di Sì dopo #Monti (che ne ottenne 281) pic.twitter.com/ApL5ACXKMk

— YouTrend (@you_trend) February 17, 2021

Il discorso di Draghi è durato circa 50 minuti e ha toccato a grandi linee le tematiche principali che il nuovo governo dovrà affrontare.

  • Europeismo e atlantismo. Draghi ha sottolineato che il governo seguirà gli “ancoraggi storici dell’Italia” nei rapporti internazionali, non senza una stoccata a Matteo Salvini, quando ha detto che “sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro.” Solo due giorni fa, parlando dell’euro, Salvini aveva detto che solo la morte è irreversibile;
  • Lotta alla pandemia. Ricordando il bilancio drammatico del virus in Italia — con un lapsus sul numero dei ricoverati in terapia intensiva — Draghi ha indicato nel piano di vaccinazione e nella scuola le due priorità per ripartire. A proposito delle vaccinazioni, ha detto che non dovranno essere “limitate all’interno di luoghi specifici” — molti ci hanno visto un riferimento ai padiglioni a forma di primula di Domenico Arcuri. Sulla scuola ha invece ribadito quanto era emerso dalle consultazioni: bisogna fare il possibile per “recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà” e “occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale” per “allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia.”
  • Transizione post-pandemia. Tra una citazione di Papa Francesco e l’altra, Draghi ha spiegato che il mondo dopo la pandemia non sarà uguale a quello di prima, e che la transizione non sarà indolore: “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.”

Questa parte del discorso in particolare è centrale per provare a capire quali siano le intenzioni di Draghi in politica economica. Le sue parole sembrano confermare la fine della stagione degli aiuti “a pioggia” per ristorare lavoratori e imprese dal rischio di fallimento, impostando l’investimento da parte dello stato invece verso le imprese e i settori che più possano garantire un’espansione dell’economia in futuro. Il rischio principale di questa visione — che Gianni Del Vecchio definisce “schumpeteriana” — nonostante le rassicurazioni di Draghi, è prima di tutto per i lavoratori: chi si trova a perdere il lavoro che gli era garantito da un’azienda che non sopravvive evidentemente non è più adatto al mercato, e c’è poco che lo stato possa fare per lui oltre a garantire temporanei sussidi di disoccupazione e i soliti famigerati corsi di formazione.

Negli ultimi anni tutti i passi avanti nella protezione di licenziati, disoccupati e inoccupati sono stati argomenti di dibattito aspro se non violento, sia a destra sia tra chi si definisce di centrosinistra — ricordiamo che solo due settimane fa la cancellazione del reddito di cittadinanza era una delle richieste che Renzi avanzò per sostenere un Conte Ter. Nella compagine del nuovo governo c’è anche la anche la Lega, da sempre è un partito molto rumoroso della destra “lavorista” — anche se nella maggioranza ci sono nomi della Lega più amica di Confindustria. Sulla solidità delle misure “paracadute” per i lavoratori più esposti alla deflagrazione del mercato del lavoro italiano dipende non solo il futuro politico di Draghi e dei partiti che lo sostengono, ma genuinamente di tutto il paese.

Detto questo, se l’atteggiamento di Draghi può far sorgere preoccupazioni tra i lavoratori dipendenti, è forse ancora più minacciosa verso i piccoli proprietari di impresa. Uno dei pochi dati politici certi alla fine di questa giornata, infatti, è che il nuovo presidente del Consiglio ha detto esplicitamente che per lui non è un problema se un certo numero di imprese fallisce, anzi: è da mettere in conto. Una dichiarazione che dovrebbe far sobbalzare soprattutto l’elettorato di destra e di centrodestra, i cui partiti rappresentativi sono appena entrati nell’esecutivo.

Il premier ha toccato vari altri temi importanti — il cambiamento climatico, la parità di genere che non significa “un farisaico rispetto di quote rosa” (suona come una giustificazione per non averle rispettate in prima persona), il rilancio del Mezzogiorno e le riforme. Nel complesso si è tenuto piuttosto sul vago, senza rotture con il governo precedente — ringraziato in più occasioni per il “gran lavoro” svolto anche sul Recovery Fund. Ad esempio, riguardo alla riforma del fisco ha detto soltanto che è opportuno fare riforme complessive e non frammentarie, e che è necessaria una “revisione profonda” dell’Irpef “riducendo il carico fiscale e preservando la progressività” — in tutto il discorso, non ha mai parlato della necessità di redistribuzione del reddito, pur menzionando il tema delle disuguaglianze crescenti. La riforma della pubblica amministrazione si muoverà invece su due “direttive”: “investimenti in connettività” e “aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici.” Sulla questione migratoria, ha ribadito l’importanza di una maggiore condivisione di responsabilità a livello europeo — inclusa “la costruzione di una politica europea dei rimpatri.”

Sullo sfondo, una retorica abbastanza insistita sull’unità nazionale e sul patriottismo: Draghi ha definito il governo come “semplicemente il governo del paese” e ha concluso dicendo che “oggi l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia.” Naturalmente l’entusiasmo è stato unanime, sia tra la stampa — dove l’unica eccezione critica è, purtroppo, quella di Libero — sia lungo l’arco politico, da Zingaretti a Salvini. Giorgia Meloni, su Twitter, ha commentato negativamente parlando di “generica visione politica che evita però di calarsi nelle scelte concrete.” Ma l’eccessiva vaghezza non è piaciuta troppo neanche al presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha chiesto a Draghi di non prorogare il blocco dei licenziamenti: “Sarebbe l’invito alle imprese a rinviare ulteriormente riorganizzazioni, investimenti e assunzioni: un segnale decisamente sbagliato.”

La retorica dell’unità nazionale nasconde come sempre un equivoco di fondo: quello che in una società basata sulle diseguaglianze economiche come la nostra sia possibile fare sempre gli interessi economici di tutte le classi sociali che la compongono. Non è vero, e l’esperienza passata di governi di unità nazionale come quello di Monti lo ha dimostrato: in genere gli esecutivi che sorgono con questa premessa si occupano di fare gli interessi delle classi più abbienti, in modo da “incentivare l’economia” o “rilanciare le imprese.”

Sul blocco ai licenziamenti e su altri temi, Draghi prima o poi dovrà uscire allo scoperto, e tenere insieme la propria maggioranza anche quando si tratterà di prendere decisioni impopolari. Sul Manifesto Norma Rangeri osserva la contraddizione, ad esempio, tra la necessità di “rivedere” il modello di turismo per renderlo sostenibile, e aver collocato al ministero corrispondente un leghista come Garavaglia. Anche per questo, l’affare più importante — i fondi del Next Generation EU — sarà in mano al ministro dell’Economia Franco, “con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore.” Oggi, intanto, si replica alla Camera: il discorso programmatico è atteso per le 9, mentre le votazioni inizieranno in serata.

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