Tutte le grane del piano vaccinale europeo
Tra i problemi di AstraZeneca e i tagli di Pfizer, il piano vaccinale europeo è in crisi, ma per la Commissione europea l’esproprio dei brevetti è ancora fuori discussione
foto © European Union, 2021 / Source: EC – Audiovisual Service / Photographer: Etienne Ansotte
Tra i problemi di AstraZeneca e i tagli di Pfizer, il piano vaccinale europeo è in crisi, ma per la Commissione europea l’esproprio dei brevetti è ancora fuori discussione
Il piano vaccinale europeo è entrato ufficialmente in crisi. Ieri Bruxelles ha fatto pressione su AstraZeneca, accusando l’azienda di non rispettare gli accordi presi. Al mattino la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha parlato con l’ad dell’azienda Pascal Soriot, per “ricordargli che l’Unione europea ha investito cifre significative nell’azienda precisamente per assicurarsi che la produzione fosse avviata anche da prima dell’autorizzazione dell’EMA.” Il portavoce della presidente Eric Mamer ha specificato che “ovviamente problemi di produzione possono capitare con un vaccino complesso, ma ci aspettiamo che l’azienda trovi soluzioni.” Mamer ha riportato anche che l’azienda ha ricevuto una lettera da parte della Commissaria per la salute e la sicurezza alimentare Kyriakides, dove la commissaria specificava “che la produzione deve essere ampliata mentre si svolgono i test clinici.” Un lavoro che, evidentemente, è stato fatto in modo insufficiente: quindi, ora cosa si fa?
Nel corso della giornata, Kyriakides è tornata alla carica, twittando che “le discussioni con AstraZeneca oggi non ci hanno soddisfatto per la [loro] mancanza di chiarezza e le spiegazioni insufficienti.” In serata, la Commissaria ha pubblicato un comunicato stampa minaccioso per uno “schema di trasparenza per gli export dei vaccini,” in cui si legge che in serata ieri sarebbe stato previsto un altro incontro con i vertici di AstraZeneca, di cui però non si sa ancora niente. Inoltre la Commissione ha proposto ai paesi membri di attivare uno schema che imponga a tutte le aziende produttrici di “fornire notifiche anticipate in qualsiasi momento vogliano esportare vaccini a paesi terzi,” fatta eccezione – ha specificato Kyriakides — per le consegne umanitarie.
Si tratta della prima vera mossa dell’Unione europea da quando, a inizio anno, è diventato evidente che gli stabilimenti europei delle case farmaceutiche coinvolte nelle forniture avrebbero avuto problemi di produzione. L’attacco contro le aziende, per ora, non tocca ancora il discorso dei brevetti: ieri, parlando con Euractiv, l’europarlamentare Udo Bullmann è tornato a sottolinearne la necessità, spiegando come l’Unione europea potrebbe forzare le aziende a rendere pubblici i propri brevetti. Le giornaliste Magdalena Pistorius e Sarantis Michalopoulos hanno raggiunto un portavoce della Commissione, che ha confermato che l’esproprio non è tra le opzioni. Il rischio, spiega Bullmann, è che le aziende interrompano i lavori di espansione delle proprie filiere produttive se dovessero perdere il controllo della proprietà intellettuale.
Ieri è arrivata anche un’altra notizia a prima vista allarmante sulla salute del mercato dei vaccini per il coronavirus: l’azienda tedesca Merck ha annunciato la sospensione dei lavori di due candidati vaccini, decidendo di concentrarsi sulla produzione di medicinali per la terapia del Covid–19. Merck non è parte del portfolio di vaccini dell’Unione europea — per cui da questa decisione non “perdiamo” dosi previste — ma dallo scorso luglio ha siglato un accordo per fornire Rebif, un medicinale per la sclerosi multipla che è stato usato per assistere i pazienti in questi mesi.
Il motivo per cui la decisione di Merck è allarmante è un altro: dimostra che nonostante gli investimenti statali dei paesi di tutto il mondo il mercato dei vaccini si sta molto rapidamente consolidando in uno stretto oligopolio. Per motivi largamente politici, in Europa il dialogo con Cina e Russia per verificare l’efficacia del vaccino di Sinovac e dello Sputnik V è ancora solo in una fase di “consulenza scientifica” precedente a quella dell’iter di autorizzazione — il che significa che difficilmente entrambi i vaccini saranno disponibili in tempi utili per mettere “una pezza” al piano vaccinale europeo.
Il problema del consolidamento del mercato, per altro, non è esclusivamente europeo, ma anche di tutti quei paesi meno facoltosi, che sono stati spinti effettivamente fuori dal mercato dai prezzi molto alti dei vaccini di Pfizer e Moderna.
Ieri è stata fatta pressione su AstraZeneca, ma resta incertezza anche attorno alle consegne di Pfizer: mentre l’azienda si rifiuta di comunicare con chiarezza l’avanzamento dei lavori nello stabilimento di Puurs, in Belgio, resta da risolvere il rebus della “sesta dose” estraibile dalle fiale. Le notizie in Europa in proposito si sono sovrapposte a quelle negli Stati Uniti, dove in seguito all’approvazione dell’estrazione della sesta dose Pfizer ha ridotto le consegne — che sono pagate e conteggiate a dosi, non a fiala. Per avere la stessa quantità di vaccino di prima, insomma, gli Stati Uniti pagheranno il 20% in più. In Europa la riduzione delle dosi è stata giustificata con i lavori per allargare la produzione, ma fin dalla settimana scorsa le storie si sono incrociate anche su mezzi stampa autorevoli. Non è ancora completamente chiaro, una volta terminati i lavori a Puurs, quante fiale arriveranno ai paesi europei, e se l’Europa deciderà di pagare di più pur di avere la quantità prevista originariamente. Per estrarre in modo uniforme la sesta dose, tuttavia, secondo la stampa di settore sono necessarie siringhe specifiche: BioNTech si è impegnata a fornirne 50 milioni senza margini di guadagno.
Di fronte ai tagli di Pfizer — e ai ritardi di Johnson & Johnson, Sanofi, e AstraZeneca, il cui vaccino potrebbe essere approvato il 29, e che nelle ultime ore è stato coinvolto nell’ennesimo scandalo, che ora sembra fortunatamente infondato — la Commissione europea si trova a fare i conti con il fatto di aver comprato centinaia di milioni di dosi che arriveranno troppo tardi: 400 milioni di Johnson and Johnson, che dovrebbe pubblicare i dati della propria Fase 3 solo questa settimana; e 300 milioni di Sanofi-GSK che ha rimandato la propria Fase 3. CureVac, infine, con altri 405 milioni di dosi, ha iniziato la propria Fase 3 pochi giorni prima di Natale.
Facendo i conti in tasca alla Commissione, insomma, auspicando un’approvazione rapidissima del vaccino di Johnson and Johnson, e che quello di AstraZeneca sia approvato in settimana — due forse da 800 milioni di dosi di vaccino — rispetto ai piani originali siamo ancora indietro di almeno 405 milioni di dosi rispetto a quelle previste. In Europa vivono 741 milioni di persone, e attualmente il portfolio sulla carta conta 2.265 milioni di dosi, esattamente tre a persona. Eppure, evidentemente, scommettere che molte aziende sarebbero state in grado di produrre e distribuire vaccino contemporaneamente, o quasi, si è rivelata una strategia fallimentare.
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