Distribuire i vaccini in base al Pil? La proposta di Letizia Moratti non dovrebbe sorprendere nessuno
La nuova vicepresidente lombarda incarna alla perfezione l’ideologia della destra italiana, per cui la salute è innanzitutto un terreno di lucro — unita a un classico razzismo di stampo leghista
La nuova vicepresidente lombarda incarna alla perfezione l’ideologia della destra italiana, per cui la salute è innanzitutto un terreno di lucro — unita a un classico razzismo di stampo leghista
Le ristrettezze delle forniture dei vaccini danno spunto a polemiche per accaparrarsi quelle disponibili: l’ultima è stata scatenata dalla vicepresidente e assessora al Welfare della regione, la rediviva Letizia Moratti, che ieri ha proposto di prendere in considerazione anche fattori economici, come il Pil, nei criteri della distribuzione dei vaccini alle regioni.
La situazione è piuttosto tesa: Pfizer ha deciso proprio ieri un nuovo cambio di programma unilaterale nella distribuzione dei vaccini in Italia. Secondo i dati comunicati dal commissario Arcuri ieri sono state consegnate circa 103 mila dosi delle 397 mila previste questa settimana, dopo il taglio di 165 mila deciso venerdì scorso. Oggi dovrebbero arrivarne quasi 54 mila e mercoledì le restanti 241 mila. I ritardi arrivano proprio mentre stanno iniziando le somministrazioni delle seconde dosi, mettendo a rischio le nuove vaccinazioni.
È facile capire che in questo scenario di confusione trovano terreno fertile anche le proposte più sorprendenti. Se nelle scorse settimane si era parlato di rivedere i criteri in senso “meritocratico,” ipotizzando di distribuire un maggior numero di dosi alle regioni più efficienti nella somministrazione — e su questo fronte la Lombardia non sta andando molto bene — Moratti ha provato a ribaltare il ragionamento chiedendo, in sostanza, più vaccini per le regioni più ricche. La proposta è stata avanzata ieri di fronte ai capigruppo regionali di maggioranza e opposizione, e dovrebbe essere inclusa in una lettera da inviare a Roma e da discutere nella conferenza Stato-regioni, ma è stata sconfessata, tra gli altri, anche dal ministro Speranza su Twitter, che ha ricordato che “tutti hanno diritto al vaccino indipendentemente dalla ricchezza del territorio in cui vivono.”
L’uscita di Moratti sembra ancora più disarmante se si pensa che la Lombardia riceve già, di fatto, molte più dosi di qualunque altra regione italiana, semplicemente perché è la più popolosa del paese. Al momento, in Lombardia sono arrivate circa 234 mila dosi: addirittura 100 mila in più rispetto alla seconda “classificata,” il Lazio, che si ferma a 132 mila. La regione ha ampiamente dimostrato la propria inefficienza con la partenza lentissima nella somministrazione, figurando per diversi giorni come ultima di tutta Italia — e non per dosi utilizzate in percentuale alla popolazione: per dosi somministrate in tutto — con le ridicole scuse di Gallera sulle ferie dei medici, che alla fine gli sono costate la poltrona. La Lombardia ha poi faticosamente recuperato un po’ del terreno perduto, ma è utile notare che tra le grandi regioni che hanno ricevuto più di 100 mila dosi è ancora la penultima per percentuale di vaccinati sui cittadini, davanti solo alla Sicilia.
Di fronte alle polemiche, Moratti ha provato a chiarire che il riferimento al Pil non è legato alla “ricchezza,” bensì alla richiesta di una “accelerazione nella distribuzione dei vaccini in una Regione densamente popolata di cittadini e anche di imprese, che costituisce una dei principali motori economici del Paese.” Che sembra un altro modo per dire “ricca,” ma okay.
Non bisogna pensare però a una “gaffe” sullo stile del suo predecessore Gallera: le prime mosse di Moratti all’assessorato al Welfare vanno inserite in un quadro più generale, che segna la conferma del dominio incontrastato della sanità privata in Lombardia, saldamente in mano alle forze di destra e, in ultima analisi, alla famiglia Berlusconi — basti ricordare che il presidente del gruppo San Donato, che gestisce ad esempio l’ospedale San Raffaele, è oggi Angelino Alfano.
La proposta di Moratti, in quest’ottica, non deve sorprendere: è figlia di una visione della sanità come terreno di lucro prima che di diritto liberamente erogato ai cittadini. Sembra quasi naturale che chi lavora per impostare gli obiettivi di un ospedale in modo da ricalcare quelli un’azienda, ovvero guadagnare soldi, abbia una concezione economicista della salute nel suo insieme. E che sostenga implicitamente che la vita di chi produce di più — e dunque è più ricco — valga più di quella di chi produce di meno, e quindi è più povero.
Il classismo di Moratti è la faccia pulita del peggior leghismo vecchio stampo — ma ancora molto diffuso nelle regioni del Nord, e costituisce la base per il successo elettorale di Matteo Salvini: la presunzione razzista di essere migliori rispetto al resto del paese, o almeno a chi sta sotto al Po. Nonostante la svolta “nazionalista” di Matteo Salvini, il primo nemico della Lega è ancora oggi il Sud. Le campagne elettorali, i referendum e le richieste politiche di “autonomia” degli ultimi anni si inseriscono proprio in questo solco, lo stesso tracciato da Moratti quando chiede più vaccini per i ricchi: la presunzione di valere più degli altri, e cercare di privarli dei loro diritti per aumentare il proprio benessere.
Del resto, Moratti non è l’unica esponente della destra lombarda ad aver proposto una classificazione classista — e razzista — per la distribuzione del vaccino. L’eurodeputato leghista Angelo Ciocca a metà dicembre aveva già avanzato sostanzialmente la stessa proposta di Moratti, in termini più grezzi, sostenendo che fosse necessario dare più vaccini alla Lombardia rispetto al resto d’Italia perché “la Lombardia, è un dato di fatto, è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia.” Una buona dimostrazione di come il razzismo sia uno strumento utile a chi vuole accentuare le divisioni di classe sociale presenti nel paese, favorendo alla fine sempre i più abbienti.
Questa supponenza va di pari passo con un sempreverde vittimismo — un tratto comune a tutte le ideologie di estrema destra — che nonostante la maggiore ricchezza complessiva della regione la descrive come vessata dallo stato centrale tramite tasse, sgambetti e generica ostilità. Come ha dimostrato molto bene Gianfranco Viesti nel proprio libro — gratuito e scaricabile in ebook sul sito dell’editore Laterza — Verso la secessione dei ricchi?, in realtà lo stato centrale investe molti più soldi pro-capite per i cittadini lombardi rispetto a quelli delle regioni del Sud. Ciononostante l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, a luglio si è concesso di dichiarare che l’Italia sarebbe percorsa da “un inaccettabile spirito anti-lombardo.” Sono interessanti, però, le motivazioni che prova addurre a questa fantomatica ostilità nei confronti della sua amata regione: “Credo che, a volte, siamo stati troppo orgogliosi dei nostri primati, esaltando le nostre virtù fino a sfiorare l’arroganza. Forse, abbiamo avuto anche un atteggiamento semi-colonialista, proiettando un’immagine di noi stessi che chiedeva un adeguamento ai nostri numeri.”