Dalla Francia a Casalotti, Ngawa e Super spiegano Unoseisei
Abbiamo parlato con i due membri del collettivo romano Klen Sheet per farci raccontare il retroterra del loro primo EP, tra la periferia di Roma e le “guardiedemmè”
tutte le foto di Maggio (Klen Sheet)
Abbiamo parlato con i due membri del collettivo romano Klen Sheet per farci raccontare il retroterra del loro primo EP, tra la periferia di Roma e le “guardiedemmè”
Unoseisei è il primo EP di Ngawa e Super, che insieme a Maggio e ad altri artisti fanno parte del collettivo romano Klen Sheet. Ma Unoseisei è anche un omaggio al Casalotti, il quartiere a ovest di Roma — 00166 è infatti il CAP di quell’area della capitale. Al Casalotti Ngawa e Super si sono conosciuti e si sono ritrovati. Tra le altre cose l’EP è infatti un racconto delle esperienze, delle sensazioni e dei giorni vissuti da Ngawa in Francia, dove l’artista ha trascorso il periodo successivo al diploma di maturità partendo “senza dire niente a nessuno.” A quella parentesi di vita sono direttamente ispirati i testi di Flic e Bilocale, resi soffici e terribilmente orecchiabili dalle produzioni di Super. Ma abbiamo approfittato della chiacchierata con Ngawa e Super per parlare anche di diversità e integrazione e abbiamo scoperto che il vantaggio di chiamarsi Klen Sheet è che al di là del significato che gli attribuisci, spacca sempre.
Partiamo dal principio, come vi siete conosciuti?
Ngawa: Casualmente al mio primo concerto, dove facevo apertura al gruppo in cui suonava Super, l’ho incontrato per la prima volta e siamo diventati subito amici. Abitavamo nella stessa zona, dove mi ero appena trasferito (il Casalotti, ndr). All’inizio della nostra collaborazione ci siamo trovati con un terzo amico per provare a creare un nuovo progetto, poi alla fine siamo rimasti solo io e Super.
Super: Durante quella serata mi sono detto
quel tipo è simpatico ed è pure forte! e per anni ho avuto in testa una sua canzone demo che girava su YouTube, senza conoscerlo. Ci siamo incontrati poi in zona e gli ho chiesto di collaborare, ma all’epoca non c’è stata occasione. Solo dopo 4 anni, quando ci siamo incontrati di nuovo per caso grazie ad un amico in comune, mi sono detto non lo posso lasciare scappare ancora, devo prenderlo adesso, ora o mai più! E così 2 anni fa abbiamo iniziato a lavorare insieme.
In passato abbiamo intervistato Maggio, un altro membro della vostra crew Klen Sheet. All’epoca non avevamo approfondito la storia del collettivo, ce ne potete parlare? Il nome nasce dal cane di Maggio, giusto?
Ngawa: Sì esatto, era il cane di Maggio. Io e lui abbiamo sempre avuto l’idea di creare un collettivo con i nostri amici, delle teste geniali nel loro ambito. Un giorno Maggio tornando da Milano, scopre che il suo cane, che si chiamava appunto Klen (si legge Clean, ndr) era appena morto. Lì ci siamo detti che dovevamo ricordare Klen in un bel modo, e allora è diventata la base del nostro nome. Klen Sheet può voler dire sia foglio bianco, che merda pulita, e nel calcio, se fai 4 gol e non ne ricevi nessuno, si dice “clean sheet.” Come lo leggi, spacca!
Questa era l’idea originaria, poi sono arrivati i vari componenti: oltre a me e Maggio, ci sono Tanca, Giumo, Super, Goldrake, Rate, Vittoria, Monorit. Ognuno di loro fa qualcosa nel loro ambito che noi pensiamo spacchi e valga la pena valorizzare.
Super: È diventata la famì!
Ngawa: Diciamo che ci avviciniamo molto a quello che era Klen stesso, un bravo cane che faceva quello che voleva, ma che alla fine tornava sempre a casa! Noi siamo diventati a nostra volta una casa per tutti i componenti della crew, dove ognuno fa quello in cui è bravo per poi arricchire a sua volta la famiglia Klen. Non facciamo solo musica. Vittoria fa i video, Monorit ci aiuta nella parte di gestione, Rate fa il grafico, Tanca è producer/rapper, etc..
C’è tanta altra gente che fa parte del nostro gruppo, che ci gravita intorno.
Super: Io ci sono arrivato dopo tramite Ngawa. È una bella realtà, dove si parla non solo di musica, ma di grafica, di video, in futuro magari si parlerà anche di altro!
Abbiamo trovato questa foto sul profilo Instagram di Maggio, dove ci siete nell’ordine Tanca, Maggio e tu, Ngawa. Sotto c’è questo commento: “Ho visto una foto simile al negozio di United Colors of Benetton.” Ovviamente questo si vede subito non essere un insulto, ma in generale come reagite a un commento del genere?
Ngawa: Noi per primi siamo molto goliardici in questo, ci prendiamo molto in giro da soli sia io che Maggio, quindi questi commenti non ci toccano, anzi. Il fatto di essere persone tra loro diverse è la nostra forza, se te ne accorgi ben venga! È importante per noi essere riconosciuti come gruppo, ognuno con le sue diversità ma che alla fine fanno parte di un solo collettivo, di una sola realtà.
Super: Per me la diversità, qualunque essa sia, all’interno di un gruppo come il nostro non può che essere un fattore positivo! Anzi a me quasi spiace di essere solo romano, e di non venire da nessun’altra parte del mondo.
Ngawa: Ma và fra, il romano bianco mancava. C’era il romano nero, il romano cinese, il romano bianco non ce l’avevamo!
Invece quando avete iniziato a interessarvi al mondo della musica? Quali sono state le vostre influenze?
Ngawa: Banalmente da molto piccolo (9-10 anni) ero al parchetto con un mio amico che aveva appena visto un film dove si parlava di freestyle, e mi sfidò a farne uno dicendomi ma tu sei nero e non sai fare freestyle? Mi era sempre piaciuta la musica ma da lì in poi me lo sono posto come sfida personale!
All’epoca delle mie prime esperienze mi ascoltavo un sacco di rap americano, come 50 Cent o Ludacris, ma anche old school come Wu Tang, Notorius, Tupac o italiani come Gemitaiz, Truceklan, Gué.
Super: Io invece ho iniziato a fare musica abbastanza tardi, verso il liceo. Quello che mi ci ha spinto è il fatto che non mi andava di fare i compiti! Avevo solo voglia di fare altro. La musica, il computer, mi facevano passare il tempo e pian piano mi sono appassionato. La musica l’ho iniziata come hobby, l’ho mollata e poi ripresa ma alla fine ho capito che mi piaceva quello che facevo e quindi da svago è diventata necessità.
Per me a livello di produzioni mi hanno molto influenzato i Four Tet, il loro mood molto caldo ma comunque elettronico. Fanno delle basi molto adatte ad essere suonate da un gruppo, ad essere inserite in una produzione più completa. Mi piacciono anche molto gli Strokes, per l’uso della chitarra.
Ngawa, cosa ci puoi dire della tua esperienza in Francia? Come ti ha influenzato nella scrittura?
Ngawa: Dopo il liceo avevo deciso che volevo andare a vivere in Francia per un po’ di tempo e così ho fatto, senza dire praticamente niente a nessuno. Quello che è successo è che ho scoperto di non saper parlare francese, o meglio, che quello che avevo imparato da mia madre non era quello che si parlava in Francia! Mi sono impanicato un attimo, poi mi ci sono messo e l’ho imparato di nuovo migliorandolo molto. Questo si sente nei pezzi, dove gioco molto creando una sorta di nuova lingua, tra il mio italiano e il francese, un mezzo francese. Mi son detto Se si può fare con l’inglese, perché non posso farlo anch’io?
In Francia ne ho passate di tutti i colori. Molte esperienze poi le ho messe nei pezzi, soprattutto in Flic. L’EP è stato molto influenzato da questo mio vissuto.
Super: Flic poi nasce al 100% da quella esperienza, dalla prima all’ultima parola. È la tua storia, di ciò che hai fatto quando sei partito, le sensazioni…
Ngawa: È tutto vero!
Super: Infatti una volta che sei tornato e mi hai fatto sentire quello che avevi registrato, i testi che avevi scritto, siamo riusciti a far venire fuori quel pezzo. In tutto l’EP c’è l’influenza del tuo viaggio ma lo si ritrova soprattutto in Flic.
Ngawa: Io vivevo con dei soldi super contati in un ostello sempre diverso, che cambiavo ogni mese perché non ci potevo stare troppo. In alcuni momenti mi trovavo senza soldi, e mi sono dovuto arrangiare, facendo varie cose. In generale tutte le situazioni che ho vissuto, dalla musica che ho ascoltato alla gente che ho conosciuto, mi hanno fatto capire come la Francia sia un paese tanto razzista quanto l’Italia, solo in modo differente. Forse più ipocrita, perché ad esempio qui se dovessi parlare con tua nonna mi direbbe ancora Come parli bene l’italiano! mentre in Francia tua nonna potrebbe essere andata a scuola con persone di colore. Ho capito che tutto il mondo è paese, soprattutto per quanto riguarda la polizia!
Nel video di Quante versioni di me c’era già una scena legata alla polizia, quella iniziale, sembra uno spezzone di una retata.
Ngawa: Quel video è stato girato da un ragazzo che conosco mentre ero con dei miei amici musulmani in un parchetto a festeggiare l’Id, la fine del Ramadan. All’improvviso dall’altro lato della piazza delle persone hanno iniziato a lanciarci degli oggetti, cosa a cui noi abbiamo risposto. Alla fine sono arrivate alcune camionette, la rissa si era spostata nel palazzo, noi non avevamo fatto niente, anzi, ci stavano provocando e noi abbiamo semplicemente risposto. Questo amico viveva nel palazzo davanti e ha ripreso tutto dalla finestra. Il ragazzo con cui ero invece era tranquillissimo, semplicemente ci stavamo spiegando, ma alla fine quel giorno siamo noi a finire in garde à vue, in stato di fermo, in una cella della questura.
Invece tornando all’EP, è il vostro primo insieme giusto?
Super: Primo ma non ultimo! Il titolo deriva da un codice postale, è una parte del CAP della nostra zona. 00166. L’abbiamo chiamato così perché noi speravamo che le nostre groupie ci avrebbero inviato delle lettere d’amore. È una zona di Roma abbastanza grande, tra cui c’è anche Casalotti, la nostra zona, a cui abbiamo voluto dedicare il nostro lavoro.
L’EP è nato perché semplicemente abbiamo iniziato a fare un pezzo insieme, poi ne abbiamo fatto un altro, poi un altro ancora e alla fine ne abbiamo raccolti cinque e ci abbiamo fatto un EP. Per me raccoglie dei pezzi simili ma allo stesso tempo diversi, tra la trap e il pop, ma con un filo conduttore che è l’esperienza in Francia di Ngawa.
Ngawa: Tutto l’EP è vita vissuta, tranne AWE’ forse che racconta una parte di me più egocentrica, tutto il resto racconta il mio ritorno dalla Francia all’Italia, quello che mi sono portato dietro. Con Super ci abbiamo lavorato tipo colonna sonora, è un racconto dove io una volta tornato in Italia parlo del trasferimento, di cosa vuol dire traslocare, soprattutto in Bilocale. Tutto questo racchiuso in un titolo che è Unoseisei perché alla fine mi sono accorto che nonostante non stessi in Italia, tutto quello che ho vissuto derivava dal fatto che io venivo da lì, da casa mia. Sono Roma dovunque andrò.
Flic ci ha colpito molto, tra il testo molto esplicito e questa melodia invece molto dolce. È molto originale, inaspettato.
Super: Questo era l’obiettivo!
Ngawa: L’idea era che tutti potessero cantarla. Senza pensare al testo, ma perché è molto orecchiabile e la canzoncina ti rimane in testa. La canti a prescindere dal testo, come farti un Matrix nella testa. Un sacco di ragazze che incontro mi dicono che è la loro preferita, un sacco di persone insospettabili, e io dico loro Ma l’hai capita? Hai sentito che dico guardiedemmè?
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