Sarebbe piú facile conservare l’attuale maggioranza e trovare una nuova testa di legno, come era Conte nel 2018, ma per ora i due partiti hanno deciso di fare quadrato attorno al presidente del Consiglio
Dopo una giornata che sembrava iniziata bene, all’insegna delle trattative tra Conte e Italia viva, favorite anche dall’intervento del presidente Mattarella, verso le 18 Renzi è apparso in conferenza stampa alla Camera, e ha annunciato le dimissioni dei membri del governo di Italia viva: Teresa Bellanova, ministra dell’Agricoltura; Elena Bonetti, ministra per le pari opportunità; e Ivan Scalfarotto, Sottosegretario agli Esteri. Durante la conferenza stampa — in cui i ministri dimissionari hanno a malapena aperto bocca — è emerso, com’era chiaro, che le divisioni tra il leader di Italia viva e la maggioranza non riguardavano soltanto i contenuti del Recovery Plan. Renzi ha infatti attaccato duramente il premier Conte, senza di fatto mai nominarlo, additandolo come un pericolo per la democrazia e paragonando il suo stile di governo a quello di Salvini quando chiedeva “pieni poteri.” Renzi ha criticato il suo utilizzo eccessivo di social network e “dirette tv” bollandolo come “populismo,” e ha accusato Conte di aver esautorato il Parlamento. Secondo Renzi “La crisi politica non è aperta da Italia Viva, è aperta da mesi,” con Conte che avrebbe creato “un vulnus nelle regole del gioco, delle regole democratiche.”
Da parole così infuocate contro il presidente del Consiglio, dipinto sostanzialmente come un attentatore all’ordine costituzionale, ci si potrebbe aspettare che Renzi abbia posto un no esplicito all’idea di un nuovo governo capeggiato da Conte. Renzi però è stato più sottile, dicendo di non avere pregiudiziali sull’avvocato, ma che “non c’è un solo nome per Palazzo Chigi.” Come andrà a finire? Non è dato sapere, ma di certo questo è solo l’inizio di un piccolo grande dramma politico che si consumerà nelle prossime settimane. Nel vero senso della parola: per il momento è tutto congelato. Renzi infatti ha dichiarato che Italia viva voterà a fianco del governo — di cui tecnicamente non fa più parte — i provvedimenti relativi alla gestione della pandemia e ai ristori. Insomma, si potrebbe rimandare lo scontro in Parlamento fino almeno al 20 gennaio, quando la Camera dovrebbe votare per il nuovo scostamento di bilancio: un sacco di tempo per tutti per provare a ricucire o inventarsi nuove strategie per trarsi d’impaccio.
Il Pd è diventato il partito di Conte?
La mossa di Renzi ha gettato nello scompiglio e nella rabbia tutte le forze politiche della maggioranza, ma soprattutto il Partito democratico, che fino all’ultimo minuto ha provato più di tutti a ricucire lo strappo tra le varie anime della maggioranza. Il vicesegretario Andrea Orlando l’ha commentata dicendo che è “un errore di pochi che pagheremo tutti,” mentre il segretario Zingaretti l’ha definita “un atto contro l’Italia.” Il Pd sembra schiacciato nella difesa a oltranza di Conte: tra la serata di ieri — mentre si riuniva il Consiglio dei ministri — e la mattina di oggi si sono moltiplicati i tweet di difesa a spada tratta del Presidente del consiglio. Come quello del ministro Dario Franceschini, uno dei membri Pd più influenti in parlamento e capo delegazione del partito nella maggioranza.
In Consiglio dei Ministri ho ribadito che chi attacca il Presidente del Consiglio attacca l’intero governo e @GiuseppeConteIT sta servendo con passione e dedizione il proprio Paese nel momento più difficile della storia repubblicana.
— Dario Franceschini (@dariofrance) January 13, 2021
A parte tutte le considerazioni che si possono fare su Renzi, la trasformazione del Pd in un ordine cavalleresco votato alla difesa del Presidente del Consiglio in carica è uno degli elementi più interessanti di quanto sta succedendo. Due anni fa, Conte era un signor nessuno chiamato a guidare il paese per suggellare l’alleanza tra Salvini e il M5S, con uno status inizialmente poco superiore a quello di un fantoccio; un anno fa si è ritagliato un ruolo di cerniera per la nuova, inattesa alleanza tra un M5S stremato dall’alleanza con la Lega e il Pd; ora sembra l’uomo della provvidenza, senza il quale nessun governo sembra possibile né per i 5 Stelle nè per il Pd. Probabilmente, tra l’altro, è proprio questo il vero motivo per cui Renzi si è deciso a provare a eliminarlo: anche lui aspira a un ruolo di cerniera tra le varie forze parlamentari, e lo straportere di Conte è un pericolo molto grosso per i suoi disegni.
Se l’attaccamento dei pentastellati all’avvocato è giustificato in parte dal fatto che — più o meno — Conte è un esponente del loro partito, quello del Pd è più sorprendente. Una possibile spiegazione sta proprio nella grande popolarità del Premier. Durante la pandemia, gli italiani hanno imparato quasi per forza a riconoscere in Conte una figura di guida carismatica, facendogli accumulare un grande prestigio tramite una sorta di strategia della tensione involontaria. Secondo sondaggi della fine dello scorso anno, il gradimento del Premier è al 57% e in aumento, mentre quello del governo in generale è in calo Oggi, nonostante l’attivismo di Renzi, non è facile disfarsi di lui: come giustificare davanti all’elettorato la defenestrazione di quello che è di gran lunga il più popolare dei leader politici italiani?
C’è, però, anche una ragione più sottile. L’adesione sperticata del Pd a Conte è l’ennesimo mezzo del partito per coprire il proprio vuoto politico e ideologico. Negli ultimi cinque anni il Pd si è caratterizzato sempre più come il partito del buonsenso, quello che le cosiddette persone civili votano anziché dar retta agli sfrenati populisti. Come abbiamo più volte sottolineato, non è una strategia molto solida per costruire un progetto politico di lungo termine, e infatti il partito secondo tutti i sondaggi viaggia su uno stentato 19-20% di consensi. Adesso, sostenere Conte è la posizione naturale per chi vuol farsi passare come “responsabile” in cerca di responsabili davanti all’opinione pubblica: ma è anche l’unica possibile, visto che il Pd non ha nessun’idea chiara da offrire al paese se non la granitica, arrogante convinzione di essere meglio degli altri.
Cosa può succedere ora
Conte ha accolto non benissimo le parole e gli atti di Italia viva. Per tutta la giornata di ieri, a differenza dei giorni scorsi, si era mostrato aperto al dialogo e disponibile a una mediazione dell’ultimo minuto, rilasciando messaggi in cui dichiarava che stava lavorando a un nuovo patto di governo — governo che poteva andare avanti solo con il sostegno di Italia viva. Non è possibile sapere se ci sia stata in effetti qualche trattativa sottobanco che Renzi ha deciso di tagliare in diretta tv, ma una volta che Renzi ha ribaltato il tavolo anche Conte si è irrigidito — numerosi retroscena lo danno “furioso.” Tanto per cominciare ha accettato senza riserve le dimissioni delle ministre e del sottosegretario, e ora — sempre secondo la maggior parte dei retroscena — sarebbe di nuovo al lavoro per capire se esiste un gruppo di senatori “responsabili” in grado di tenere in piedi il governo senza il partito di Renzi, di cui evidentemente a Palazzo Chigi ne hanno abbastanza. Conte comunque ha intenzione di prendersela con calma: la consuetudine avrebbe voluto che, appena aperta la crisi, andasse di nuovo da Mattarella, dopo esserci già stato ieri pomeriggio, ma probabilmente ci andrà solo oggi — e non per dimettersi.
Quali sono ora gli scenari possibili, e soprattutto quanto è grande il rischio di tornare ad elezioni? A parole nessuna delle forze politiche che hanno sostenuto il governo finora vuole tornare alle urne — anche perché è chiaro che probabilmente si assisterebbe a una netta vittoria della destra. Nemmeno il paese vorrebbe andare a votare, con meno di un elettore su tre convinto che sia una buona idea. Il rischio che vada male qualsiasi trattativa, però, esiste. Probabilmente, come già scrivevamo, Conte tenterà di tenere in piedi il suo governo andando a cercare dei senatori “responsabili” — nonostante questa strada non piaccia granché al Presidente della Repubblica. Se Conte dovesse provare una conta in aula e l’operazione dovesse fallire, risulterebbe molto probabilmente del tutto bruciato. Anche nel caso in cui si dovesse arrivare a pensare a un nuovo governo senza passaggi parlamentari sembra difficile che Renzi dia il proprio avallo a Conte, a meno di non ricevere offerte irrinunciabili. È troppo tardi per tornare indietro a mani vuote: il segretario di Iv deve infatti giustificare lo stato di crisi in cui ha trascinato il governo e il paese — una crisi di cui, nel mondo reale, nessuno sta capendo le cause e gli scopi, se non la sete di potere di Renzi.