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Con l’approvazione a un passo dal no-deal Johnson nasconde le tante difficoltà a cui il paese andrà incontro grazie al sollievo per aver evitato il disastro

Solo poche ore prima della fine del periodo di transizione l’accordo commerciale post–Brexit è legge, in una maratona che ha portato il testo ai Comuni, ai Lord e dalla regina in un solo giorno — o quasi: l’annuncio dell’approvazione della regina è arrivato mezz’ora dopo mezzanotte. Il sollievo per lo scampato disastro non deve sovrastare lo scandalo di aver forzato l’approvazione, con sole quattro ore di dibattito totali, di una legge di 85 pagine che mette in azione un trattato commerciale di più di 1.200 pagine: un’operazione che Andrew Adonis, uno dei primi laburisti a sostenere il tentato secondo referendum per la Brexit, ha definito un “grave abuso.”

Come previsto, il testo è passato senza difficoltà ai Comuni — con una maggioranza da capogiro di 448 voti, 521 favorevoli e 73 contrari. Il Labour ha sostenuto l’accordo, non senza difficoltà: 36 parlamentari laburisti hanno rotto le fila del partito e hanno votato contro, o si sono astenuti, e tre ministri ombra — Helen Hayes, Tonia Antoniazzi e Florence Eshalomi — hanno rassegnato le proprie dimissioni dopo essersi astenuti. Dall’altra parte l’entusiasmo ha dato alla testa a qualche estremista brexista: Bill Cash, che fu tra le altre cose fondatore della campagna per il referendum su Maastricht nei primi anni Novanta, ha paragonato Boris Johnson a Pericle, perché come lui “ha salvato la democrazia,” e ad Alessandro Magno, perché “ha tagliato il nodo gordiano.” Mark Francois, uno degli “spartani” che stroncò l’accordo di Theresa May, ha detto ai propri colleghi estremisti che “la battaglia per la Brexit era finita,” ed era stata vinta, per cui era il momento di “abbassare le nostre lance.” Secondo Cash, Churchill e Thatcher sarebbero fieri del risultato ottenuto dal Primo ministro — una dichiarazione che si potrebbe leggere anche come una durissima critica dell’accordo.

Ringraziando i parlamentari, Johnson ha detto che “il destino di questo grande paese ora risiede fermamente nelle nostre mani,” una dichiarazione che gli si potrebbe rivoltare contro molto rapidamente nelle prossime settimane. Il Primo ministro ieri è stato intervistato da Laura Kuenssberg per BBC News, con cui si è mostrato entusiasta e ottimista dell’accordo. Johnson ha detto che il suo governo è riuscito a preservare legami commerciali con l’Ue nonostante l’uscita, un’operazione che secondo il Primo ministro i critici avevano dichiarato impossibile. Citando il proverbio inglese “You can’t have your cake and eat it too,” frutto della saggezza popolare britannica secondo cui una volta mangiata una torta dopo non c’è più, Johnson ha detto all’intervistatrice che “Questo accordo non poteva essere più torta di così.”

La storia della Brexit, però, non è finita qui: questo è il momento di massima vittoria politica per Boris Johnson, che conta di prolungarlo e usarlo contro il Labour quanto più a lungo possibile. Questa è la lente attraverso cui leggere la decisione assurda di Starmer di sostenere l’accordo del governo: cercare di neutralizzare la retorica Tory, che nelle prossime settimane cercherà di inquadrare il partito come quello che è riuscito in un’impresa impossibile, la promessa elettorale che per antonomasia sembrava impossibile da mantenere, e che invece è stata realizzata. Tutto questo, ovviamente, dipende da come andranno le prossime settimane e i prossimi mesi: dopo anni di profezie contrastanti, ora il Regno Unito deve prepararsi alle conseguenze nel mondo reale, e le incognite sono ancora tantissime. Una cosa, però, è certa: Johnson ha passato gli ultimi giorni a vantare le nuove libertà che l’accordo concede al Regno Unito, ma la libertà, come si dice, ha un prezzo: che il paese pagherà, specificamente, sotto forma di dazi non appena divergerà dagli standard europei.

Trascinando l’accordo fino all’ultimo minuto, il governo è riuscito a soffocare le critiche nel senso di sollievo di aver evitato la catastrofe economica che sarebbe risultata da un’uscita senza accordo. La settimana scorsa il veterano conversarvatore Michael Heseltine aveva commentato, in modo problematico, che l’accordo andava accolto “come la notizia di un condannato a morte a cui viene comunicato che la sua sentenza è stata commutata in un ergastolo.”

Così, mentre il Daily Express parlava della “nuova età dell’oro” il Regno Unito entra in un accordo che danneggerà le industrie che componogo l’80% dell’economia del paese. L’esempio più efficace della miopia del governo conservatore è forse questa dichiarazione del segretario all’Educazione Gavin Williamson, che alla notizia che il Regno Unito era stato il primo paese europeo ad approvare l’uso di un vaccino, aveva commentato che “Siamo un paese molto migliore di tutti gli altri,” ignorando apparentemente che il vaccino che veniva approvato fosse stato sviluppato in Germania e prodotto in Belgio. Martin Fletcher riassume il panorama politico britannico sul New Statesman dicendo che la chiusura della Brexit è “un momento di vergogna nazionale.” È difficile immaginare come possa evolversi il discorso progressista nei prossimi mesi — essendo la Brexit, anche con un accordo, comunque un salto nel vuoto — ma il Morning Star offre qualche spunto.

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