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Il modello proposto da Conte per gestire il Recovery Fund solleva perfino dubbi di costituzionalità, ma nessuno sembra convinto che Renzi stia alzando la posta solo per idealismo o spirito costituzionale
Dopo una lunga giornata di discussioni e di lavori, nella serata di ieri il Parlamento ha approvato la riforma del Mes. Al Senato, dove il governo rischiava di non avere abbastanza voti, la risoluzione di maggioranza è passata con 156 sì, 129 no e 4 astenuti: dunque senza grossi rischi, ma con una maggioranza piuttosto risicata, e inferiore di quattro voti a quella assoluta — che, per fortuna di Conte, per questo voto non era necessaria. La fronda del Movimento 5 Stelle, temuta alla vigilia del voto, alla fine si è rivelata più ristretta del previsto: 13 deputati hanno votato contro, mentre 9 non hanno partecipato al voto alla Camera; al Senato invece i voti contrari dei pentastellati sono stati solo 2, oltre a 4 assenze giustificate.
Il governo però sembra più fragile che mai, soprattutto a causa dell’atteggiamento di Renzi e Italia Viva, che ieri in aula è tornato ad attaccare con forza Conte sulla gestione del Recovery Fund. Durante il suo intervento, Renzi ha minacciato di votare contro la legge di bilancio se fosse inserito da Conte un emendamento sulla governance del Recovery Fund — e se il governo andasse in minoranza sulla legge di bilancio, Conte dovrebbe certamente dimettersi. La disputa nasce dal piano di Conte di affidare la materia a una “task force” di esperti, in linea con la gestione della pandemia fino ad ora, scavalcando così di fatto il Parlamento e le forze di maggioranza. Un modello di gestione che solleva perfino dubbi di costituzionalità, come fa notare Massimo Villone sul Manifesto: “A chi risponderà, e come, una simile struttura? Quale responsabilità politica avrà un supermanager cui è affidata la gestione di decine di miliardi di euro? Quale visibilità e trasparenza avranno le scelte manageriali, le valutazioni, i pareri, le proposte degli esperti? Se un supermanager sbaglierà, lo si accompagnerà alla porta, magari con un trattamento milionario di fine rapporto come da contratto?”
Detto ciò, nessuno sembra convinto che Renzi stia alzando la posta solo per idealismo o spirito costituzionale. Il segretario di Italia Viva, secondo una ricostruzione di Repubblica, potrebbe avere in mente un piano molto ambizioso: far cadere il governo Conte per crearne un altro con la stessa maggioranza, o con una poco diversa, da affidare a Luigi Di Maio; un governo in cui a lui spetterebbe la posizione di ministro della Difesa, da utilizzare come “trampolino di lancio” nientemeno per diventare segretario generale della Nato, in virtù di una mezza promessa fattagli da Barack Obama — sì. Il tutto con il sostegno tacito del Pd, a sua volta desideroso di sbarazzarsi di Conte. C’è un piccolo problema in questo piano geniale: Mattarella ha specificato più volte che in caso di caduta di questo governo scioglierà il Parlamento per indire nuove elezioni. Ma Renzi potrebbe essere convinto di poter confezionare tutto non offrendo al Presidente della Repubblica la possibilità di farlo.
Conte in aula ha replicato al leader di Italia Viva parlando di un “fraintendimento colossale” sulla struttura di missione per il Recovery Plan, assicurando che la task force avrebbe solo “compiti di monitoraggio” e non toglierebbe potere e competenze ai ministeri. A fine giornata, il presidente del Consiglio ha detto che andrà avanti “soltanto se c’è la fiducia di tutte le forze di maggioranza.” Dietro le quinte, Conte viene descritto come amareggiato, ma comunque “disposto a trattare.”
In realtà, la crisi potrebbe non essere così probabile o vicina come Renzi vorrebbe far credere: il suo attacco di ieri è stato sì molto duro, ma incentrato su un tema che è già in una fase avanzata di trattative. Renzi potrebbe quindi alla fine accontentarsi di più peso nel governo e della possibilità di esprimere più da vicino la propria posizione nella gestione del Recovery Fund — una prospettiva che interessa anche al Pd, ormai stufo del decisionismo di Conte. L’ala della maggioranza più confusa sembra però essere quella del Movimento 5 Stelle, che ha mandato giù per l’ennesima volta una votazione che smentisce tutta la linea del partito nei mesi precedenti. Come fare per salvare almeno in parte la faccia? Paola Taverna ha provato sorprendentemente a interpretare la giornata di ieri come l’ennesima “giornata storica” per il Movimento: “Per noi quella contro il fondo salva-Stati è una battaglia importante: il Mes è uno strumento obsoleto che mai utilizzeremo. Ma con la risoluzione abbiamo messo per la prima volta nero su bianco la necessità di sospendere il patto di stabilità. E il Pd ci è dovuto venire dietro.” Il Movimento 5 Stelle ufficialmente non sosterrà “mai” un governo che veda l’ingresso di Berlusconi — come non doveva sostenerne uno con il Pd, con Renzi, eccetera. Nelle prossime settimane sarà più chiaro come si evolveranno le trattative dietro le quinte delle Camere.