Come è stata disegnata la prima illustrazione del coronavirus?
Il design ha il potere unico di rappresentare anche concetti astratti, oggetti altrimenti invisibili. Per questo è importantissimo comprenderne il potere, e la natura politica. Ne abbiamo parlato con Alice Rawsthorn, co–fondatrice di Design Emergency.
in copertina: lo “spiky blob,” CDC / Alissa Eckert, MSMI; Dan Higgins, MAMS
Il design ha il potere unico di rappresentare anche concetti astratti, oggetti altrimenti invisibili. Per questo è importantissimo comprenderne il potere, e la natura politica. Ne abbiamo parlato con Alice Rawsthorn, co–fondatrice di Design Emergency
Il design è spesso considerato come una disciplina astratta, lontana dalla concretezza della vita. È importante invece comprendere l’impatto che chi lo pratica ha sull’esistenza nei suoi aspetti più pratici e quotidiani, così come sulle dinamiche della comunicazione di massa e del potere.
In questi mesi in cui la lotta al contagio ha consumato gran parte del dibattito e della copertura stampa, si è dato molto poco rilievo a come “immaginiamo” il virus. In pochi sanno,per esempio, che l’immagine divenuta volto della pandemia — quella che ritrae il virus, che si trova ovunque nei media e con cui ci siamo abituati a identificarlo, è stata pensata da due illustratori medici, Alissa Eckert e Dan Higgins, con degli obiettivi di comunicazione estremamente precisi.
Ne abbiamo parlato con Alice Rawsthorn, autrice di Design as an Attitude e co-fondatrice del progetto Design Emergency.
L’immagine, diffusasi con una rapidità senza precedenti nel campo delle illustrazioni mediche, è stata fin dall’inizio soprannominata ‘spiky blob,’ traducibile in italiano come ‘pallina appuntita’. In un’intervista con Alice Rawsthorn, Eckert ha spiegato il processo che ha portato lei e Higgins a disegnare lo spiky blob e molte altre illustrazioni mediche in precedenza: “prima si fa un Q&A con degli scienziati e poi si mettono insieme i dati raccolti, quello che si deve inserire [graficamente] e quali proteine sono da includere. Poi si va sulla Protein Data Bank, un deposito di dati sulle proteine e sulle loro coordinate, caricati da scienziati. Si scaricano quindi quelle informazioni su un software di visualizzazione e si ottiene un rendering 3D delle proteine che ci interessano. Poi si estraggono quei dati e si ottimizzano in modo da poterli importare sui nostri programmi 3D. Quindi: prima si usa Chimera, poi il software di visualizzazione, poi il programma di ottimizzazione, poi ZBrush e infine 3ds Max.” Una volta terminata la raccolta dei dati, si può partire con l’opera di design vera e propria. “A quel punto io metto insieme il tutto: costruisco i singoli pezzi, aggiungo l’illuminazione, la texture e gli effetti. Dopodiché usiamo After Effects per i tocchi finali”.
Nel caso dello spiky blob in particolare, si è trattato della vera e propria costruzione di un’identità, di creare un’illustrazione che, con le parole di Eckert, “ha dato un volto all’ignoto.”
Questo aspetto non è stato analizzato e spiegato: guardando l’immagine che ritrae il coronavirus si tende ad avere la sensazione che sia sempre esistita, eterna, immutabile, perfetta. Probabilmente perché si tratta di una illustrazione scientifica, si fatica a comprenderne il lato creativo. Soprattutto nella misura in cui la creazione implica non soltanto fare un “ritratto,” ma veicolare un significato nuovo, non esistente in precedenza.
“È stato affascinante parlare con Alissa del suo lavoro con Dan sullo “spiky blob” per la CDC [Centre for Disease Control and Prevention]” racconta a the Submarine Alice Rawsthorn.“Ci ha spiegato che le illustrazioni mediche devono essere scientificamente accurate – o non sarebbero credibili – ma i designer che se ne occupano hanno uno spazio di licenza creativa.”
Questo stretto spazio creativo ha avuto un ruolo essenziale nella costruzione della percezione del Covid-19: “ad Alissa e Dan è stato chiesto di assicurarsi che il pubblico percepisse il pericolo rappresentato da SARS-CoV-2, e fosse spinto a prendere seriamente la minaccia. Per ottenere il risultato richiesto, hanno pensato di enfatizzare gli elementi più spaventosi di SARS-CoV-2, le “punte”, o Proteine-S, che diffondono l’infezione attaccandosi alle cellule umane – rendendole più numerose, più grandi e più appuntite di quanto non siano in realtà e utilizzando un’allarmante tonalità rosso sangue.”
In realtà le proteine presenti in maggior numero nel coronavirus sono Proteine M, che appaiono come i “pezzetti arancioni” nell’illustrazione, e che sono state rese meno evidenti: “sono comunque precise, ma [in questo modo] abbiamo focalizzato diversamente l’attenzione delle persone.”
“Nel giro di pochi giorni lo spiky blob si è diffuso in tutto il mondo,” racconta ancora Rawsthorn, “diventando l’illustrazione medica più famosa della storia. Credo che questo sia stato possibile perché il ‘fattore-spavento’ aggiunto da Alissa e Dan rispecchiava la paura che provavamo davanti a SARS-CoV-2”. Allo stesso tempo tuttavia “consentendoci di immaginare com’era fatto, l’hanno reso più familiare e quindi meno terrificante”.
Questo discorso vale per qualsiasi immagine ci si trovi davanti, a maggior ragione se ha una funzione che tende alla narrativa sociale: ogni illustrazione o elemento grafico racconta una storia, considerare in maniera critica il suo significato attraverso l’analisi di com’è stato fatto può fornire una nuova chiave di lettura della realtà.
Il design, troppo spesso valutato come una materia astratta, ha invece un impatto potentissimo – e molto concreto — sulla vita quotidiana di milioni di persone, nonché un ruolo centrale nelle dinamiche politiche. E una forza propulsiva potenzialmente dirompente. Alice Rawsthorn e Paola Antonelli, curatrice del MoMa di New York, si sono incaricate di analizzare i progetti di design di quegli oggetti e di quei simboli che sono stati essenziali nel combattere e nel comunicare la lotta contro il virus. Lo hanno fatto tramite il progetto Design Emergency, con l’obiettivo di mostrare a un vasto pubblico come il design sia uno strumento importante ed estremamente efficace per sopravvivere ai momenti di crisi e costruire un futuro migliore.
“Io e Paola siamo amiche da molto tempo, l’idea di Design Emergency ci è venuta mentre stavamo chiacchierando su Zoom all’inizio dei lockdown in Inghilterra e in America. Entrambe sentivamo che la risposta del mondo del design al Covid-19 era così stimolante che avrebbe potuto ridefinire radicalmente la percezione pubblica e politica del design. L’ingenuità, l’ingegnosità e la generosità dimostrate dai designer e dai loro collaboratori è stata una delle poche buone notizie per i media globali durante la pandemia, ci ha dato speranza in un momento altrimenti spaventoso,” spiega Rawsthorn.
Anche se la pandemia ha reso questi discorsi più urgenti, Alice Rawsthorn ne parla da anni: è la missione della sua carriera. Lo fa scrivendo sul New York Times e con i suoi libri. “Il design è un fenomeno complesso ed elusivo, che ha adottato significati diversi a seconda dei contesti e dei momenti storici, ma ha sempre avuto un ruolo fondamentale come agente di cambiamento che ci può aiutare ad interpretare positivamente i cambiamenti di qualsiasi momento storico. Sviluppare applicazioni costruttive delle potenti nuove tecnologie — e tenerci in salvo dai pericoli che esse presentano — è un buon esempio. Un altro è quello di fornire abitazioni decorose, scuole e sanità per popolazioni in rapida espansione”. Il design rappresenta il modo in cui le cose sono pensate e costruite, farci caso è un modo per prendersi cura del pianeta che abitiamo.
Gli oggetti e le immagini che si creano nei momenti di crisi dicono molto del mondo che si spera di costruire dopo la pandemia, oltre a dare una forma concreta al nostro modo di rispondere alle situazioni di emergenza. “Che il design si sia spesso espresso nella sua forma più dinamica in momenti di crisi, come durante questa pandemia,” ci ha spiegato Alice, “è un dato significativo: per esempio rimodernando la sanità dopo la diffusione del colera e del tifo a metà del XIX secolo, o costituendo il welfare state con enormi investimenti nel campo dell’educazione di massa, della sanità e in quello immobiliare dopo la devastazione conseguente alla Seconda guerra mondiale. Speriamo che l’eredità del design nato durante la crisi del Covid-19 si dimostri altrettanto, se non maggiormente, fruttuosa.”
Nel caso dell’emergenza sanitaria il design non ha rappresentato solo un modo di reagire, né meramente un mezzo per costruire le soluzioni di cui si avvertiva la necessità: è stato una buona notizia. Un’occasione di tornare a entusiasmarsi per la creatività, in un momento in cui l’intera macchina sociale si era dovuta fermare. “Il Covid-19 è stato una tale forza distruttiva in così tanti aspetti delle nostre vite che abbiamo avuto bisogno di una straordinaria varietà di soluzioni di design per affrontarla, ognuna delle quali ha rappresentato un caso di studio eccezionale relativamente all’impatto pratico del design.”.
Il design è sempre, intrinsecamente politico. Designer, illustratori e comunicatori hanno un immenso potere. Il pubblico troppo spesso però non ne è consapevole. Si tende a non insegnare a leggere le immagini, si dànno per scontati gli oggetti. Forse è perché siamo immersi in un flusso continuo di cose e di segni, che passano tra le nostre dita o davanti ai nostri occhi per un tempo sempre più breve. Designer, illustratori e comunicatori hanno sì un immenso potere, ma nel porsi domande e nel conoscere com’è fatto quello che ci circonda risiede altrettanta forza. Il lavoro di Alice Rawsthorn è uno strumento per comprendere il come delle cose che siamo abituati a vedere e utilizzare. La pandemia sta modificando profondamente il modo di esistere e di pensare di tutti, ed è essenziale prestare attenzione alle dinamiche con cui si sviluppa questo cambiamento se si vuole vivere consapevolmente nel mondo del “dopo”, che sta attualmente prendendo forma attraverso il lavoro dei designer.
È proprio in questa direzione che si propone di proseguire il lavoro di Rawsthorn e Antonelli, dopo la loro recente esperienza come curatrici esterne dell’ultimo numero di Wallpaper: “Durante l’estate ci siamo imbarcate in una nuova, più lunga fase del progetto Design Emergency per intervistare persone che, crediamo, saranno i leader globali nel ridisegnare e ricostruire le nostre vite nel post-pandemia. Abbiamo affrontato tutto, dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, alla telemedicina; e poi la nuova corsa allo spazio, il reinventare lo stato del welfare, la protezione civile, il social housing. Abbiamo ancora una lunga lista di incredibili designer, architetti, ingegneri e molti altri professionisti da intervistare.” È in cantiere anche un libro.
Spiegare quello che sta accadendo nel mondo a livello di concetto è incredibilmente complicato. Potrebbe essere troppo presto per astrarre idee, per dare spiegazioni. Forse ci vorrà molto tempo ancora per capire a fondo quello che stiamo vivendo. Nel frattempo qualcosa di concreto si può fare: capire come funzionano gli oggetti e la comunicazione, chiedersi chi li progetta e a quale scopo; in altre parole, riconoscere il potere del design sulle modalità dell’esistenza umana e assicurarsi che venga utilizzato per interpretarle positivamente.