A Venezia il blocco degli sfratti non basta a fermare l’emergenza abitativa
“L’occupazione è l’unica via: l’alternativa è permettere che tutti i veneziani vengano cacciati dalla loro città per darla definitivamente in pasto ai turisti.”
Verso Sacca Fisola, Giudecca. Venezia, novembre 2020
“L’occupazione è l’unica via: l’alternativa è permettere che tutti i veneziani vengano cacciati dalla loro città per darla definitivamente in pasto ai turisti”
Claudio ha 66 anni e vive a Venezia da sempre. Ci vivevano i suoi genitori, e così lui ci è cresciuto in quella casa popolare della Giudecca, a Sacca Fisola, dove è tornato e rimasto dopo varie vicissitudini della vita. A Venezia tutti lo conoscono soprattutto per il suo impegno politico e sociale, sempre forte e radicato in città fin dagli anni della giovinezza e dell’attivismo militante nell’Autonomia Operaia. Claudio oggi soffre di patologie gravi che lo costringono a fare avanti e indietro da Milano, dove si trovava quando, il 14 di ottobre, riceveva la telefonata di una vicina di casa: “Claudio, ci sono gli operai di Insula e l’ufficiale giudiziario, ti hanno buttato giù la porta di casa.”
Claudio ha appreso in questo modo la notizia dello sfratto dall’appartamento in cui vive, e che ha cercato di regolarizzare per anni tramite richieste alle istituzioni competenti sul territorio e con la mediazione dei servizi sociali. Un provvedimento duro e certamente simbolico che arriva in un momento in cui, per via della proroga prevista dall’emendamento al decreto Rilancio – varato lo scorso 19 maggio e recante “misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza Covid-19” – sono sospesi gli sfratti in tutta Italia. Proroga estesa fino al 31 dicembre 2020.
L’emergenza casa a Venezia è una storia vecchia
Nicola, uno dei portavoce dell’ASC Venezia-Mestre-Marghera (Assemblea Sociale per la Casa), occupa una casa nella zona di Cannaregio. L’ASC nasce più di vent’anni fa, nel ’99, tra gli stessi ambienti delle tute bianche – eredi dell’Autonomia Operaia veneta e vicini al movimento degli “invisibili,” poi Comitato Invisibile, e ancora più tardi Gilets Jaunes, i Gilet Gialli francesi. “Eravamo il simbolo di una forza-lavoro giovanile prevalentemente precaria, i figli della scolarizzazione di massa successiva al ’68,” racconta Nicola, “ma priva di diritti e di garanzie, senza accesso al patto sociale del contratto di lavoro a tempo indeterminato, delle ferie, della malattia e della gravidanza pagate, della previdenza. Eravamo le categorie non protette.”
A Venezia si accusava già da tempo il noto problema delle case vuote che, secondo l’ASC, erano da riaprire e assegnare alle categorie non protette, che spesso non riuscivano nemmeno ad avere accesso alle graduatorie dell’edilizia pubblica.
Inizialmente l’Assemblea si era data il nome di “Agenzia Sociale per la Casa,” soprattutto per denunciare il fatto che a Venezia in quel periodo le agenzie immobiliari “spuntavano come funghi, proliferando e speculando sul mattone.” Se pur con altri presupposti e propositi, nelle lotte e nelle rivendicazioni di oggi è possibile riconoscere almeno in parte gli stessi obiettivi dell’area autonoma veneta, dei collettivi e dei movimenti di cinquant’anni fa, a prova di quanto la pandemia abbia solo accelerato un processo di saturazione già in atto. Tra i bersagli dell’epoca c’erano già le agenzie immobiliari, e nella pratica anche lo sviluppo di una attività quotidiana di contropotere proprio nei quartieri popolari, con occupazioni di case, autoriduzione di bollette, imposizione di prezzi politici nei trasporti: molte delle richieste avanzate anche in questi ultimi anni. L’agenzia diventa assemblea quando i membri iniziano a organizzare e tenere delle assemblee pubbliche e libere nelle zone più sensibili della città, dove i problemi legati all’abitazione erano drammatici e dove era concentrata anche la maggior parte degli alloggi sfitti e abbandonati: Cannaregio, Calesele, Giudecca, San Piero di Castello, più altre aree in terraferma tra Mestre e Marghera.
La transumanza giornaliera ha soffocato i veneziani
“Negli anni, dalle fasce più povere, siamo passati alle richieste d’aiuto da parte di quelli che possiamo chiamare ceto medio impoverito: categoria di persone che precedentemente percepiva redditi discreti e che poteva permettersi di pagare un affitto da privati — moltissimi sono artigiani — e che a un certo punto, a causa della crisi data dal turismo di massa e dalla svalutazione della manodopera, non sono più riusciti ad arrivare a fine mese” continua Nicola. I canoni continuano a salire, diventando sempre più inaccessibili per molti residenti con guadagni sempre più ridotti. In sostanza, uno stipendio medio non è abbastanza per sopravvivere a Venezia, ma non consente di rientrare nelle graduatorie di assegnazione delle case popolari.
L’indice ISEE – a seguito della modifica della legge regionale che porta il tetto massimo da 107.000 a 20.000 euro di reddito annui – risulta troppo alto. “Il 40% delle case occupate a Venezia è abitata da questa fascia di residenti non protetta.” Le attività storiche veneziane stanno morendo. Negli ultimi cinquant’anni si è scelto di puntare sul turismo per il futuro della città: una scommessa che, si può ormai dire, ha avuto pesanti conseguenze sociali e sta provocando il progressivo spopolamento di Venezia. Il debito della scommessa persa, soprattutto ora che la città soffre la mancanza di turismo a causa della pandemia, ricade direttamente sulle spalle dei veneziani che hanno osservato, nel tempo, la morte progressiva di un’economia locale e diversificata, pensata più a misura di residente che di turista.
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“Si dovrà ripensare questa città in modo che sia bilanciato il rapporto tra residenti e turismo, e si dovrà pensare un turismo più sostenibile, che rispetti il paradosso del tempo e dello spazio a Venezia, e che sia consapevole della lentezza in cui vive questa città.”
Un turismo sostenibile è necessario
La “transumanza” dell’escursionismo giornaliero da parte di turisti che accedono alla città dalla terraferma – che alza vertiginosamente il livello di inquinamento a ogni livello – andrebbe ad esempio controllata e ridotta in modo drastico, cercando di disincentivare il mordi-e-fuggi in favore di un turismo culturale che spinga le persone a fermarsi in città più a lungo. L’importante è che il turista paghi subito, non importa se tornerà. “Occorre aumentare i residenti e lasciar morire quelle attività tumorali incentrate su questo tipo di turismo frenetico. È necessario diversificare nuovamente l’economia: abbassare gli affitti permetterebbe all’economia locale di diversificarsi e proliferare nuovamente, aumenterebbero le attività di vicinato. Bisogna comprendere che più turisti portano più quantità, ma meno qualità: tante botteghe storiche hanno dovuto svendersi abbassando drasticamente prezzi e qualità dei prodotti. Molte sono state costrette a chiudere. L’eccellenza veneziana era data dall’artigianato che investiva sul turismo, ma tutto questo settore è praticamente scomparso dopo anni di sofferenza” conclude Nicola.
Occupazione: un ponte verso una legalità sostenibile
“L’occupazione diventa l’unica via, quando l’alternativa è permettere che tutti i veneziani vengano cacciati dalla loro città per darla definitivamente in pasto ai turisti. I veneziani non fanno altro che lavorare a Venezia, soprattutto col turismo, ma devono anche poterci vivere in questa città,” lamenta N., che lavorava nella ristorazione e a causa dell’emergenza Covid-19 è ora in cassa integrazione. Ha due figli e occupa una casa a Cannaregio. Percepisce — quando arriva — una cassa integrazione che basta giusto per pagare le utenze di casa, perché la maggior parte delle ore di lavoro le venivano retribuite in nero. “Prima occupavo. Poi, quando ho potuto, ho deciso di cercarmi una casa in affitto e tornare alla legalità, ma a causa della pandemia non sono più riuscita a pagare l’affitto. A luglio sono stata costretta a lasciare la casa. Ho chiesto aiuto a istituzioni e associazioni ma senza successo. Mi sono ritrovata costretta a occupare di nuovo: sapevo che questa casa era vuota da anni, dalla morte della precedente inquilina. E non avevo alternative” continua, “se nessuno ti aiuta devi pensarci da solo. E se aspetti le istituzioni muori di fame. Gli alloggi occupati, prima in stato di abbandono e non assegnabili, vengono ristrutturati, messi in sicurezza e quindi recuperati. L’occupazione secondo me deve servire come ponte: è una possibilità di traghettare nuclei familiari in difficoltà verso una situazione di legalità sostenibile.”
Abbattimento del muro eretto davanti alla porta dell’abitazione di Claudio. Giudecca, Venezia, novembre 2020
“Restare a Venezia è un atto d’amore”
Nella mattinata di sabato Claudio è tornato nella casa a Sacca Fisola, in Giudecca, dalla quale era stato sfrattato più di venti giorni fa. In un blitz è stato buttato giù il muro e tolti i sigilli che le autorità avevano posto in modo che non potesse farvi ritorno. Facciamo due chiacchiere nel soggiorno. È pieno di amici ad accoglierlo, col vino — un’ombra, in veneziano — e con sollievo. Parliamo a lungo: “La casa è importante. La casa sono i rapporti sociali, le amicizie, le fratellanze. La casa è un punto di riferimento, il luogo dove organizzi la tua vita e le tue speranze, i tuoi progetti, una raccolta di affettività e di emozioni. Non sono solo quattro mura: è il luogo per i ricordi e per il futuro insieme. E questa è vita.”
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