Il collettivo che da due anni ha ridato vita all’ex liceo Omero ha presentato un’offerta al Comune di Milano per un bando sulla riqualificazione di edifici abbandonati, che potrebbe essere il degno riconoscimento per il suo ruolo nel quartiere. Ma il Comune potrebbe essere più interessato a proposte di abbattimento e costruzione di nuove palazzine
Sul campo da basket dell’ex liceo Omero, a Bruzzano, non ci sono più le piscine gonfiabili per i bambini del quartiere ospiti del centro estivo di Ri-Make. Superato il lockdown e l’estate, il collettivo che ha occupato l’edificio scolastico due anni fa pensa al futuro. Il gruppo ha infatti risposto al bando comunale pubblicato dall’amministrazione il 5 giugno scorso, per trovare offerte sulla riqualificazione di 25 stabili o edifici abbandonati. Tra questi c’è proprio lo stabile di via del Volga, che Ri-Make si propone di recuperare.
Il bando è scaduto il 30 settembre, e Ri-Make non è stato l’unico soggetto partecipante: “si è presentato un altro progetto di un consorzio di associazioni che fanno privato sociale. Prevedono di abbattere questo edificio per fare housing sociale. Non si parte dalla premessa fondamentale: di cosa ha bisogno questo quartiere?” Marie vive a Bruzzano e conosce bene la realtà della periferia nord milanese. Ci ha aiutato a ricostruire la realtà di un quartiere composito, e del suo futuro. Abbattere l’edificio per fare spazio a nuove palazzine sembrerebbe più che altro una mossa speculativa, dato che la città è piena di case vuote e ha bisogno soprattutto di spazi di aggregazione — non di arricchire chi le case le costruisce.
La proposta di Ri-Make invece si basa sul modello dell’ex asilo Filangieri di Napoli, un palazzo storico che ospita le attività e le iniziative di un collettivo di cittadini, sulla base dell’autogestione e di una dichiarazione di uso civico e collettivo. “Abbiamo proposto un patto di collaborazione con l’amministrazione sull’uso condiviso non esclusivo degli spazi: le questioni di utenze, manutenzione, proprietà dello spazio restano comunali. Il Comune dovrebbe costruire con noi e partecipare a livello finanziario”.
L’ex liceo Omero, infatti, non è più un luogo abbandonato da ormai due anni. Ri-Make, dopo aver riportato un vuoto urbano all’attività e avendolo offerto al quartiere, sta cercando di dare alle proprie attività più stabilità e progettualità. L’edificio ha ampi spazi e due campi da gioco. “Un campo di patate potrebbe funzionare,” esclamano Sara e Emiliano, che vorrebbero trasformare il campo di calcetto in un giardino di comunità. Ma nel gruppo eterogeneo che compone Ri-Make c’è anche chi è affezionato all’idea del campetto di quartiere.
Abbiamo incontrato attivisti, frequentatori e simpatizzanti del circolo Ri-Make in una delle ultime domeniche di settembre. La “seconda ondata” di coronavirus ancora non sembrava preoccupante e il tempo settembrino faceva sentire caldo per le giacche autunnali. La domenica, a Ri-Make, è tradizionalmente la giornata del pranzo sociale: sul menù — prezzo sociale 3 euro — quiche di verdure, patate, dessert al cioccolato con Oreo.
“Abbiamo contato una cinquantina di persone. Domenica scorsa ce n’era un centinaio, perché c’era il mercato dei produttori agricoli locali,” racconta Piero, che co-dirige la cucina con la sua mascherina rosa. Con lui c’è il gruppo cucina, che si è formato subito dopo l’occupazione. “All’inizio, nel vecchio Ri Make abbiamo deciso di fare un pranzo con un piatto per mangiare in compagnia.” Poi il gruppo è diventato “qualcosa in più,” e ha coinvolto i ragazzi di un centro di prima accoglienza per migranti e richiedenti asilo, che si avvicinano al lavoro attraverso la cucina, con l’associazione “Mshikamano.”
Il gruppo cucina durante il lockdown non è rimasto solo dietro ai fornelli, ma si è anche occupato delle spese solidali: “abbiamo iniziato con le spese per chi non poteva uscire. Ci siamo accorti a un certo punto che c’era gente che non poteva permettersi la spesa e abbiamo lanciato un crowdfunding”, spiega Piero. L’attività di Ri-Make è territoriale, e cerca di rispondere in modo immediato ai problemi sociali di Bruzzano, “quartiere nato dal cemento che ha coperto il verde,” dice Marie, tra le più presenti nel collettivo. “Qui siamo in un’area ad alta densità di case popolari, dove spesso non arriva nemmeno l’elettricità. Ci sono famiglie che non hanno internet in casa, che non sanno dove andare a stampare le schede per i propri figli. Spesso si tratta di famiglie monogenitoriali, con donne che affrontano orari di lavoro estesi e fanno fatica a gestire la cura dei propri figli. La dispersione scolastica è visibile ad occhio nudo.”
Prima della sua chiusura nel 2017, l’ex liceo Omero era l’unica scuola superiore a Bruzzano. Ora sono rimasti un asilo, una scuola elementare e una media. “Ci sono tante ragazze giovanissime che hanno figli, sono al parco e non ci sono spazi. Ci sono anziani che non hanno il gas e mangiano qui, una volta a settimana, l’unico pasto caldo,” conclude Marie prima di concedersi una pausa. “Il pranzo sociale è il momento d’oro di Ri-Make. È un formicolio di amicizie e conoscenze.”
Il collettivo ha cercato negli anni di stabilire una connessione con l’amministrazione Sala per vedersi riconosciuto come “bene comune.” Il 20 Maggio 2019 il Comune di Milano ha approvato il “Regolamento sulla disciplina della partecipazione dei cittadini attivi alla cura, alla gestione condivisa e alla rigenerazione dei Beni Comuni urbani:” una lista di spazi verdi, strade, immobili in disuso che possono essere recuperati e animati da gruppi di privati cittadini e associazioni con progetti civici. “Il Comune ha ricevuto due mail via pec per manifestazione di interesse in autunno 2018 e primavera 2019. Non abbiamo ricevuto risposta. Quando è uscito l’avviso pubblico eravamo in attesa di un incontro che formalizzasse l’avvio di un’istruttoria pubblica per il riconoscimento di bene comune,” spiega Dario, che si è occupato in prima persona della vertenza.
Nonostante il dialogo aperto con l’assessorato alle politiche urbane e l’assessore Rabaiotti, nessun amministratore ha mai visitato lo spazio occupato. Palazzo Marino ha avviato un iter di collaborazione senza concluderlo, riferisce il collettivo: “Il comune di Milano arriva sempre fino a metà del percorso. Ha fatto passi avanti con il regolamento sui beni comuni, ma sembra che non arrivi a fare il passo finale. Spesso il tentativo è di liberarsi di alcuni luoghi pubblici attraverso sistemi di privato sociale. Lo trovo poco coraggioso, dovrebbe avere il coraggio di co-progettare e dire: in quel quartiere c’è bisogno di questo, facciamolo,” afferma Piero.
Il riconoscimento delle attività autogestite è diventato ancora più attuale dall’inizio della pandemia da coronavirus e del lockdown, con l’esplosione delle disuguaglianze economiche. Anche il Comune di Milano si è appoggiato alle reti locali di solidarietà nel momento più difficile dell’epidemia di coronavirus, che — come abbiamo più volte riportato — sono state fondamentali nel risolvere le sue stesse carenze. “La nostra impressione è che a livello amministrativo, sul fatto che il peggio fosse passato, c’è una tendenza a riconoscere poco le attività di solidarietà,” spiega Emiliano, responsabile della vertenza insieme a Dario. “Si tratta di una fase in cui non si sa come riconoscerci. Una cosa è certa: dire che si ha le mani legate non è accettabile, soprattutto se per altre amministrazioni italiane è possibile mettere in campo progetti innovativi e riconoscere gli spazi con un ruolo sociale.”
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