L’aumento dei contagi sembra aver colto di sorpresa il governo: le nuove misure daranno una stretta alla vita sociale, ma non risolveranno i problemi emersi in questi settimane sul fronte dei test e del tracciamento
In nottata, verso l’1 , Conte e Speranza hanno finalmente firmato il tanto atteso Dpcm, contenente gran parte delle norme su cui si è dibattuto negli scorsi giorni: una stretta alle feste private, in casa e fuori, e la “forte raccomandazione” di non ricevere più di sei ospiti in casa; chiusura di bar e ristoranti alle 24, con la proibizione di consumare in piedi a partire dalle 21; stop alle gite scolastiche; vietati gli sport di contatto non agonistici e nelle associazioni non riconosciute dal Coni. Il testo definitivo ancora non è stato pubblicato, ma potete leggere qui l’ultima bozza in pdf. Le nuove norme saranno in vigore per 30 giorni.
L’approvazione del Dpcm è arrivata dopo una lunga trattativa con le regioni, che ha assunto toni accesi soprattutto attorno a una proposta avanzata dal presidente Bonaccini e sostenuta anche dal Veneto di Luca Zaia: tornare alla didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori, specialmente per ridurre la pressione sul trasporto pubblico locale. L’idea è stata bocciata dal governo — la ministra Lucia Azzolina ha detto che “non se ne parla” — ma è chiaro che il problema si ripresenterà nelle prossime settimane, se non giorni. Anche la Lombardia, che ieri ha riportato 696 casi — 363 dei quali a Milano e nell’immediato hinterland — avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di misure più restrittive, con la chiusura dei bar alle 18 e la didattica a distanza per le scuole superiori. La situazione è disomogenea a livello regionale, anche se in tutte si nota una tendenza al rialzo. Al momento le regioni con l’aumento più preoccupante sono Liguria, Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano.
Il Dpcm non è l’unica novità decisa dall’esecutivo. Come preannunciato, grazie a una circolare approvata ieri, sono cambiate anche le modalità di quarantena e isolamento: per gli asintomatici positivi durerà almeno 10 giorni dalla positività e un test molecolare negativo. Chi invece ha avuto sintomi dovrà stare in isolamento almeno 10 giorni dalla loro comparsa e potrà tornare a uscire in seguito a un solo test negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi. I contatti stretti di casi con infezione da SARS-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie dovranno invece osservare un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione, oppure 10 giorni con un test antigenico o molecolare negativo il decimo giorno.
Basterà? Il governo spera di limitare una crescita dei contagi da cui, per quanto sia sorprendente, sembra essere stato colto quasi completamente alla sprovvista, nonostante fosse noto che in autunno il rischio di una “seconda ondata” fosse assai concreto. L’impressione generale è che si abbia fatto finta di niente, passando tutta l’estate a concentrarsi su questioni laterali riguardanti soprattutto il turismo e la politica quotidiana, mentre si siano lasciati da parte investimenti concreti e logistici per adeguare la sanità ad un nuovo eventuale confronto con il virus. Anche quando i nuovi casi crescevano a un ritmo sorprendente nei paesi europei confinanti, si è preferito crogiolarsi nella propria situazione temporaneamente felice anziché fare qualcosa. Risultato: il governo si è trovato a dover in atto da un giorno con l’altro misure d’emergenza potenzialmente dannose per l’economia, la salute mentale dei cittadini e di efficacia senz’altro minore a quella che avrebbe avuto un sistema di tracciamento efficiente.
Lo spaesamento è evidente anche dal tono del discorso pubblico e della comunicazione dell’esecutivo, che è tornato su toni e contorsioni simili a quelli a cui siamo stati abituati nella scorsa primavera. Nel corso dei giorni scorsi il dibattito si è infatti concentrato su questioni di dubbia utilità, ad esempio — per l’ennesima volta — se sia necessaria la mascherina all’aperto o meno quando si svolge attività sportiva o motoria.
Con tutte queste misure il governo spera di limitare una crescita dei contagi da cui sembra essere stato colto quasi completamente alla sprovvista. Nel corso dei giorni scorsi il dibattito si è concentrato su questioni di dubbia utilità, ad esempio — per l’ennesima volta — se sia necessaria la mascherina all’aperto o meno quando si svolge attività sportiva o motoria.
Alla fine una circolare del Viminale, dopo le indiscrezioni circolate sulla stampa, ha precisato che se si fa jogging — ovvero attività sportiva, e non motoria — non serve, mentre bisogna indossarla nel caso si esca per una “mera passeggiata.” Il governo sembra non aver speso nel modo adeguato i soldi e il tempo a sua disposizione per affrontare l’emergenza sanitaria, come ha fatto notare il virologo Andrea Crisanti, che a inizio settembre aveva proposto un piano per aumentare la capacità di tamponi fino a 300 mila unità al giorno: un piano recapitato al governo e al Cts, poi rimasto parcheggiato e mai implementato.
Le difficoltà logistiche nell’effettuare un numero adeguato di tamponi, oltre che dalle code bibliche per ricevere un test segnalate in molti capoluoghi, sono testimoniate anche dalle nuove regole per isolamento e quarantena: non sarà più necessario risultare negativi a due tamponi negativi per potersi dichiarare guariti. Questa misura, può apparire sorprendente e controintuitiva rispetto alla situazione attuale, in cui semmai ci sarebbe bisogno di più tamponi, e tradisce l’impreparazione del sistema sanitario: l’obiettivo è chiaramente quello di aiutare le persone a vivere esperienze meno stressanti, ma anche e soprattutto conservare la capacità di testing per i casi più urgenti. Il sistema, infatti, sta già dando prove di cedimento: anche il tasso di positività relativa dei tamponi effettuati, in questa settimana, è aumentato in modo preoccupante.
Tassi di positività regionali. La linea tratteggiata è sul 5%, la soglia di allarme indicata dal WHO. Alcune regioni hanno andamenti non proprio belli. pic.twitter.com/Pgxon7ylcD
— Lorenzo Ruffino (@Ruffino_Lorenzo) October 11, 2020
Si tratta di situazioni impossibili da paragonare, ma non si può non guardare al caso di Qingdao, che ieri ha fatto il giro della stampa internazionale, con individia. L’altroieri sono risultate positive nella città portuale cinese 12 persone — di cui 6 asintomatiche. Tutti i casi sono legati a una struttura sanitaria, un ospedale dove venivano seguiti i viaggiatori che arrivavano nella città e risultavano positivi. La notizia di per sé non è molto rilevante — in particolare non in questo momento, dato che in Europa il numero di casi sembra destinato a continuare a salire vertiginosamente. In seguito al conteggio di questi casi, però, le autorità hanno deciso di chiudere l’accesso all’ospedale, e soprattutto hanno avviato una campagna di test di massa, con l’obiettivo di testare tutti e nove i milioni di abitanti della città nei prossimi cinque giorni. Ma non serve spostarsi fino in Asia: nonostante la retorica delle scorse settimane, la maggior parte dei grandi paesi europei, per quanto in difficoltà, si è dimostrata più efficiente dell’Italia nel fare tamponi. Ad oggi nel sistema italiano ci sono ancora gravi carenze di personale, dato che servirebbero “15-20 mila infermieri in più” — perché non è stato assunto e formato in questi mesi?
Anche la situazione delle terapie intensive lascia qualche perplessità: nonostante fosse noto ed evidente che il numero complessivo di posti in terapia intensiva — e anche non in terapia intensiva — fosse insufficiente per le esigenze sanitarie ordinarie e straordinarie, per aumentarle si è andati per le lunghe. Proprio in questi giorni si sta concludendo la gara: ciò vuol dire che non sono ancora pronti, e non lo saranno se non nelle prossime settimane. Finora, rispetto ai 5179 della primavera scorsa, sono stati creati solo milletrecento posti di terapia intensiva in più, per un totale di 6458, molto lontani da “quota 9 mila” — una quantità indicata più volte anche dal ministero della Salute come “soglia di sicurezza.”