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in copertina, foto via Facebook

L’ordinanza di Musumeci è fuori dalla realtà, ma l’azione del governo — stipare piú di mille persone nell’hotspot di Lampedusa, che potrebbe “ospitarne” non piú di 192 — è altrettanto impresentabile

La questione migratoria continua ad essere terreno fertile per le strumentalizzazioni politiche. Il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, ieri mattina ha varato un’ordinanza con cui chiede che “entro le 24 ore del 24 agosto,” cioè oggi, “tutti i migranti presenti negli hotspot e in ogni Centro di accoglienza [debbano] essere improrogabilmente trasferiti e/o ricollocati in altre strutture fuori dal territorio della Regione siciliana.” In più, il documento di fatto chiude i porti dell’isola, vietando “ingresso, transito e sosta” a “ogni migrante che raggiunga le coste siciliane con imbarcazioni di grandi e piccole dimensioni, comprese quelle delle Ong.”

Il governo ha risposto al presidente della regione Sicilia Musumeci sostenendo che chiudere i centri d’accoglienza non rientra tra le sue competenze, trattandosi di una materia statale. Dopo questa risposta, Musumeci ha scritto un post su Facebook in cui non sono chiarissime le sue intenzioni — accetta di non avere competenza in materia o intende andare avanti in qualche modo? Da un lato il presidente dice che il governo “è uscito allo scoperto” ammettendo la propria responsabilità e quindi “facciano qualcosa… O meglio facciano quello che non hanno ancora fatto!”; dall’altro, conclude Musumeci, “noi andremo avanti.” Intervistato dal Corriere della Sera, Musumeci rivendica per sé la competenza in materia sanitaria: “Non posso assistere al concentramento di centinaia e centinaia di esseri umani in squallidi locali che appartengono allo Stato, in una promiscuità assolutamente irragionevole. Così si creano focolai. Io li ho visitati gli hot-spot. Per questo li chiudo.” 

L’ordinanza di Musumeci è fuori dalla realtà: non offre nessuna alternativa e pretende di chiudere hotspot e porti con uno schiocco di dita, quando — proprio a causa di pastoie burocratiche e opposizioni politiche di stampo xenofobo come la sua — la gestione dei flussi migratori è un tema su cui si fa molta fatica ad agire con la giusta velocità, anche senza ultimatum. Ed è, chiaramente, un modo di fare leva sulla combinazione esplosiva tra la xenofobia e le paure sulla diffusione del contagio, nonostante il ruolo dei migranti nell’andamento dell’epidemia in Italia sia trascurabile, come confermato anche dall’Iss.

Non è il primo governatore a invocare chiusure dei centri d’accoglienza, sempre da destra: il governatore del Veneto, Zaia, era tornato a parlarne dopo la sconcertante gestione del centro d’accoglienza dell’ex caserma Serena di Treviso, trasformato in un focolaio sostanzialmente a causa della mancanza di spazio in cui mettere i migranti in quarantena. Poco importa che il sovraffollamento sia dovuto anche e soprattutto al taglio dei fondi per la gestione dell’accoglienza voluto proprio dallo scorso governo, teleguidato da Matteo Salvini.

Su una cosa, comunque, Musumeci ha ragione: “Il governo centrale è arrivato impreparato e non si è posto alcun problema sulla gestione di un numero enorme di sbarchi durante la pandemia” — salvo per il fatto che il numero di sbarchi non è “enorme,” ma sempre molto basso rispetto agli anni 2014-2016. Ciononostante, anche in mezzo a una pandemia, la questione migratoria riesce a mantenere il centro dell’attenzione mediatica, senza che si parli della radice del problema: la mancanza di canali legali di migrazione e l’esternalizzazione delle frontiere europee nei paesi nordafricani. 

L’hotspot di Lampedusa continua a rappresentare l’esempio perfetto di questa gestione disastrosa: da giorni all’interno della struttura ci sono più di 1000 persone, a fronte di una capienza di 192. I trasferimenti che vengono organizzati su base quotidiana non sono abbastanza per ridurre il sovraffollamento, così come si è rivelata praticamente inutile la faraonica operazione delle navi-quarantena. Secondo il sindaco dell’isola Totò Martello, “Lampedusa ha bisogno di risposte concrete e immediate da parte del governo nazionale.” Ma il governo non sembra averne, e ora, se non si riuscirà a trattare con Musumeci, il Viminale dovrà ricorrere al Tar contro la sua ordinanza

L’unione di questi due punti deboli del funzionamento politico italiano sta avendo effetti sempre più sconcertanti e profondi. Musumeci sta provando a far passare la decisione come un provvedimento di stampo sanitario, facendolo così rientrare nel campo di competenza regionale, mentre il governo sostiene sia una questione che rientri nell’ambito della sicurezza, e dunque del Ministero dell’interno. Il ricorso al Tar aumenterebbe ancora di più la tensione attorno a un argomento sensibile, soprattutto a ridosso di una tornata di elezioni amministrative — guardacaso, un buon momento per varare provvedimenti sensazionalisti come quello del governatore siciliano. Il governo, quindi, preferirebbe non arrivare alle vie giuridiche.

Naturalmente l’ordinanza ha guadagnato il plauso di Salvini, secondo cui “Musumeci è un uomo libero che ha detto no agli immigrati clandestini in Sicilia,” e ha fatto guadagnare al governatore dell’isola un posto tra le prime pagine di giornali e telegiornali di tutt’Italia. Tutto ciò conferma due cose: innanzitutto come sia facile farsi pubblicità sulla pelle dei più deboli nel sistema mediatico italiano, e in secondo luogo come sia ormai aperta una crisi istituzionale tra stato e regioni, che sono disposte ad alzare sempre di più il tiro delle sparate populiste per difendere i propri interessi particolari, sfociando a volte in un vero e proprio effetto nimby.

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