Un’assemblea estratta a sorte è una buona idea per affrontare la crisi climatica?
In Francia si sono conclusi i lavori della Convention citoyenne pour le climat, composta da 150 cittadini francesi estratti a sorteggio. Tuttavia, la politica difficilmente seguirà le loro indicazioni
In Francia si sono conclusi i lavori della Convention citoyenne pour le climat, composta da 150 cittadini francesi estratti a sorteggio. Tuttavia, la politica difficilmente seguirà le loro indicazioni
In nove mesi di lavoro la Convention citoyenne pour le climat ha lavorato a una lista di proposte per spingere la Francia verso un’economia più rispettosa dell’ambiente. Ma rimangono molti dubbi sulla volontà di Macron di portare a termine un piano così ambizioso dal punto di vista ecologico.
La Convention citoyenne pour le climat, cominciata il 4 ottobre 2019 e terminata il 21 giugno 2020, è stata una delle prime esperienze di democrazia partecipativa legata alla transizione ecologica. Nata su iniziativa del presidente francese Emmanuel Macron in risposta al movimento dei Gilet Jaune, ha coinvolto 150 cittadini francesi scelti per sorteggio. La Convenzione ha avuto il mandato di definire una serie di misure per ridurre del 40% — rispetto al 1990 — le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 in Francia.
Si tratta indubbiamente di una novità.Tra le democrazie europee soltanto l’Irlanda aveva già vissuto un’esperienza simile di consultazione popolare a livello nazionale, con l’obiettivo, in quel caso, di proporre una riforma costituzionale. Ma l’elemento di novità più significativo è rappresentato dalla materia in esame: per quanto non manchino gli spazi di discussione popolare sulla transizione ecologica (tra forum, assemblee cittadine e popolari e bilanci partecipativi), si tratta di uno dei primi casi in cui un gruppo di cittadini, su mandato dell’esecutivo nazionale, ha dovuto avanzare delle proposte e indicare una direzione per il processo di riconversione ecologica.
La Convenzione è una delle risposte del governo Macron alle proteste dei Gilet gialli
Per capire come si sia arrivati alla Convenzione bisogna tornare indietro al 25 aprile 2019. Quel giorno il presidente francese Macron tenne il discorso conclusivo del Grand débat nazionale, il percorso di confronto con la società civile inaugurato per frenare il movimento dei Gilets Jaunes, l’ondata di proteste che anima i sabati francesi dall’autunno 2018. Tra le varie misure, Macron annunciò l’istituzione di una convenzione composta da cittadini comuni, che iniziò a indicare una serie di proposte per attuare la transizione ecologica in Francia. L’intento fu subito chiaro: bisognava coinvolgere la società civile e le persone nel progetto di riconversione dell’economia francese in modo da legittimare l’adozione di alcune politiche green. Proprio per l’aumento della carbon tax, infatti, erano scesi inizialmente in piazza i Gilet gialli, portando alla luce il malcontento di ampie fasce della Francia rurale. La mossa di convocare la convenzione si spiega allora nel tentativo di ricostruire un percorso di legittimazione delle misure di ispirazione ambientale, a metà di un quinquennio piuttosto movimentato per il presidente francese.
Organizzata dal Consiglio economico, sociale e ambientale (CESE) su mandato della presidenza della Repubblica francese, la Convention citoyenne pour le climat è formata da 150 persone di età compresa tra i 16 e gli 80 anni. L’assemblea non si compone di membri eletti o nominati, né di politici o di esperti in materie ambientali: i cittadini che ne hanno fanno parte sono stati tutti sorteggiati. Circa 300 mila numeri di telefono, fisso o mobile, sono stati contattati ad agosto 2019 per individuare i 150 partecipanti, secondo criteri socio-economici e territoriali — genere, età, livello di studi, categoria socio-professionale, tipologia di territorio di residenza, zona geografica — che garantissero un campione rappresentativo della popolazione francese. L’obiettivo non era quello di formare una task force di esperti, ma raccogliere un gruppo di persone con esperienze di vita e propri punti di vista eterogenei e differenti.
I lavori della Convenzione si sono svolti in 7 sessioni, che hanno occupato i weekend da ottobre 2019 fino a giugno 2020. I partecipanti si sono divisi in cinque gruppi tematici: Se Nourrir (legato all’alimentazione e all’agricoltura), Se Loger (costruzioni e abitare), Travailler et produire (lavoro e produzione), Se déplacer (mobilità e trasporti), Consommer (stili di vita e modi di consumo). Nel loro lavoro di analisi e di elaborazione delle proposte, sono stati affiancati da esperti di tematiche ambientali e da animatori del dibattito, con il compito di guidare la discussione nei piccoli gruppi. Nel weekend conclusivo del 19-21 giugno sono state votate 149 proposte, approvate quasi tutte all’unanimità, che sono state consegnate in seguito al presidente Macron e al governo.
Tra le proposte: limitare il trasporto aereo, aumentare l’efficienza energetica degli edifici, consumare meno e meglio
Le proposte della Convenzione sono strutturate secondo le cinque aree in cui si è svolto il lavoro. Per ciascuna sono indicati gli obiettivi principali, dettagliati attraverso una serie di idee da implementare per raggiungerli. Innanzitutto, la Convenzione propone di riformare la Costituzione, per introdurre nel preambolo e nel primo articolo la preservazione dell’ambiente e della biodiversità e la lotta contro la deregolamentazione climatica.
Sul tema della mobilità, le proposte della Convenzione puntano a ridurre l’utilizzo dell’automobile in favore di soluzioni alternative, con uno sviluppo del trasporto ferroviario e fluviale, in particolare per le merci, e attraverso una migliore gestione e collaborazione tra imprese ed enti locali nell’organizzazione della mobilità — ad esempio, rafforzando i piani mobilità cittadini. La Convezione si propone anche di “limitare gli effetti nefasti del trasporto aereo” e di “aiutare alla transizione verso un parco auto più pulito attraverso la regolamentazione dei veicoli.”
Nel capitolo dedicato al consumo, la consapevolezza è che si debba “consumare meno, consumare meglio” per ridurre l’impronta ecologica di ciascun cittadino francese — 11,2 tonnellate di carbonio all’anno contro le 2 necessarie per raggiungere gli obiettivi di Parigi. Per questo, bisognerebbe imporre l’obbligo di mostrare l’impatto ecologico dei prodotti e dei servizi, regolare la pubblicità per ridurre gli incentivi al sovra-consumo, limitare l’imballaggio e l’utilizzo della plastica monouso favorendo la vendita di prodotti sfusi, promuovere il consumo responsabile attraverso l’istruzione, la formazione e la sensibilizzazione.
Le proposte affrontano il tema delle costruzioni e delle abitazioni, settore che, secondo i dati della Convenzione stessa, rappresenta la fonte di circa i due terzi delle emissioni di gas a effetto serra in Francia. Per questo, si chiede di rendere obbligatoria la ristrutturazione energetica da qui al 2040, prevedendo un sistema di sussidi e prestiti per aiutare le fasce più bisognose della popolazione, di limitare in maniera significativa il consumo di energia nei luoghi pubblici, privati e nelle imprese, di lottare contro la cementificazione e l’espansione urbana, rendendo attrattiva la vita nei piccoli comuni.
“Desideriamo contribuire a una società decarbonizzata sostenibile, etica, giusta, rispettosa della vita e del nostro pianeta” si legge nell’incipit della sezione in cui sono contenute le proposte relative alla sfera produttiva. Qui, le proposte hanno lo scopo di favorire una produzione più responsabile, di sviluppare le filiere di riciclaggio, riparazione e di gestione dei rifiuti, di sostenere l’innovazione per uscire dal modello fondato sul carbonio, di accompagnare la riconversione delle imprese e la trasformazione dei mestieri a livello regionale, di aggiungere un bilancio ambientale ai bilanci contabili per chiunque ne debba compilare uno, di rinforzare le clausole ambientali nei mercati pubblici.
Per finanziare in parte queste trasformazioni del mondo produttivo, si chiede che le imprese che distribuiscono più di 10 milioni di euro di dividendi annuali partecipino allo sforzo di finanziamento con il 4% dei dividendi, mentre quelle che distribuiscono meno di 10 milioni con il 2%. Inoltre, la Convenzione si concentra anche sulle emissioni di gas a effetto serra legate alle importazioni, proponendo una sorta di carbon tax alle frontiere dell’Unione europea, che prenda in considerazione dei meccanismi redistributivi in modo da non pesare eccessivamente sui consumatori meno abbienti.
Ultimo tema: l’alimentazione, uno dei più ricchi di obiettivi e proposte. Dallo sviluppo delle filiere corte e delle pratiche agro-ecologiche, al proseguimento degli sforzi per la riduzione dello spreco alimentare, dalla riforma dell’insegnamento e della formazione agricola all’incitamento per una pesca a poche emissioni, dalla riforma del funzionamento delle etichette alla migliore informazione del consumatore. Ma in questo capitolo si trovano anche alcuni punti più politici, che richiedono una discontinuità con l’operato di Macron: la Convenzione chiede di rinegoziare il CETA (l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada) per inserire gli obiettivi climatici della COP21 di Parigi, di difendere una riforma della politica commerciale europea al fine di includere il principio di precauzione negli accordi commerciali, di porre come obiettivi vincolanti gli obiettivi climatici di Parigi, di mettere fine ai tribunali di arbitrato privati, di garantire la trasparenza e il controllo democratico durante le negoziazioni. Queste posizioni, propone la Convenzione, devono essere fatte proprie dalla Francia anche nella sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Infine, i membri hanno votato per chiedere di legiferare sul reato di ecocidio, una proposta che dovrebbe essere sottoposta a referendum.
Ma per molti le proposte della Convenzione non sarebbero all’altezza degli obiettivi dell’Accordo di Parigi
Il lavoro della Convenzione è stato tuttavia oggetto della polemica politica. La destra e l’estrema destra francese hanno attaccato le proposte ritenute “molto ideologiche”: “Se avessimo preso il consiglio dei Verdi, avremmo avuto all’incirca gli stessi risultati” ha detto l’eurodeputato Nicolas Bay del Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen.
Ma alcune criticità sono state evidenziate anche dalle ONG ambientaliste. Greenpeace France sottolinea che il mandato fissato dal governo si pone al di sotto degli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi, riconoscendo tuttavia che alcune misure proposte dalla Convenzioni sarebbero particolarmente efficaci. “Senza sorpresa, i cittadini sono pronti per la transizione ecologica, anche a costo di cambiare i grandi parametri del sistema economico attuale” ha commentato Jean-François Julliard, direttore generale di Greenpeace France.
“A far rumore è stata anche l’assenza di alcune tematiche particolarmente controverse nel dibattito ambientalista: in virtù del mandato presidenziale, che ha delimitato le materie di competenza dell’assemblea, la Convenzione non si è espressa sul nucleare e sul mix energetico francese.”
Ad essere criticata è stata anche la vaghezza delle proposte, dal momento che mancano stime precise non solo dei costi per il bilancio pubblico, ma anche per l’impatto atteso di ciascuna proposta in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Inoltre, molte delle idee rimangono nel campo semantico dell’incoraggiamento, dello sviluppo e del rafforzamento di percorsi eco-sostenibili, a volte già esistenti, mentre manca nelle proposte il carattere vincolante e obbligatorio. A far rumore è stata anche l’assenza di alcune tematiche particolarmente controverse nel dibattito ambientalista: in virtù del mandato presidenziale, che ha delimitato le materie di competenza dell’assemblea, la Convenzione non si è espressa sul nucleare e sul mix energetico francese. Allo stesso modo si è notato che l’approccio adottato in alcuni capitoli (come quello dedicato all’alimentazione) non prende in considerazione la natura sistemica della produzione di gas a effetto serra.
Ma l’aspetto più spigoloso della Convenzione resta la possibilità di tradurre l’impianto delle proposte elaborate in atti legislativi e in azione governativa. Se all’inizio del percorso Emmanuel Macron si era impegnato a riprendere “senza filtro” i risultati della convenzione, a gennaio 2020, durante una visita ai lavori, il presidente francese si è limitato a dire che “tutte le proposte saranno trasmesse al governo o al Parlamento o direttamente al popolo francese,” rimanendo comunque vago sulla forma in cui ciò si sarebbe realizzato. Un impegno ribadito lo scorso 29 giugno, quando il presidente ha ricevuto all’Eliseo i 150 membri della Convenzione: Macron aveva annunciato che le proposte che potevano essere convertite per regolamento sarebbero passate per il Consiglio di difesa ecologica entro il luglio di quest’anno, altre sarebbero state invece integrate nel piano di rilancio post-Covid, altre ancora saranno incluse in un progetto di legge specifico a settembre. Delle 149 proposte, il presidente francese ne ha escluse 3: l’introduzione di una tassa del 4% sui dividendi superiori ai 10 milioni di euro per finanziare gli investimenti verdi, la riduzione del limite di velocità sulle autostrade a 110 km/h e, infine, la modifica del preambolo della Costituzione per inserire la protezione ambientale al di sopra degli altri valori repubblicani — ma ha aperto all’introduzione nel primo articolo dei concetti di biodiversità, ambiente e lotta al cambiamento climatico.
La Convenzione rischia di essere solo un’operazione di greenwashing della figura politica di Macron
La pressione perché Macron adotti una vera svolta ecologica è grande, in particolare dopo l’exploit dei Verdi alle municipali dello scorso 29 giugno. Tuttavia, molti sono i dubbi che restano sull’effettiva volontà di attuare un cambiamento di rotta da parte del presidente francese. Per Jean-François Julliard, direttore generale di Greenpeace France, “il messaggio inviato dalle municipali è chiaro: l’ecologia e l’emergenza climatica non sono soltanto una preoccupazione lontana per i/le francesi, ma una priorità politica che deve tradursi in atti e misure concreti. La Convenzione cittadina non dice altro. Il rifiuto di regolamentare i dividendi è un buon esempio dei limiti della volontà politica di Emmanuel Macron: pretendere di cambiare il modello produttivo senza trasformare il nostro sistema economico è una dolce illusione.” In questo senso, la Convenzione è nata anche per rafforzare l’immagine green di Macron, come fa notare a Mediapart Laurent Jeanpierre, ricercatore in scienze politiche di Parigi VIII, per cui l’obiettivo della Convenzione non è soltanto quello di indicare una strategia di transizione ecologica per la Francia: “c’è la volontà probabile di Emmanuel Macron di promuovere questo dispositivo su scala mondiale per riprendersi dal fallimento degli accordi di Parigi sul clima. Ci sono poche esperienze equivalenti e in molti ci guardano.” Un’immagine da costruire sia all’estero sia in patria, dove si è posta anche la necessità di legittimare maggiormente questa spinta ecologista: “lo scopo della Convenzione non è necessariamente di inventare nuove misure, ma di coinvolgere i cittadini nel processo di decisione politica. Certo, conosciamo le misure necessarie. Adesso si tratta di vedere ciò che i cittadini propongono affinchè siano davvero applicate e perché effettivamente ci sia un cambiamento” spiega sempre a Mediapart Madeleine Charru, esperta che ha lavorato in supporto alla Convenzione.
Il rischio di strumentalizzazione dell’esperienza della Convenzione da parte del potere politico è dunque molto alto. Il politologo Loic Blondiaux, tra gli organizzatori della Convenzione, su LeMonde ha anticipato che “una semplice selezione di qualche misura già in linea con i progetti del governo non sarebbe sufficiente a rendere questa convenzione un successo. Deludere la promessa dell’inizio può far nascere un sentimento di tradimento.” Sempre sul quotidiano francese, Claire Legros indica come possibile soluzione la continuazione dell’esperienza anche oltre la sua conclusione istituzionale, in modo che si attui un controllo delle promesse del governo e della traduzione in atti governativi e legislativi delle proposte della Convenzione. Anche per questo, i 150 partecipanti hanno creato l’associazione Les150, con l’obiettivo di monitorare gli avanzamenti delle proposte e di pubblicizzare il lavoro svolto dalla Convenzione. Quel che è certo, è che i membri della Convenzione non avranno nessuno strumento giuridico per far implementare le proprie proposte: come spiega l’avvocato Arnaud Gossement, “il seguito dipende soltanto dalla volontà del presidente della Repubblica.”